6 Settembre 1977 – L’avatār Kṛṣṇa

6 Settembre 1977

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

L’avatār Kṛṣṇa

[1] Oggi si celebra l’anniversario della nascita di Kṛṣṇa. Egli era nato
in prigione, un fatto che ci insegna che Dio deve incarnarsi, ovvero
manifestarsi nella buia e angusta prigione del nostro cuore per
permetterci di ricevere luce e ottenere la libertà.
Māyā è l’illusione che cela la verità dell’Essere; essa tende a considerare
il corpo fisico come la verità, e sollecita a soddisfare i desideri
del corpo. L’uomo quindi dimentica il Divino e ascolta invece la
chiamata dell’animale in lui, di conseguenza si stacca dal suo nobile
ideale. Quando invece Kṛṣṇa nasce nel profondo della mente umana,
l’uomo si salva; perciò egli deve essere consapevole di Dio che
risiede entro la cavità del suo cuore.
Ieri mentre tornavamo da Ooty ci siamo fermati al santuario di
Bandhipur e, a dorso di un elefante addestrato, ci siamo diretti verso
la foresta per vedere gli elefanti selvatici; quando abbiamo intravisto
una proboscide fra gli arbusti, siamo stati pervasi da un’immensa
gioia. Seduti su un elefante addomesticato, cercavamo con
ansia un elefante nel suo habitat naturale, esente da abitudini artificiali
e capacità forzate.
Così anche l’uomo ignora il Sé, che è dentro di lui nel suo habitat
naturale, e va alla ricerca di ombre che lo attraggano.
[2] Il Signore Kṛṣṇa era nato come l’ottavo figlio di Devakī. Questo
fatto ha un significato particolare: il samādhi1 è l’ottavo stadio del
percorso spirituale; le fasi precedenti sono: abbandono dell’attaccamento
al corpo e ai sensi (yama); pratica gioiosa del sacrificio, della
rinuncia, dell’abbandono a Dio e amore stabile e costante per
l’Assoluto (niyama); controllo della postura (āsana); controllo della
respirazione (prāṇāyāma); ritiro dell’attenzione nella coscienza interiore
(pratyāhāra); concentrazione (dhārāṇā); meditazione o ininterrotto
dimorare della coscienza soggettiva in quella divina (dhyāna).
Questi otto stadi sono conosciuti come aṣṭāṅga yoga, ovvero l’ottuplice
sentiero di purificazione e progresso spirituale formulato dall’antico
saggio Patañjali nel suo Yoga Sūtra.
Il Signore potrà essere visto solo quando i primi sette stadi saranno
raggiunti con successo e la mente sarà purificata da ogni impurità.
Il termine samādhi viene generalmente identificato con una temporanea
perdita di coscienza, o addirittura, con un temporaneo innalzamento
della coscienza; in realtà, va valutato secondo l’effetto che
esercita sull’individuo e secondo la sua attitudine verso sé stesso e
gli altri.
Samādhi significa sama (uguale) dhi (intelligenza): è l’intelligenza che
coglie la fondamentale uguaglianza di ogni essere. In tale stato,
scompariranno non solo tutte le sensazioni di differenza e distinzione,
ma persino l’idea di caldo e freddo, dolore e gioia, buono e
cattivo diverrà insignificante e priva di senso. Quando l’uomo raggiunge
il samādhi, il Signore nasce automaticamente nella sua coscienza.
Nel momento stesso in cui Kṛṣṇa nacque, le catene che tenevano legato
suo padre caddero a terra e si sciolsero, le porte che erano state
sprangate con solidi catenacci si aprirono, e le guardie della prigione
erano talmente immerse nella beatitudine che non si resero conto
di quanto stesse accadendo nel mondo materiale. Il fuoco dell’odio
che bruciava in loro si era spento e l’oscurità aveva lasciato il posto
all’alba della saggezza.
Dal cielo era scesa la pioggia per ammorbidire il duro suolo e far
depositare la polvere. Come possono gli elementi operare contro la
Volontà divina? Il suono, il tatto, la luce, il sapore e l’odore, tutti divennero
sublimi per celebrare la nuova era di pace e prosperità.
[3] Vasudeva, il padre di Kṛṣṇa, sentì la ‘voce’ che lo guidava e ne
seguì le istruzioni. Quindi mise il bimbo appena nato in un cestino,
se lo pose sulla testa per attraversare il fiume Yamunā che divise le
sue acque per permettergli di passare, e raggiunse il gokulam dove
Yaśodā2, la consorte di Nanda, aveva appena partorito.
Non appena Vasudeva uscì dalla prigione, un asino ragliò forte per
annunciare lo straordinario evento; temendo che le guardie si svegliassero,
Vasudeva depose a terra il cestino, con le mani strinse i
piedini del bambino e lo pregò di tenere le guardie addormentate:
tale era la profondità della sua devozione per il Signore.
Quando Vasudeva entrò nella casa di Nanda, Yaśodā aveva appena
partorito una bambina. Non c’era nessuno là, tranne Rādhā, sorella
di Nanda, che aveva nove anni.
Vasudeva prese la bambina appena nata e depose il piccolo Kṛṣṇa
vicino a Yaśodā. Quella bambina era l’incarnazione di māyā śakti, il
potere dell’illusione, che accompagnava l’avatār del Signore. Anche
yoga śakti, il potere di unione e auto-controllo, doveva seguire sempre
l’avatār e si manifestò come Suo fratello Balarāma, nato da
Rohiṇī, un’altra moglie di Vasudeva.
Māyā śakti interpretò il suo ruolo non appena venne posta nel letto
vicino a Devakī; cominciò a piangere forte svegliando le guardie, le
quali riferirono a Kaṁsa3 la nascita della bambina. Quest’ultimo si
aspettava che l’ottavo figlio fosse un maschio, ma in ogni caso prese
la bambina e la scaraventò contro una roccia. Allora māyā śakti si librò
alta nell’aria e dichiarò che chi avrebbe ucciso Kaṁsa stava crescendo
al sicuro nel gokulam.
[4] Anche se Kaṁsa fece una strage di tutti i bambini piccoli del
gokulam, Kṛṣṇa riuscì sempre a sfuggirgli e uccise i vari emissari che
Kaṁsa aveva inviato con diversi pretesti.
Pūtana, che era un demone, assunse un’incantevole forma femminile,
arrivò alla casa di Nanda e si offrì di allattare il piccolo, dicendo:
“Madre, voi avete perso un gran numero di neonati, forse il mio latte
potrebbe salvare questo piccolo.” Yaśodā, credendo che fosse una
donna piena di compassione e che il suo latte avesse l’effetto miracoloso
che lei vantava, mise il piccolo nelle braccia di Pūtana; ma
Kṛṣṇa che conosceva bene le sue intenzioni, le risucchiò il respiro
vitale finché la lasciò priva di vita.
[5] Ma prestiamo ora più attenzione al bambino che alle Sue gesta.
Tutte le Sue imprese rivelano che Kṛṣṇa era divino e che nessuno
poteva fargli del male o sopprimerlo. Secondo le credenze popolari,
a Kṛṣṇa fecero i buchi alle orecchie e al naso per tenere lontano la
morte, che aveva portato via molti neonati; anche al naso gli misero
un anello d’oro con una piccola perla.
La perla si trova quando ci si immerge nelle profondità del mare e
simboleggia la discriminazione (viveka) che si acquisisce dopo aver
esplorato a fondo i segreti del mondo oggettivo. Poiché la perla
adorna la punta del naso, sta a indicare la necessità di concentrarsi,
di meditare sulla punta del naso tenendo gli occhi socchiusi; se gli
occhi fossero completamente aperti, l’attenzione verrebbe distolta,
se fossero chiusi ci sarebbe il rischio di addormentarsi. Quindi gli
occhi devono essere socchiusi e fissare la punta del naso, dove
Kṛṣṇa portava la perla.
La carnagione di Kṛṣṇa non era chiara né scura, era per tre quarti
scura e per un quarto chiara. I Suoi genitori che appartenevano alla
tradizione vaiṣṇava (seguaci di Viṣṇu) gli avevano tracciato sulla
fronte una linea (tilaka) di muschio; Kṛṣṇa portava ai polsi dei braccialetti
(kaṅkaṇa) d’argento, come a quei tempi usavano fare i giovani
mandriani, ma quei cerchietti non erano semplici braccialetti,
avevano implicazioni profonde.
[6] Un rituale che ogni indù deve compiere prima d’intraprendere
qualsiasi iniziativa di natura sacra, come eseguire un rito sacrificale
o fare un voto, è di mettersi al polso un braccialetto o kaṅkaṇa che
simboleggia la sua determinazione ad adempiere quel voto o a
svolgere i doveri propri di quello stadio della vita. Kṛṣṇa aveva fatto
tre voti e i braccialetti erano il simbolo della sua determinazione
ad adempierli. Come Kṛṣṇa stesso ha menzionato nella Gītā, i tre
voti sono i seguenti:
paritrāṇāya sādhūnāṁ
vināśāya ca duṣkṛtām |
dharmasaṁsthāpanārthāya
saṁbhavāmi yuge yuge ||
Per la protezione dei giusti,
per la distruzione dei malvagi,
per ristabilire il regno del dharma,
Io discendo di era in era.
BG 4.8
ananyāś cintayanto māṁ
ye janāḥ paryupāsate |
teṣāṁ nityābhiyuktānāṁ
yogakṣemaṁ vahāmy aham ||
Coloro che, sempre concentrati,
meditano su di Me senza altro pensiero,
del loro benessere Io mi faccio carico ora e sempre.
BG 9.22
sarvadharmān parityajya
mām ekaṁ śaraṇaṁ vraja |
ahaṁ tvā sarvapāpebhyo
mokṣyayiṣyāmi mā śucaḥ ||
Abbandona tutti i dharma.
Prendi Me come tuo unico rifugio.
Io ti libererò da tutti i peccati. Non temere.
BG 18.66
Così Kṛṣṇa assicurò che avrebbe salvato l’uomo dalla povertà, dal
dolore, dal peccato e dalle sue terribili conseguenze, purché egli rimanesse
attaccato a Lui e lo adorasse. Inoltre assicurò che sarebbe
venuto in forma umana per portare l’umanità sulla via del dharma,
liberandola così da ogni sofferenza e dal perenne ciclo delle nascite
e delle morti.
[7] Quando promette la Sua grazia a tutti coloro che lo adorano
senza altro pensiero, Kṛṣṇa dichiara che non c’è limitazione di casta,
credo, colore o paese d’origine e che nessuno ottiene favori speciali
in virtù della sua erudizione, età o classe sociale. Kṛṣṇa era l’Incarnazione
di prema, e il Suo divino amore non aveva limiti.
Quanto siete fortunati ad avere oggi in mezzo a voi lo stesso Kṛṣṇa,
il prema-avatār, la Divina Incarnazione d’Amore!
Ora vi mostrerò proprio il kaustubha, il famoso gioiello, che portavo
a quei tempi.
[A questo punto Baba fa roteare la mano e in un istante, con un bagliore
luminoso, appare nella Sua mano un gioiello straordinario, il kaustubha,
tanto celebrato nel Bhāgavata e nei Purāṇa. È uno smeraldo verde-blu di
una luminosità ineguagliabile, di forma rettangolare, contornato da
splendidi diamanti, appeso a una catena d’oro. Poi Baba si dirige verso
gli studenti, gli insegnanti e i presenti permettendo loro di ammirare da
vicino il sacro gioiello].
[8] Kṛṣṇa si muoveva in mezzo agli uomini come una persona comune
e li attirava a Sé con il Suo divino amore, inducendoli a osservare
le Sue regole e direttive. Egli si asteneva dall’esibire i simboli
divini, come la conchiglia, il disco, la mazza e il loto, e non portava
neppure una corona.
Quando era un ragazzo, conduceva le mucche al pascolo con solo
un asciugamano legato attorno al capo.
[Ora Baba chiede un asciugamano piuttosto lungo e se lo avvolge attorno
alla testa per far vedere ai presenti come appariva Kṛṣṇa a quei tempi.
Baba aggiunge che allora c’erano molti pavoni nell’area attorno a
Bṛndāvan e al gokulam, e quando Kṛṣṇa vedeva a terra una penna di pavone
se la infilava fra le pieghe dell’asciugamano. È un raro momento di
grande gioia quando Baba si mostra come il ragazzo Gopāla alle centinaia
di devoti incantati e riverenti.]
[9] Quando i Pāṇḍava celebrarono i due grandi riti aśvamedha yāga e
rājasūya yajña4, Kṛṣṇa chiese che gli venisse assegnato qualche compito
in modo da essere di utilità e di servizio. Pur potendo distruggere
l’intera dinastia Kaurava, Egli fece ogni sforzo per infondere in
loro il buon senso e per salvarli. Oggi come allora, l’insegnamento e
il messaggio sono i medesimi: “Conosci te stesso, quello è l’unico
modo per conoscere Me!”
Voi siete collegati con tutti gli esseri viventi, perciò conquistate il
loro amore attraverso l’amore, correggete la loro visione e purificate
la loro coscienza, induceteli a realizzare Dio che è la loro essenza:
questo è il compito che vi è assegnato.
Se il Signore non assume la forma umana, nessuno si avvicinerà; se
l’aspetto è quello di un ‘super-uomo’, tutti se ne staranno alla larga.
Come dichiarano i sacri testi (śāstra):
daivam mānuṣa rūpeṇa
Il Divino in forma umana
deve venire per salvare l’umanità.
[10] I cinque elementi sono i prodotti della Volontà del Signore, perciò
essi obbediscono alla Volontà di Kṛṣṇa. Quello che Kṛṣṇa ha detto
si è avverato! Infatti la sola corretta definizione di Verità è quello
che Kṛṣṇa afferma. Credete a tali parole, abbiate una fede salda!
Un giorno Kṛṣṇa stava passeggiando con Arjuna, quando vide un
uccello appollaiato sul ramo di un albero e gli disse: “Vedi quel pavone?”
Arjuna rispose: “Sì, certo.” “Ma Arjuna! Non è un pavone, è
un’aquila,” – osservò Kṛṣṇa, e Arjuna prontamente acconsentì ammettendo
che era un’aquila. Poi Kṛṣṇa si corresse e indicando lo
stesso uccello, disse: “Ah scusa, è una colomba.” Anche Arjuna si
corresse e affermò: “Sì, ora vedo, è una colomba.”
Kṛṣṇa rise di Arjuna ed esclamò: “Non è affatto una colomba, è un
corvo!” Senza alcuna obiezione, prontamente Arjuna ammise: “Indubbiamente,
è un corvo.” A quel punto, Kṛṣṇa accusò Arjuna di
stupidità perché approvava ciecamente qualsiasi osservazione da
Lui fatta: pavone, aquila, colomba o corvo. Allora Arjuna rispose:
“Quello che Tu dici è la Verità per me. Tu puoi fare di un corvo una
colomba, o di un pavone un’aquila. Perché dovrei dissentire da
quanto dichiari? La Tua parola è la Verità da cui mi lascio guidare.”
[11] Anche voi dovete sviluppare una fede simile senza lasciarvi
deviare dal vostro egoismo o dal cinismo degli altri. Sviluppate la
discriminazione, il distacco e la rinuncia, e il vostro cuore sboccerà
in fragrante bellezza.
Qui avete un’immagine di Sai che sta su un fiore di loto; allo stesso
modo Sai Kṛṣṇa s’insedierà nel loto del vostro cuore, sarà sempre
con voi come custode e guida, ed elargirà su di voi la Sua grazia. Sai
sarà la Madre, il Padre, il Precettore, il parente più stretto: Egli è il
vostro Tutto!
Pertanto desidero che voi studiate e impariate bene le materie che
fanno parte del corso di studio; svolgete il vostro dovere di studenti
al meglio delle vostre capacità e della vostra intelligenza. Mettete in
pratica le discipline che vi vengono imposte per il vostro progresso;
praticate la meditazione e la ripetizione di un mantra, coltivate l’attitudine
a servire tutti. Siate figli buoni e cittadini retti, fate onore alla
famiglia, alla società e al Paese!

Ostello Śrī Sathya Sai, Bṛndāvan, 06.09.1977