12 Maggio 1981 – I fiori che Dio ama

12 Maggio 1981

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

I fiori che Dio ama

[1] Secondo la tradizione, di solito gli abitanti di Bhārat venerano Dio offrendogli rituali di adorazione (pūjā) e fiori e rendendogli omaggio. Ma c’è qualcosa che è ben più sacro di questo: un partico-lare tipo di devozione, alla quale è stato dato il nome di parā bhakti1, in cui si deve adorare Dio con una mente buona e pura, mantenen-do una retta condotta. Se continuate ad adorare Dio solo con i ritua-li e i fiori, rimarrete fermi al punto in cui siete. In un certo modo po-trebbe andare bene, ma rimanere sempre nello stesso punto senza elevarsi a una posizione superiore non va bene. Adorare Dio offrendogli buone qualità, una retta condotta, pensieri puri, stare in compagnia di persone buone e virtuose, ebbene questa è un’adorazione di tipo superiore che le Scritture hanno definito ‘adorazione mediante le buone qualità.’ Ma quali sono le buone qualità con cui possiamo compiacere Dio?
Il primo fiore che possiamo offrire a Dio e con cui venerarlo è ahiṃsā, la non violenza; il secondo fiore è dama, il controllo dei sensi; il terzo è dayā, la compassione per tutti gli esseri viventi; il quarto è kṣamā, pazienza e tolleranza; il quinto è śānti, pace; il sesto è tapas, penitenza, austerità; il settimo è dhyāna, meditazione; l’ottavo è satya, il fiore della verità. Il significato profondo di tale dichiarazio-ne è che Dio elargirà la Sua grazia su di voi se lo adorerete con que-sti otto fiori.I fiori in natura appassiscono, perdono il loro profumo e sviluppano un odore che non è piacevole. Invece di eseguire i riti d’adorazione con fiori che sono caduchi e temporanei, e quindi ricevere da Dio ricompense solo provvisorie, dovete adorarlo con ciò che è veritiero e sincero e raggiungere uno stadio più elevato.I fiori usati nei rituali d’adorazione non sono creati da voi, ma dalla volontà di Dio; sono fiori che crescono su alberi o nei giardini, e poi voi li offrite di nuovo al Creatore stesso. Ma dove sta la grandezza nell’usare fiori creati da Dio e restituirglieli? Molti si bagnano nelle acque del Gange, prendono con le mani l’acqua del fiume e la of-frono di nuovo al Gange stesso; poiché non è qualcosa creato da voi, non avete il diritto di offrirlo. Se dall’albero della vostra vita raccogliete i frutti che avete curato e che avete fatto crescere sotto forma di buone qualità e li offrite a Dio, in quell’atto c’è qualcosa di speciale; per promuovere le buone qualità dovete sottoporvi a numerose difficoltà, ma è attraverso queste virtù che la vostra mente può acquisire anche la concentra-zione divina. Se non possedete buone qualità e buoni pensieri, co-me potete concentrare la mente durante la meditazione?[2] Il primo è il fiore della non-violenza. Noi crediamo che la parola ahiṃsā significhi non causare del male né ferire altre cose viventi, ma il vero significato è non fare del male né nuocere ad alcun essere
vivente attraverso i pensieri, le parole o le azioni. Ripulire e purifi-care pensieri, parole e azioni è detto tripūti (triplice purezza), nel linguaggio spirituale. Il fiore della non violenza è stato descritto come triguṇa, tripūti, eka-bilva2; quindi i pensieri, le parole e le azioni devono essere armoniz-zati, riconciliati e raccolti in una singola unità. Il secondo fiore è il controllo degli organi di senso. I nostri sensi corrono senza alcuna limitazione, se dei cavalli o degli animali in corsa non vengono controllati, costituiscono un pericolo.Dio ha creato ogni organo del corpo umano con un fine preciso; so-lo se noi li sapremo usare in modo corretto per lo scopo per cui so-no stati creati ci sarà possibile ottenere la grazia di Dio.Il Signore ci ha dato il naso e noi dobbiamo inspirare ed espirare ac-cogliendo solo buoni profumi attraverso il naso; se invece lo usiamo per fiutare il tabacco o altre sostanze, verrà meno il suo scopo. Allo stesso modo ci ha dato la bocca e la lingua per poter assumere del cibo puro e sattvico; se invece vi introduciamo cibo impuro e be-vande alcoliche, utilizziamo la bocca con una finalità sbagliata. Per-tanto, dobbiamo capire in quali condizioni, tempi e modi utilizzare ogni organo di senso e come tenerlo sotto stretto controllo.La nostra forza interiore si affievolisce sempre più a causa dell’ecci-tazione e del dolore inutile, e il corpo si ammala a causa delle agita-zioni mentali e delle distrazioni. L’uomo invecchia molto precoce-mente per l’eccitazione e la sofferenza. Il motivo per cui non sapete preservare questo strumento sacro in condizioni di buona salute è
la mancanza di controllo sugli organi di senso. Il secondo fiore, che rappresenta il controllo dei sensi, deve essere usato per adorare Dio.[3] Il terzo fiore è la compassione verso tutti gli esseri viventi: sarva bhūte dayā puṣpam Nel guardare con superficialità la natura umana nei suoi diversi aspetti, ci dimentichiamo dell’aspetto divino. L’albero della crea-zione è sorto dal seme della Divinità, e in questo albero i frutti sono gli esseri umani, ovvero i jīvātma3. In ognuno di questi frutti umani c’è la Divinità sotto forma di seme. Nella Bhagavad Gītā, Kṛṣṇa ha detto: bījaṁ māṁ sarvabhūtānāṁ In tutti gli esseri viventi Io sono il seme [nella forma di ātma] (BG 7.10) Riconoscete la verità che Dio è presente nella forma di ātma in tutti gli esseri viventi, perciò la compassione per tutti gli esseri è il fiore successivo.[4] Il quarto è kṣamā puṣpam, il fiore della pazienza e tolleranza che sono le qualità più nobili di un essere umano. Poiché nella sua vita sviluppa idee ristrette, l’uomo vuole vivere in un luogo circoscritto e pensa ‘Io e la mia famiglia siamo quelli che contano, gli altri sono diversi da me’. Non sarà possibile sviluppare il fiore della tolleranza finché simili idee risiedono in noi. Solo quando amiamo possiamo avere pazienza e tolleranza. L’amore deve includere tutti gli esseri viventi e in tal modo maturerà e darà i frutti della tolleranza.Ecco qui un piccolo esempio. A casa nostra ci sono quattro figli e un giovane servitore. Uno dei nostri figli commette qualche piccolo furto e prende delle cattive abitudini. Cerchiamo in molti modi di tenerlo sotto controllo, lo picchiamo, lo rimproveriamo e cerchiamo di persuaderlo a riprendere le buone maniere, ma non lo consegne-remmo mai alla polizia. Nella stessa casa, se il servitore dovesse rubare un cucchiaino lo consegneremmo immediatamente alla polizia. Qual è il significato profondo del fatto che non puniamo nostro figlio anche se commet-te un furto ogni giorno, e invece portiamo subito l’inserviente dalla polizia anche se ruba una cosa irrilevante? L’idea ristretta che ‘questo ragazzo è mio figlio’ condiziona il nostro comportamento. Poiché il servitore non ci appartiene, non lasciamo alcun spazio alla tolleranza e alla pazienza. Pertanto se avete ampiezza di vedute e pensate ‘tutti sono miei’ c’è spazio per la sopportazione e la pazien-za. Ed è solo così che il vostro amore si espanderà![5] Il quinto è śānti puṣpam, il fiore della pace; ma non significa che dovete stare in silenzio anche se qualcuno vi aggredisce o vi critica. Se rimanete impassibili e imperturbabili anche se qualcuno vi bia-sima, questa può essere chiamata vera Pace. Se riuscite a colmare il cuore di amore, allora la pace entrerà in voi dall’esterno. In una cer-ta misura, perdete la pace a causa delle cattive qualità; con pensieri sinceri e onesti, l’uomo avrà la pace, mentre con pensieri falsi la perderà. Quando riuscirete a liberarvi di tutti i pensieri, diverrete santi e solo così potrete avere la pace. I cattivi pensieri sono responsabili di tut-ta la vostra sofferenza e delle vostre pene, mentre se avete pensieri buoni e idee buone, diverrete un sādhu, un saggio, un santo. Sādhu non vuol dire indossare una tunica color ocra, radersi la testa e portare al collo un lungo rosario di semi di rudrākṣa4. Colui che ha buoni pensieri e buone intenzioni è un sādhu, è satya saṅkalpa svarūpa, la personificazione di pensieri veritieri e sinceri.Nello stato di pace, la natura umana è come la superficie calma di un lago. Se in un recipiente c’è dell’acqua, a causa del vento si for-meranno delle increspature in superficie e anche il vostro riflesso sarà increspato. Su una superficie impura, anche il vostro riflesso sarà impuro. Su una superficie d’acqua limpida, il vostro riflesso sarà nitido. Allo stesso modo, sebbene la verità fondamentale sia soltanto una, se il suo riflesso avviene in una mente piena di tamo guṇa (ottusità e inerzia) si vede impurità nell’immagine. Se il suo riflesso avviene in una mente in cui prevale il rajo guṇa (passionalità ed egoismo) ap-pare come avidyā, ignoranza; se invece il riflesso ha luogo in una mente sattvica, equilibrata, è definito māyā (apparenza illusoria). Dio ha māyā come Sua veste. Nel rajo guṇa il Suo riflesso è l’indivi-duo, mentre nel tamo guṇa è la creazione. Anche se la verità di base è una, i tre riflessi (la creazione, l’individuo e l’illusione) non sono diversi dalla verità stessa: è indispensabile sforzarsi per riconoscere la natura della verità. Ad esempio, prendiamo un frutto; anche se si tratta di un frutto di neem5, quando è maturo, sarà dolce. Quando voi raggiungerete la pace nella sua pienezza, solo allora potrete as-saporarne la dolcezza. [6] Il sesto fiore è tapas, penitenza, austerità. Tapas non significa ri-nunciare alla famiglia e andare nella foresta, bensì eliminare i cattivi pensieri dalla mente. Coordinare il pensiero, la parola e l’azione è tapas. Qualsiasi pensiero vi sorga nella mente, esprimerlo come pa-rola e metterlo in atto come lavoro, è tapas. Si afferma che è una grande anima chi sa coordinare il pensiero con la parola e la parola con l’azione. Rinunciare ai cattivi pensieri che scaturiscono dalla mente è sacrificio. Quell’atto di sacrificio diverrà yoga, ma abban-donare le proprietà, moglie e figli e ritirarsi nella foresta non è yoga. Il settimo è il fiore della meditazione. Oggi la meditazione assume forme diverse. Molti tipi di meditazione che oggi si adottano sono contrari alla cultura e alla tradizione dell’India. Sedersi nella posi-zione del loto e far salire l’energia di kuṇḍalinī6 dal mūlādhāra al sa-hasrāra cakra non è meditazione. La vera meditazione consiste nel riconoscere la presenza di Dio in ogni attività. Dio è il Testimone in-teriore di ogni cosa: sarvāntaryāmin; è sarva bhutāntarātma, il Sé inte-riore di tutti gli esseri, ed è sarvavyāpin, Colui che tutto pervade. Se nella vostra meditazione cercate di limitare e circoscrivere Dio a un solo luogo di vostra scelta, quella non può essere meditazione.Se siete in viaggio alla guida di un’auto, l’auto è il vostro Dio; se avete un’attività commerciale in un mercato, quel mercato è il vo-stro Dio. Secondo la tradizione indiana, come prima cosa ci inchiniamo e rendiamo omaggio al lavoro che dobbiamo svolgere. Prima di intraprendere qualsiasi attività, dobbiamo pensare che quel lavo-ro è Dio stesso. Le upaniṣad ci insegnano: tasmai namaḥ karmaṇeRendiamo omaggio all’azione. Offrite i vostri omaggi all’azione che dovete eseguire, in modo che diventi sacra. Considerate il lavoro che dovete fare come Dio stesso, e offrite i vostri omaggi a Dio in quella forma.Ad esempio, osservate chi suona il tabla [una coppia di piccoli tambu-ri]; prima di iniziare, egli rende omaggio al suo tabla. Chi suona l’armonio, s’inchinerà al suo strumento musicale prima di iniziare. Una danzatrice, prima di dare inizio alla danza, renderà omaggio ai sonagli che porta alle caviglie. Anche chi è alla guida di un’auto, s’inchina davanti al volante prima di partire. Ciò implica avere fede ed essere convinti che Dio è presente in tutte le cose. Credere che l’intera manifestazione sia la forma di Dio e adempiere il proprio dovere con quello spirito, ebbene quella è meditazione. [7] Il fiore successivo è satya, Verità. Se voi dite quello che pensate o quello che avete fatto, quella può essere definita ‘verità secolare’, ma non è verità. La Verità è quella che non cambia mai. Quello che avete visto è la verità in quel momento, ma un istante dopo diventa falsità. Tutto quello che vedete nella creazione è destinato a deterio-rarsi e a cambiare. In questo mondo mutevole e transitorio, com’è possibile considerare verità quello che vedete e udite? Dio è Verità! Tale Verità è l’ottavo fiore, è la forma del Divino; nel mondo, invece, si fa esperienza soltanto di una verità relativa. Prendiamo per esempio la chimica. Voi avete alcuni prodotti chimi-ci e li combinate; essi subiscono un processo di mutazione e produ-cono un’ulteriore sostanza chimica. Ora prendiamo la fisica; se avete un ago lungo 7 cm e lo mettete nella fiamma, per dilatazione di-verrà più lungo: ecco qual è la verità della fisica. Le verità della chimica e della fisica sono temporanee, scientifiche e secolari. Le ve-rità spirituali invece rimarranno inalterate in qualsiasi circostanza, qualsiasi cosa possiate fare. Quello che non subisce cambiamenti è Verità. [8] La crudeltà e la durezza predominano nel mondo perché non ci sforziamo di promuovere le qualità sacre; dobbiamo cercare di rag-giungere livelli più alti e passare dalla devozione ordinaria a parā bhakti, il supremo stato di amore e venerazione per il Divino. Seb-bene siano trascorsi 12 anni dalla fondazione del Dharmakṣetra7 e abbiate avuto la possibilità di elevarvi a livelli superiori, siete rima-sti fermi sempre allo stesso punto, perciò ora vi sentite delusi. Con-tinuate pure a cantare i bhajan e a compiere i riti di adorazione; quando però vi trovate nella società, consideratela una forma di Dio, riconoscete l’onnipresenza del Divino nella società, e mentre servite la comunità, acquisirete buone qualità.[9] Dimenticate le agitazioni e i fermenti esistenti nel mondo, in tal modo otterrete la pace e la beatitudine. Se alimentate l’idea che Dio, che è onnipresente in tutta la creazione e nell’universo, sia limitato a una piccola foto, state restringendo il vostro concetto di Dio.Ampliate invece il vostro cuore e rendetelo sempre più grande, va-sto quanto Dio stesso. Pur avendo cominciato con l’idea di ‘io e mio’, se alla fine sentirete che ‘tutti sono miei, tutti sono Uno’, la vostra visione si amplierà talmente che alla fine ‘scoppierete’ come fa un palloncino quando si continua a soffiargli dentro aria. In tal modo vi fonderete in Dio che è onnipresente. Rendetevi ben conto che durante il viaggio della vita l’uomo deve passare dalla posizione di ‘io’ a quella di ‘noi’. Se invece per tutto il tempo continuerete a stare nella posizione di ‘io’, rimarrete fermi sempre allo stesso punto.La creazione è il ponte che collega l’uomo a Dio. ‘Io’ è una collina, ‘Dio’ è un’altra collina: il ponte che congiunge i due è la manifesta-zione. Se distruggete il ponte, non giungerete mai a destinazione.Spero vivamente che v’inseriate bene nella società per servirla al meglio, e che in tal modo possiate utilizzare quel ‘ponte’ per rag-giungere Dio. Bombay,

Dharmakṣetra, 12.05.1981