6 Giugno 1978
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Immergersi nella Coscienza di Kṛṣṇa
[1] In questa vita, come pure nelle successive, l’uomo ha il sacrosanto
dovere di conoscere e fare esperienza della Causa Prima dell’universo,
e di tutto l’amore e la dolcezza che questa evoca in lui.
Così potrà ottenere la beatitudine incondizionata perché tutta la sua
infelicità è dovuta alla separazione dalla Sorgente universale.
L’uomo è la personificazione di sat-cit-ānanda1, e per essere felice
deve prenderne coscienza.
Se l’individuo pensa di non essere sat2, ma un’entità inferiore soggetta
al declino, al decadimento e alla morte, sarà perseguitato dalla
paura e dall’insicurezza.
Se crede di non essere cit3, sarà immerso nel dubbio e catturato dall’arte
della dialettica, e vagherà lungo i tortuosi sentieri dell’illusione
e dell’inganno.
Se ritiene di non essere ānanda, sarà afflitto anche dal più banale soffio
di delusione e soffrirà per ogni insignificante sconfitta.
La Causa Prima dell’universo è sat-cit-ānanda, e poiché anche l’uomo
è una scintilla di quella Causa Prima, è costituito dalle medesime
caratteristiche.
La divina Volontà originaria ha voluto che tutto questo fosse manifesto.
‘Quello’ che è la personificazione di tale Volontà deve essere
adorato e ricordato con gratitudine, perché noi siamo le espressioni
[i riflessi] di quella Volontà, perciò merita tutto il nostro amore e la
nostra adorazione. Le gopī e i gopa4, pur non essendo istruiti e non
conoscendo le dottrine spirituali e filosofiche, sapevano che Kṛṣṇa
era l’espressione tangibile di quella Volontà e quindi deponevano
tutto il loro amore ai Suoi Piedi di loto.
[2] La bolla nasce dall’acqua, galleggia sull’acqua e alla fine s’immerge
nell’acqua stessa. La bolla è un aspetto momentaneo dell’acqua,
ha un nome e una forma temporanei; se dovesse credere di essere
separata dall’acqua perché è leggera e lucente, quell’idea sarebbe
frutto della sua illusione generata dall’ignoranza.
La stessa cosa accade all’uomo, il quale è ātma (il Sé), vive come
ātma e si fonde nell’ātma, nel Sé infinito. Tutto quello che è concepito
o immaginato al di fuori dell’ātma è falso!
La paura e l’ansia, il dolore e la sofferenza, la sconfitta e l’angoscia
che l’individuo sperimenta nell’esistenza terrena sono il risultato
della sua identificazione con quella falsità. L’uomo è verità, la sua
coscienza è verità, così dovrebbe procedere da un aspetto della verità
a un altro sempre più luminoso e limpido; in realtà, nessuno
avanza dalla falsità alla verità. Quello che è detto falsità è solo una
verità parziale, o verità offuscata o annebbiata. L’obiettivo finale è
riportare alla luce e ‘svelare’ la Verità fondamentale.
La mente è come un masso che l’intelletto trasforma in un’immagine,
proprio come fa uno scultore. Se l’intelletto consente ai sensi di
stabilire il modello, quel masso di pietra prenderà la forma di un
idolo orribile; se invece i sensi vengono sublimati dallo spirito,
l’immagine elaborata dall’intelletto risulterà incantevole.
La mente deve collaborare pienamente nella disciplina spirituale e
non ostacolarne il progresso, a ogni passo. La liberazione è la meta,
e la mente deve aiutare il pellegrino in ogni fase del suo viaggio,
non deve approvare alcuna attività che sia contraria al dharma o che
possa dimostrarsi nociva per il progresso spirituale.
[3] Le gopī avevano addestrato la mente ad accettare e a incoraggiare
la disciplina spirituale, così la loro mente non vacillava mai né
prendeva strade sbagliate. Le gopī erano attaccate a Kṛṣṇa nella veste
di amico, parente, camerata, compagno, innamorato e amato.
Un giorno, i Suoi amici e compagni dissero a Kṛṣṇa che i pacchetti
di cibo che avevano portato da casa non erano sufficienti a soddisfare
la loro fame; allora Egli li consigliò di inoltrarsi un po’ nella
foresta e di chiedere il cibo ai preti bramini che stavano eseguendo
un grandioso rito sacrificale. I ragazzi seguirono le istruzioni ricevute,
ma i bramini non rivolsero loro neppure una parola perché la
loro purezza sarebbe stata contaminata dalla conversazione con
persone di casta inferiore. Inoltre il rito non era ancora terminato e
non era stata fatta l’offerta finale nel fuoco, perciò era impensabile
che potessero distribuire il cibo ad altri ancor prima che essi stessi
l’avessero consumato.
Quando i ragazzi ritornarono con le facce lunghe, Kṛṣṇa li esortò ad
andare ancora una volta, ma di evitare gli uomini e di chiedere invece
alle donne. Kṛṣṇa li rassicurò dicendo che sarebbero ritornati
contenti e con una gran quantità di cibo.
I ragazzi trovarono le donne molto indaffarate in cucina; quando
dissero che Kṛṣṇa li aveva mandati per avere un po’ di cibo, esse
corsero da Kṛṣṇa portando tutto il cibo delizioso che avevano preparato
in anticipo per il grande rito. I loro cuori piangevano di dolore
al pensiero che Kṛṣṇa avesse urgente bisogno di cibo. Le donne
avevano sentito parlare dei miracoli che Kṛṣṇa aveva compiuto
(aveva annientato tutte le forze demoniache inviate da Suo zio
Kaṁsa per ucciderlo), e quei miracoli rivelavano che Egli era l’Incarnazione
divina. Al termine del rituale, i bramini diedero un’occhiata
in cucina e trovarono le pentole vuote, così si resero conto
che le donne erano andate di corsa alla presenza di Kṛṣṇa e dei Suoi
compagni.
[4] Le donne preservano la cultura di questo Paese con tenacia e fede,
mantengono gli uomini sul retto sentiero e li ispirano a seguire
la disciplina spirituale. I loro cuori sono teneri e pieni di compassione
per gli affamati e gli afflitti. Ecco perché nel nostro Paese, le
donne sono adorate e riverite. Facendo riferimento ai testi spirituali,
gli anziani affermano che quando in una casa una donna versa lacrime,
quella casa non potrà avere pace né prosperità.
Rāmakṛṣṇa Paramahaṃsa stava molto attento che Sāradāmani5
Devī non se ne avesse a male quando faceva qualche semplice
scherzo, perché avrebbe potuto versare delle lacrime.
Noi onoriamo la terra in cui siamo nati come la nostra ‘madrepatria’,
la lingua che impariamo in grembo a nostra madre come la
‘madrelingua’, e le antiche scritture che insegnano la moralità e la
spiritualità come Vedamātā, la Madre dei Veda. In tal modo, tutti gli
indiani hanno quattro madri, inclusa la madre che li ha dati alla luce.
Secondo la cultura indiana, tutte devono essere adorate e considerate
divine.
[5] Per poter vivere all’altezza degli alti livelli di moralità che la cultura
indiana raccomanda, dovete coltivare l’amore, la non-violenza,
la forza d’animo e l’equanimità. Le ultime tre qualità sostengono la
prima, l’amore, che dovete attentamente nutrire e custodire. Con
l’aiuto delle ultime tre qualità (non-violenza, forza d’animo, equanimità),
molti sono riusciti a concentrare la loro mente sull’amore
universale; invece numerosi sādhaka, aspiranti spirituali, rinunciano
all’ascesa proprio a metà strada, perché perdono la fiducia nel loro
vero Sé, e non credono in Dio che è la Personificazione dell’Amore e
il loro vero sostegno; così il minimo dubbio li scoraggia e ricadono
in una vita fatta di piaceri materiali. Soltanto una disciplina coscienziosa
può incoraggiarli e spronarli a procedere lungo il cammino
spirituale.
I saggi sono confortati e sostenuti dalla beatitudine della loro consapevolezza;
i ricercatori e gli aspiranti riescono ad appagare i loro
desideri attraverso l’esperienza delle persone in cui hanno fede; gli
atei sono attaccati, con il sottile filo della ragione, alle credenze che
un tempo hanno avuto. Se avessero fede nel loro sé, intuirebbero
che il loro sé ottiene forza e gioia dal Sé universale o Dio.
[6] Coloro che negano Dio, la Volontà Suprema o la Causa Prima
non trovano alcuna giustificazione soddisfacente che possa sostenere
la loro presa di posizione, come non riescono a trovarla quelli che
affermano che Dio esiste. Entrambi devono affidarsi alla loro esperienza.
Dopo tutto, come può la dolcezza essere negata da chi rifiuta
di assaporare lo zucchero? Come può un individuo essere convinto
che lo zucchero è dolce se prima non lo assaggia?
Dobbiamo essere consapevoli del grande miracolo di energia che
governa sia l’atomo sia la più piccola cellula, come pure la stella più
grande e remota. Altrimenti, come potremmo comprendere questa
Onnipresenza e Onnipotenza se non accettando Dio come Architetto
del cosmo?
Alcuni affermano che nessuna persona vivente può essere adorata
come Dio, anche se i sacri testi dichiarano:
daivam mānuṣa rūpeṇa
Il Divino [appare] in forma umana.
Forse costoro vogliono venerare non Śivam (Dio) ma śavam (salma,
cadavere)!
[7] Molti cercano di evitare la verità su loro stessi o sugli altri perché
hanno paura di affrontarla. I Veda dichiarano:
satyam vāda dharmacara
Dite la verità, osservate il dharma.
Persone del genere sono così abituate a vivere di espedienti e di
profitti momentanei che non riescono a sopportare l’intenso splendore
della verità, ma neppure la via del dharma è loro gradita; tali
individui sono abituati a percorrere vicoli oscuri invece che la strada
maestra del dharma.
I Veda proclamano dharmacara, seguite la via della rettitudine e della
virtù, ma chi è abituato alla disonestà, come può apprezzare il
dharma? Così la gente ripete questa massima vedica come fanno i
pappagalli, ma non sente il bisogno di metterla in pratica nella vita
quotidiana. Invero, verità è Dio, amore è Dio, dharma è Dio!
Le gopī e i gopa vedevano in Kṛṣṇa la quintessenza di verità, amore e
dharma: quello che Kṛṣṇa diceva era verità e amore, ciò che faceva
era dharma.
Le gopī e i gopa erano così immersi nella coscienza di Kṛṣṇa che,
ovunque e in tutto, vedevano nient’altro che Kṛṣṇa. Per loro Kṛṣṇa
non era un’Entità separata che si trovava nella casa di Nanda, ma
era proprio insito nella loro coscienza, a tutti i livelli. Le gopī e i gopa
erano certamente veri devoti!
Bṛndāvan, Corso Estivo, 6.06.1978