7 Marzo 1978
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La Fonte di ogni Bene
[1] Śivarātrī è un giorno di buon auspicio per tutti; è una festa in
onore del Signore Śiva che si tiene il quattordicesimo giorno di luna
calante nel mese di febbraio-marzo, secondo il calendario lunare,
quando il sole è nel segno dell’Acquario. La festività, tuttavia, è in
relazione più con la luna che con il sole, ed è il motivo per cui è detta
śivarātrī, la notte dedicata a Śiva. A differenza di tutte le altre, è
una notte speciale perché è di consacrazione e d’illuminazione.
Candra, la luna, è la Divinità che presiede alla mente e, dopo il plenilunio,
ogni giorno successivo perde una frazione della sua luminosità
e continua a calare sino alla quattordicesima notte, in cui resta
solo l’ultima frazione del suo splendore. La luna calante rappresenta
la mente con tutte le sue bizzarrie e ostinazioni, che gradualmente
si riducono dopo avere sottoposto la mente a una costante
disciplina spirituale. In questa notte speciale rimane solo una minima
frazione della mente, che può essere conquistata vegliando e
contemplando la gloria di Dio. La veglia prescritta simboleggia la
costante vigilanza che l’aspirante spirituale deve esercitare, mentre
il rito del digiuno significa privare i sensi dei piaceri che essi bra-
mano di continuo; il canto ininterrotto dei bhajan per tutta la notte
significa avere la costante consapevolezza della Divina Presenza,
consapevolezza che tutti devono coltivare e conseguire. I riti e i voti
prescritti per śivarātrī non lo sono per le altre notti dell’anno, ma osservarli
a śivarātrī vi aiuterà a comprendere che sono di grande utilità.
[2] Ci sono tre tipi di uomini: il pluri-centrato, il mono-centrato e il
non-centrato. Il primo gruppo consente ai sensi, alla mente e all’intelligenza
di vagare ovunque ed è molto numeroso. Anche la terza
categoria comprende persone che svolazzano da un obiettivo all’altro,
e saltellano da una cosa all’altra con indifferenza e superficialità.
Per acquisire la concentrazione e un’attenzione centrata su un
unico obiettivo, che è la caratteristica del ‘mono-centrato’, la festività
di śivarātrī è molto propizia. In tale ricorrenza, anche il canto continuo
dei bhajan e il ricordo del nome di Dio contribuiscono a ottenere
una ‘centratura’ univoca e mono-direzionale.
Dovete rendervi conto che il canto dei bhajan, la costante ripetizione
del nome di Dio e i riti di adorazione non sono eseguiti per compiacere
o propiziare Dio, ma sono previsti per il vostro progresso spirituale.
Di solito la gente ha l’abitudine di adulare i ricchi e i potenti
per ottenere dei favori, soprattutto se è alle loro dipendenze o è in
debito con loro; ma Dio non elargisce la Sua grazia ai devoti perché
cantano le Sue lodi, né li punisce se non lo adorano. La ripetizione
degli attributi divini vi permette solo di riflettere sui nobili ideali e
di avvicinarvi sempre più alla Divinità che è la vostra vera natura.
[3] Voi diventate quello che contemplate; mantenendo il pensiero
fisso su un ideale, quello verrà impresso nel vostro cuore. Se continuate
a fissare i pensieri sul male commesso dagli altri, la vostra
mente verrà contaminata dal male stesso. Se invece concentrate la
mente sulle virtù o sul bene fatto dagli altri, la vostra mente verrà
purificata da ogni male e formulerà solo pensieri buoni e positivi.
Nessun pensiero malvagio può introdursi nella mente di chi è interamente
votato all’amore e alla compassione. I pensieri sui quali vi
soffermate plasmano la vostra natura ed esercitano, unitamente a
coloro che vi circondano, la loro influenza su di voi. Ad esempio, se
attivate il dispositivo del flash per fotografare un amico, il suo volto
verrà illuminato ma, in una certa misura, lo sarà anche quello del
fotografo.
Se passa il camion dei rifiuti, voi sentite il cattivo odore anche se vi
trovate lontano; allo stesso modo, un pensiero può essere momentaneo,
banale, eppure la sua impressione, il suo effetto sulla mente
non può essere evitato. Poiché i grandi saggi del passato erano ben
consapevoli di questa importante verità, hanno dichiarato:
Brahmavid brahmaiva bhavati
Chi conosce il Brahman diventa invero il Brahman.
(Muṇḍaka Upaniṣad 3.2.9)
L’unico modo per diventare il Brahman1 è essere sempre immersi
nella contemplazione del Brahman.
Se mettete un grano di sale sulla lingua, come potrete gustare la
dolcezza del miele o della frutta? Se invece sulla lingua mettete una
zolletta di zucchero, come potrete sentire il sapore del sale e delle
spezie? Immergete la mente in pensieri buoni e il mondo sarà buono;
inondate la mente di pensieri malvagi e il mondo per voi sarà
malvagio.
Pertanto, ricordate solo il bene, pensate, progettate e fate solo il bene,
parlate e agite solo per il bene. Allora come risultato vi avvicinerete
a Dio, la Fonte di ogni Bene. Questo è il messaggio di śivarātrī!
[4] Secondo la numerologia, le prime tre sillabe della parola śivarātrī
(śi-va-rā) corrispondono ai numeri 5, 4, 2 e la quarta sillaba (trī) significa
‘tre’. La somma dei numeri 5, 4, 2 simboleggia gli undici
rudra2. Il termine rudra significa ‘Colui che fa piangere l’uomo’.
Gli undici rudra rappresentano i cinque sensi di percezione, i cinque
sensi di azione e la mente; questi portano l’individuo fuori strada,
lo spingono a ricercare piaceri futili e momentanei, lo rovinano e,
alla fine, lo fanno piangere.
Ma se l’uomo si sforza di affidarsi al Sé e di realizzarlo, l’ātma3 diffonderà
i suoi raggi sugli undici organi suddetti e li renderà validi
collaboratori; così questi contribuiranno al progresso dell’uomo
verso la realizzazione di sé. I raggi emanati dall’ātma illuminano
l’intelligenza; l’intelligenza illuminata mette in guardia la mente, e
la mente in stato di allerta terrà i sensi sotto controllo spianando la
via per procedere attraverso la conoscenza verso la saggezza.
Ora vi illustrerò un altro significato di śivarātrī. Śiva o il paramapuruṣa4,
l’Essere Supremo Eterno Assoluto, volendo attirare prakṛti5 a
Sé, esegue la danza cosmica tāṇḍava6 che è il Piano divino per attirare
l’intera creazione.
Tutti i miracoli divini come quelli di Rāma7 (Colui che dà gioia e delizia)
e di Kṛṣṇa8 (Colui che attrae e incanta) sono intesi per attirare
gli uomini alla Presenza divina, al fine di redimerli e di rafforzare la
loro fede. Questo li indurrà a praticare la disciplina spirituale e il
servizio affinché possano immergersi con gioia nella sorgente della
beatitudine. In tal modo il miracolo (camatkāra) porterà alla purificazione
e alla trasformazione che induce a fare servizio e ad aiutare
il prossimo (paropakāra) e, alla fine, conferirà la diretta visione della
verità o del Divino (sākṣātkāra).
[5] La danza tāṇḍava è così veloce che dal corpo di Śiva emana il
fuoco, a causa dell’immenso calore generato da quel moto continuo.
Per rinfrescare Śiva e dargli un po’ di refrigerio, la Sua consorte
Pārvatī gli posa il fiume Gange sulla testa, mette la luna crescente
tra i Suoi riccioli, gli applica la fresca pasta di sandalo su tutto il
corpo, gli arrotola attorno ai polsi e alle caviglie serpenti a sangue
freddo e infine, essendo lei stessa la figlia dell’Himālaya, le montagne
dalla neve perenne, si siede in grembo a Lui e diviene parte di
Lui. A quel punto Śiva si alza ed entrambi, puruṣa e prakṛti, danzano
insieme per la delizia di tutti gli Dei e dell’intera creazione. Secondo
i purāṇa9, tutto ciò avviene proprio il giorno di śivarātrī.
[6] Il significato di questa leggenda è che dobbiamo compiacere il
Signore e conquistare la Sua grazia. È un vero peccato che molti trascorrano
una giornata di così grande importanza spirituale con passatempi
insignificanti e addirittura nocivi; poiché è prescritta una
notte di veglia, molti la passano guardando una serie di film o giocando
a carte. Un individuo che si rigira nel letto perché non riesce
a prendere sonno può affermare che sta osservando un voto di ve-
glia? Una cicogna che sta sulla sponda di un fiume su una sola
zampa, pronta a catturare un pesce e a ingoiarlo, può dichiarare che
sta praticando la meditazione? Un uomo che rifiuta di pranzare
perché ha litigato con la moglie può asserire che sta osservando il
digiuno? Non esistono scorciatoie né trucchi possibili nella via spirituale!
[7] La festività di śivarātrī è celebrata in tutti i templi dedicati a Śiva,
e Śrīśailam è un tempio di Śiva particolarmente famoso; a questo
proposito vi racconterò una bella storia.
Ai piedi dei colli Śrīśailam c’è un villaggio in cui un bambino di
nove anni di nome Bāla Rāmanna frequentava la scuola elementare.
I suoi compagni di classe gli dissero che le loro sorelle e i cognati
sarebbero arrivati per celebrare insieme la festività di śivarātrī sui
colli Śrīśailam.
Rāmanna andò a casa e voleva che sua madre mandasse anche sua
sorella e suo cognato a celebrare tale ricorrenza. La madre disse al
ragazzo che lui non aveva una sorella e quindi neanche un cognato,
ma Rāmanna non intendeva ascoltarla e insisteva che anche lui doveva
avere una sorella e un cognato come i suoi compagni. Allora
sua madre per tranquillizzarlo gli disse: “Tu hai una sorella e un
cognato, ma sono nel tempio sui colli Śrīśailam, e si chiamano
Bhramarāmba e Mallikārjuna.” La madre gli aveva indicato i nomi
di Śiva e della Sua Consorte; infatti Bhramarāmba significa ‘ape’ e
Mallikārjuna significa ‘gelsomino bianco’. Questi nomi sono molto
appropriati perché la Consorte ottiene ispirazione, conoscenza e
saggezza dal Signore, proprio come l’ape riceve il suo nutrimento
dai fiori di gelsomino.
Allora Rāmanna disse che voleva andare in quel tempio per invitare
a casa la sorella e suo cognato per stare un po’ di tempo con loro, e
che voleva offrire loro un bel regalo; sua madre disse che i due era-
no fin troppo ricchi e che i componenti più giovani della famiglia
non devono regalare niente agli adulti. Infine la madre mandò il ragazzo
con un vicino che sarebbe andato a quel tempio per partecipare
alla festività di śivarātrī.
Rāmanna corse in cima al colle e si precipitò nel tempio gridando:
“Sorella…Cognato” e si gettò ai piedi della statua di Bhramarāmba,
l’abbracciò e cominciò a trascinarla perché voleva che lo accompagnasse;
poi strinse a sé l’idolo di Mallikārjuna e non lo lasciava più.
Alla fine, i preti bramini del tempio lo allontanarono pensando che
fosse un ragazzo impazzito.
Preso dalla disperazione, Rāmanna salì su una cima rocciosa e minacciò
di saltare giù da quell’altezza, se sua sorella e il marito non
fossero andati con lui. Nello stesso istante il ragazzo udì una voce
potente provenire dal tempio che diceva: “Rāmanna! Non saltare
giù! Veniamo con te…” Immediatamente il Signore Śiva e la Sua
Consorte apparvero davanti a lui e lo accompagnarono a casa nella
valle sottostante. La madre e il figlio erano così inondati di beatitudine
celeste che si unirono al Divino e non si videro mai più.
Così questa storia è andata ad accrescere la santità del santuario di
Bhramarāmba e di Mallikārjuna a Śrīśailam.
[8] A quei tempi i bambini e persino gli adulti avevano una mente
innocente, un cuore semplice e puro e nobili ideali. Oggi invece il
cinismo e l’incredulità sono dilaganti, c’è un’ondata di negligenza e
d’indolenza che travolge tutti; molti attribuiscono dieci significati
diversi a ogni parola pronunciata, nessuno dei quali è corretto. Se
viene menzionato un argomento, essi escogitano subito una serie di
‘contro-argomentazioni’ e sollevano un tale polverone che la verità
viene completamente celata e ignorata. La loro vita è artificiosa e gli
ideali sono vacui e futili, perciò la Divinità rimane fuori della loro
portata.
Bāla Rāmanna aveva una fede incrollabile; dedicò il suo puro Sé al
Signore e raggiunse la meta. Voi dovete innalzare sempre le cose di
basso livello a un livello più alto, e colmarle di un significato più
elevato. Rāmanna era convinto che l’idolo di pietra fosse Dio, ma
non abbassò Dio al livello di una statua di pietra. Potete adorare
un’immagine come Dio, ma non dovete credere che Dio sia un’immagine.
Si può presumere che il legno, la pietra o la creta siano divini,
ma la Divinità non va limitata al legno, alla pietra o alla creta.
[9] Abbiate ideali nobili, sforzatevi di elevarvi, avanzate verso la
meta più alta: Dio. Qualunque siano gli ostacoli o le avversità, non
lasciatevi scoraggiare; abbandonate i tratti animali che sono in voi,
consolidate e rafforzate le virtù umane e procedete impavidi verso
la realizzazione del Divino. Non vacillate, non puntate oggi verso la
devozione, domani verso la gratificazione dei sensi e il giorno dopo
di nuovo verso la devozione. Se le cose vanno bene, siete dediti alla
devozione; se qualcosa va storto vi disperate, se viene applicata la
disciplina cominciate a tirarvi indietro, se viene elargito amore siete
in prima fila. Questo atteggiamento duale deve essere abbandonato!
Proprio il Principio Divino che molti ricercatori si sforzano di vedere
dopo lunghi anni di ascetismo e rinuncia, di ripetizione dei nomi
divini e di penitenza, è davanti a voi qui e ora: rendetevi conto dell’immensa
fortuna che avete! Oggi in questo santo giorno di śivarātrī,
vi ho concesso la grazia di perdonare tutti gli errori da voi
finora commessi, intenzionalmente o in modo inconsapevole.
Abbiate quindi pensieri benevoli per tutti, pronunciate parole di
buon auspicio, fate azioni propizie e di buon augurio, e come risultato
conseguirete la Personificazione di ogni maṅgala (felicità, fortuna,
prosperità), vale a dire Śiva stesso.
Mahāśivarātrī, Bṛndāvan, 07.03.1978