11 Luglio 1985 – Dio, la natura, l’uomo

11 Luglio 1985 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Dio, la natura, l’uomo

[1] Il Cosmo ha un’origine, un sostegno, un fine; è un’entità eterna,
autosufficiente, completamente luminosa. La Chāndogya Upaniṣad,
nel riportare le direttive che il saggio Nārada1 aveva ricevuto da
Sanatkumāra2, rivela che sebbene abbiamo a che fare con numeri
differenti come tre, cinque, sette, nove, undici, tredici, quindici, diciassette,
diciannove e ventuno, in realtà c’è solo l’Uno: il Brahman.
l’Uno appare come molteplicità quando assume nome e forma; allora
diventa il mondo, il flusso, il cosmo, l’universo. Prima che il cosmo
apparisse Dio era solo. Egli proietta, protegge, dissolve e riassorbe
tutto in Sé stesso: questa è la verità.
L’uomo ha la rara fortuna di poter venerare la natura come il ‘Corpo
di Dio’ e di adorarlo con gratitudine; ma è veramente consapevole
che Dio è la fonte e il sostentamento di tutta la vita? Offre a Dio
il primo posto nei suoi pensieri, come sarebbe doveroso? Oppure è
talmente impegnato nelle varie attività della vita che mostra un totale
disinteresse per Lui? È proprio un peccato che invece di avere
grande considerazione per Dio, la natura e l’uomo, in questo ordine,
gli uomini si interessino solo a loro stessi, poi alla natura e infine
a Dio.
Dalla nascita alla morte, dalla mattina alla sera, l’uomo insegue fugaci
piaceri e provoca lo sfruttamento, il saccheggio e la violazione
della natura; ignora che la natura è proprietà di Dio, il Creatore, e
che qualsiasi danno arrecatole è un sacrilegio che otterrà una punizione
spaventosa.
[2] Rāvaṇa ignorava Dio e bramava la natura, così andò incontro
alla sua rovina. Questo tema fa parte del celebre poema epico
Rāmāyaṇa. Rāvaṇa desiderava possedere e dominare Sītā così la
rapì e la portò via a Rāma, che era l’Incarnazione di Dio e che era il
suo Signore e Padrone.
Il fratello di Rāvaṇa cercò di aprirgli gli occhi rievocando l’iniquità
da lui commessa, lo consigliò di cercare rifugio in Rāma e di restituire
Sītā al suo legittimo Padrone. Ma Rāvaṇa era così orgoglioso
di essere riuscito a imprigionare Sītā che lasciò cadere nel vuoto tale
avvertimento.
Hanumān, che aveva ritrovato Sītā e le aveva recapitato un messaggio
di speranza e la sua rassicurazione, un giorno riuscì a entrare
nella sala delle udienze di Rāvaṇa. Egli rivelò al re che Sītā era la
Madre di tutti i mondi e quindi anche sua madre; gli descrisse la
potenza e la maestà divina presenti nella forma di Rāma e dipinse a
Rāvaṇa immagini infauste e minacciose circa la distruzione che era
in serbo per lui. Gli consigliò di restituire Sītā e di sottomettersi a
Rāma, gli disse anche che la disgrazia eterna era il destino che attendeva
chi voleva imporre il suo ego e metteva Dio in secondo
piano, senza alcuna considerazione per Lui.
Per tutte le ventiquattro ore del giorno, per tutti i giorni della loro
vita, gli esseri umani sono in adorazione del loro corpo e della mente,
alimentano i sensi, sottomettendosi alle richieste insistenti dei
desideri carnali, e guadagnano quanto necessario per sostentare loro
stessi. Così non trovano il tempo per meditare su Dio. Come possono
assicurarsi la pace mentale, se non hanno alcun contatto con la
Provvidenza infinita, eterna, immutabile e onnipotente? Quando si
tiene Dio per ultimo, la vita è persa.
[3] Il poema epico Mahābhārata insegna la medesima lezione. Tra i
cinque fratelli Pāṇḍava, Arjuna era il terzo. Dei cento figli Kaurava
(cugini dei Pāṇḍava), Duryodhana era il più anziano. I Kaurava covavano
un’invidia e un odio talmente profondi nei confronti dei
Pāṇḍava che una guerra fratricida divenne inevitabile. Entrambe le
parti cercarono di assicurarsi validi alleati e le dovute risorse. I
Pāṇḍava seguirono le regole morali ed erano fedeli a Śrī Kṛṣṇa, che
riverivano come Dio.
Per conto dei suoi fratelli, Arjuna si recò in gran fretta a Dvārakā
per assicurarsi l’armamento più prezioso che essi conoscevano, vale
a dire le benedizioni di Kṛṣṇa. Non appena Duryodhana venne a
sapere della partenza di Arjuna, cercò di anticipare il nemico e si
mise in viaggio per giungere a Dvārakā prima possibile. Kṛṣṇa, il
divino Attore, consapevole dell’arrivo dei due rivali che venivano a
chiedere i Suoi favori, si coricò tranquillamente sul letto fingendo di
essere profondamente addormentato.
Arjuna giunse sul posto; poiché non era solo un devoto ma anche
un compagno e un parente di Kṛṣṇa, entrò nella stanza in punta di
piedi e, prendendo da un angolo uno sgabello a tre piedi, si mise a
sedere in modo rispettoso accanto ai Suoi piedi di loto.
Da parte sua, Duryodhana entrò con impeto, in modo pomposo con
l’aria di un monarca dominante. Era troppo orgoglioso per sedersi e
attendere, come aveva fatto Arjuna. Alla testa della branda trovò
una sedia dallo schienale alto, dove si lasciò cadere pesantemente
con un sospiro. Quando l’ego gonfia la testa, l’uomo diventa ribelle
e brutale; infatti Duryodhana era agitato e fumava di rabbia per
quel ritardo.
[4] Kṛṣṇa era divertito per l’irrequietezza del richiedente Kaurava,
che aveva osato emettere alcuni finti colpi di tosse per svegliarlo.
Arjuna, invece, si sforzava di respirare lievemente e in silenzio. Alla
fine Kṛṣṇa si mise seduto e, vedendo Arjuna che stava di fronte a
Lui con le mani giunte, gli parlò con la Sua caratteristica dolcezza:
“Oh! Quando è arrivato lo yogī? Come stai? Come sta Draupadī? E i
tuoi fratelli?” Duryodhana era consumato dall’invidia, dall’ira e
dall’orgoglio, e Kṛṣṇa continuò ad attizzare il fuoco godendo di
quella scena.
Duryodhana pensò tra sé: “Un imperatore ha onorato la Sua casa!
Tuttavia questo ‘ammasso di presunzione’ parla così a lungo e così
intimamente con quell’uomo comune, come se io non esistessi. È
questo il modo di trattare gli ospiti?”
A quel punto, Kṛṣṇa si girò verso di lui, rivolgendogli una domanda:
“Quando sei arrivato? I tuoi genitori stanno bene? Come vanno
le cose con i tuoi fratelli?” Duryodhana rispose: “La guerra inizierà
presto e io chiedo il Tuo aiuto.” Nell’udire quelle parole, Kṛṣṇa
chiese ad Arjuna: “Tu che cosa chiedi?” Arjuna rispose: “Chiedo la
Tua benedizione.” Allora Kṛṣṇa ideò per loro un bel dilemma.
Kṛṣṇa propose di dare a una delle parti il Suo esercito di diecimila
guerrieri, e all’altra solo Sé stesso, e disse ad Arjuna: “Non intendo
impugnare armi né combattere. L’unica cosa che farò è l’auriga. Ora
fai la tua scelta!” Duryodhana era furioso e pensò tra sé: “Questo è
un insulto calcolato, gli ha permesso di scegliere per primo, così i
diecimila guerrieri saranno suoi, e io sarò solo gravato da questo
‘sacco’ di pelle scura.” Tale era il suo timore.
Kṛṣṇa voleva che fosse Arjuna a decidere quale delle due proposte
scegliere, quindi lo incitò dicendo: “Ho visto te per primo, perciò
devi essere tu il primo a scegliere.” Duryodhana era sulle spine.
Arjuna pose il capo sui piedi di Kṛṣṇa e disse: “Tu sei tutto quello di
cui abbiamo bisogno.” Egli sapeva che Kṛṣṇa era Dio, l’Incarnazione
del potere, della saggezza e dell’amore e lo supplicò: “Ti prego,
sii l’auriga del mio carro da guerra come pure del viaggio della mia
vita.”
Duryodhana si sentì sollevato poiché preferiva la natura al Signore
della natura, così condusse i diecimila uomini al suo campo. Arjuna
invece aveva preferito Dio che si era seduto davanti a lui sul carro e
l’avrebbe guidato alla vittoria. Alla fine Duryodhana venne punito
con la sconfitta, il disonore e la morte poiché aveva preferito il
mondo a Dio, che è il suo soffio vitale.
[5] Durante la battaglia, un giorno al tramonto Kṛṣṇa portò il carro
al campo dei Pāṇḍava. Arjuna era così orgoglioso ed esaltato per il
successo delle sue imprese sul campo di battaglia che prese per sé il
posto d’onore, relegando Kṛṣṇa al secondo; egli si sentiva il Signore,
mentre Kṛṣṇa non era che l’auriga che teneva in mano le redini e la
frusta; perciò Arjuna continuò a insistere affinché l’auriga saltasse
giù dal carro e disponesse la scaletta per far scendere a terra anche
lui. Kṛṣṇa sapeva di cosa Arjuna soffriva ed era determinato a curarlo.
Così ordinò severamente ad Arjuna di scendere dal carro.
Arjuna non poteva disubbidire perché aveva bisogno dei servigi di
Kṛṣṇa ancora per alcuni giorni!
Non appena si allontanò dal carro di alcuni passi, Kṛṣṇa si alzò e
saltò giù dal sedile; mentre balzava giù, i gioielli che portava alle
orecchie, alle spalle e al petto brillarono con un bagliore accecante.
Nel momento stesso in cui Kṛṣṇa toccò terra, il carro fu avvolto dalle
fiamme e si ridusse a un cumulo di cenere!
[6] Kṛṣṇa spiegò allo stupito Arjuna il motivo dell’accaduto. Quel
giorno i nemici avevano lanciato molte frecce di fuoco contro il carro
con l’obiettivo di uccidere Arjuna, ma Kṛṣṇa le aveva bloccate
tutte; tuttavia, se avesse lasciato il Suo posto mentre Arjuna era ancora
sul carro, quest’ultimo sarebbe stato travolto da un violento
incendio. Per fortuna Arjuna aveva ceduto e si era sottomesso, così
si era salvato. Egli aveva appreso la lezione che l’uomo deve sforzarsi
di compiacere Dio prima di tutto, in secondo luogo il mondo e
per ultimo sé stesso.
Durante gli atti di adorazione che tenete nei templi o davanti agli
altari domestici, voi offrite a Dio il naivedya, cibo in forma di frutta e
dolci. Il cibo acido o amaro non viene offerto perché Dio è la dolcezza
personificata, perciò guadagnatevi la Sua grazia evitando un
temperamento acido e un comportamento amaro. Colmate ogni vostro
pensiero, parola e azione con la dolcezza dell’amore. Allora potrete
fare il vostro ingresso sul campo di battaglia del mondo sicuri
della vittoria, poiché Dio ha promesso di servirvi come vostro Auriga!

Praśānti Nilayam, 11.07.1985