30 Luglio 1977 – Un solo proposito

30 Luglio 1977

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Un solo proposito

[1] L’educazione deve fornire le qualità che assicureranno la pace
dell’individuo e, di conseguenza, la pace universale; deve ripulire la
mente da ogni traccia di ristrettezza e contribuire a promuovere
l’unità e l’amore. Questo è, da tempo immemore, il messaggio di
Bhārat. I Veda proclamano che tali sono gli obiettivi dell’educazione.
Questa è la terra che venera i Veda, appresi dai saggi per rivelazione
divina. I semi di tale messaggio sono diventati arboscelli, sono fioriti
nel giardino delle upaniṣad e cresciuti sino a costituire le antiche
Scritture, mentre i venti hanno portato la fragranza della loro beatitudine
ai quattro angoli della terra per ravvivare e risvegliare i popoli
di tutti i continenti.
A quei tempi, i saggi vivevano con i loro allievi nei romitaggi, in
tranquille zone boschive sulle rive dei fiumi. Tutti i romitaggi erano
delle università con i saggi nel ruolo di rettori. Essi erano competenti
in tutti i rami del sapere e pronti a donare la conoscenza a chiunque
fosse in grado di riceverla e di farne l’uso migliore. Quei saggi
riuscirono nella loro missione grazie alla loro efficienza, all’entusia-
smo degli studenti e all’armonia dell’ambiente. Era tutto così semplice
e sincero, fresco e libero!
[2] L’ambiente che circonda le istituzioni educative moderne è proprio
l’opposto di quegli antichi eremi. Allora gli allievi vivevano con
il precettore nella sua dimora e assorbivano non solo informazioni,
ma anche ispirazioni, non solo il comportamento ma anche buoni
principi morali. Si alzavano all’alba, si lavavano con l’acqua fredda e
seguivano il rigoroso programma di preghiera, studio, meditazione
e lavori di casa. Mangiavano il cibo che il precettore dava loro; non
c’erano differenze tra un principe e un contadino, tra il figlio di un
dotto e un analfabeta. Non c’era la possibilità di perdere tempo in
faccende oziose, in chiacchiere banali, o per soddisfare vani capricci
e fantasie.
Ogni studente apprendeva i valori fondamentali della cultura indiana,
della sua origine e sviluppo e della sua validità per il progresso
del Paese. Oggi il numero degli studenti è ampiamente aumentato,
ma è molto scaduta la qualità sia dell’insegnamento sia
dell’apprendimento. A quel tempo, servire l’insegnante era una parte
integrante dell’educazione e, con il servizio amorevole, era facile
compiacerlo e ottenere da lui il meglio. Lo stipendio percepito può
forse dare soddisfazione agli insegnanti? Fa solo aumentare l’avidità
per riceverne uno più alto. Allora, la prosperità e la pace del mondo
si reggevano sulle fondamenta del dharma, oggi invece dipendono
dal denaro.
[3] La creazione dell’universo è avvenuta quando persino il tempo
era sconosciuto. Da allora innumerevoli esseri viventi hanno abitato
questo pianeta, e innumerevoli sono le specie esistenti. L’uomo è
considerato il re del regno animale, l’apice massimo degli esseri viventi
perché è il solo che possa indagare sul proprio sé e realizzare e
manifestare la Divinità che costituisce la sua Realtà. Gli altri animali
non sentono la sete per la ricerca dei principi fondamentali, non
hanno fame di tale conoscenza che appaga. Questa sete ha indotto
molti a ritenere che Dio esista e altri a negarne l’esistenza.
Dio è descritto come più piccolo della cosa più piccola, più vasto
della cosa più vasta: esaminiamo ora questo paradosso.
Noi non possiamo vedere l’aria che ci circonda nonostante la inspiriamo
e la espiriamo continuamente per tutta la vita. Come possiamo
allora vedere i minuscoli atomi e le particelle di energia che
l’aria contiene? Allo stesso modo, con una visione offuscata e quindi
limitata, come possiamo vedere il Brahman, la Forza divina fondamentale
che controlla persino l’energia sottile all’interno dell’invisibile
atomo? Naturalmente, se la visione è purificata nei suoi aspetti
più sottili e se disponiamo dell’occhio della saggezza, come Arjuna,
allora possiamo individuare la Divinità che sta dietro la più minuscola
forma o particella.
[4] Per quanto riguarda il concetto ‘Più vasto della cosa più vasta’,
pensate al Sole. Esso dista circa 93 milioni di miglia dalla Terra, perciò
se viaggiassimo verso il Sole alla velocità di 500 miglia l’ora per
24 ore al giorno, ci vorrebbero più di 20 anni per raggiungerlo. Il Sole
è così grande che l’intero globo terrestre potrebbe essere buttato in
una qualsiasi delle migliaia di ‘buche’ che gli astronomi hanno scoperto
sulla sua superficie.
Le stelle che sembrano così minuscole e numerose sono tutte molto
più grandi del Sole, e la distanza tra loro è di molto superiore a
quella tra il Sole e la Terra. Come può quindi la piccola mente dell’uomo
concepire la vastità dell’intero cosmo? Eppure, grazie al loro
intelletto acuto e alla mente pervasa dall’estasi, i saggi hanno saputo
vedere Dio immanente sia nel macrocosmo sia nel microcosmo, e
trascendente oltre i confini di spazio e tempo. Le loro esperienze li
hanno indotti a esprimere la loro adorazione attraverso molti nomi,
quali Dio, Allah, Jehovah e Bhagavān, che sono personificazioni
della gloria e della grazia che essi hanno assaporato, dell’amore che
hanno percepito come essenza alla base del cosmo.
L’universo creato è detto prakṛti. Prima della manifestazione c’era
solo tenebra; dopo la manifestazione ci fu la luce. La tenebra corrispondeva
allo stato tamasico o inerte, privo di attività. La luce era lo
stato rajasico in cui il movimento e l’agitazione, salite e discese si alternavano.
I cinque elementi presero forma allora e, col tempo, raggiunsero
una relativa quiete; quello era lo stato sattvico di calma e
serenità, in cui il Divino risplendeva attraverso di essi.
I cinque elementi sono percepibili attraverso i sensi in quanto sono
le risposte alle necessità dei sensi. Lo stato sattvico è lo stato divino
in cui la luce s’irradia sulla Verità, la quale c’era ancor prima della
creazione e del cosmo.
[5] La Verità è ancor più fondamentale dell’atomo. Ogni atomo e
ogni stella manifestano la Verità a chi possiede l’occhio della saggezza.
Ogni aspetto della scienza ha caratteristiche speciali che si
applicano a un certo gruppo di cose o di esseri. Qual è invece la peculiarità
dell’uomo? Se anch’egli vive e muore come qualsiasi animale,
come si può giustificare la sua supremazia? La sua superiorità
consiste nella capacità di prendere coscienza della Verità.
Noi usiamo l’espressione ‘unidirezionalità’ quando ci riferiamo alla
disciplina spirituale. Il significato che in genere viene attribuito a tale
espressione non è corretto; ogni organo di senso o facoltà ha uno
‘scopo’ che lo rende valido. Non diciamo forse: “Non c’è uno scopo”
quando rifiutiamo qualcosa in una discussione? Vedere è lo ‘scopo’
dell’occhio; udire è lo ‘scopo’ dell’orecchio. Se non c’è quello scopo,
si è ciechi o sordi: quell’organo di senso è affetto da una malattia o
ha un difetto. Anche se prendete un leggero raffreddore, il naso perde
il suo ‘scopo’ perché non riesce a sentire gli odori.
Allora qual è lo ‘scopo’ della mente? Quando diciamo ‘unidirezionalità’,
significa che la mente deve essere orientata verso l’Uno, quell’Uno
che non ha un secondo, l’Uno che volle diventare ‘i molti’. Se
la mente non rinuncia a tutti gli altri interessi e non cerca di prendere
consapevolezza dell’Uno che è diventato ‘i molti’, allora si può
dire che anche la mente è malata e ha qualche difetto.
[6] I saggi dell’antica India sapevano esercitare la ‘unidirezionalità’
e, se volevano, potevano trasmettere tale consapevolezza ai loro allievi.
Persone simili sono rare al giorno d’oggi; abbiamo molti insegnanti,
ma nessuno di loro ha intrapreso con determinazione il
compito di scoprire la propria identità. Con la scomparsa dei ṛṣi
(saggi veggenti), i ṛṣikul (romitaggi) di quei tempi sono diventati le
scuole di oggi (ecco la derivazione: ṛṣikul-ṣikul-ṣkul-school).
Vi ho detto tante volte che, oltre ai vostri genitori, agli insegnanti e
ai superiori, dovete avere deferenza anche per le vostre azioni. Le
azioni ci elevano o ci fanno precipitare; ci legano a nascita e morte,
oppure ci liberano da tali catene. Le azioni danno gioia o dolore,
prosperità o povertà, guadagno o perdita, piacere o sofferenza. Dovete
capire che i vostri entusiasmi o disperazioni, successi o fallimenti,
sono solo le conseguenze delle vostre azioni.
Nel compiere un’azione, vi dovete confrontare con certe leggi della
natura che non potete violare. Se perdete la presa su qualcosa che
avete in mano, questo cadrà; allo stesso modo, se scivolate nel salire
una scala, cadrete a prescindere dalla vostra casta, fede o condizione
sociale. La legge non fa differenze. In ogni atto o azione, Dio è presente
come invisibile propulsore; in ogni minima cosa che maneggiate,
Dio è presente come nucleo interiore. Perciò cercate sempre di
elevarvi compiendo il bene, dicendo parole buone, cercando il bene
e tenendo sempre a mente il bene altrui.
[7] Non sarà una grossa perdita se un dito è così danneggiato da doverlo
amputare; il corpo potrà ancora funzionare adeguatamente.
Anche se perdete un arto, potrete vivere grazie al contributo delle
altre facoltà. Se invece perdete il carattere, allora tutto è andato perso!
Sarete degni del nome di studenti solo dal giorno in cui fisserete
questo pensiero nella mente. Non permettete alla pigrizia, all’odio e
all’ira di contaminare i vostri cuori. Il mondo si attende che siate
esempi e guide nello stabilire e assicurare la pace, ma come potrà
avvenire se invece coltivate odio o ira? Praticate la calma e l’attitudine
alla ponderatezza. Non agitatevi e non seguite la frenesia collettiva;
questi sono segni di debolezza e d’instabilità.
Se qualcuno vi accusa, v’insulta o vi fa del male, non ripagatelo con
la stessa moneta. Comportatevi nobilmente e con pazienza. Se un
cane morde un uomo, l’uomo in cambio non morde il cane! L’educazione
deve portarvi dalle tenebre alla luce; solo chi vaga nell’oscurità
cade nei fossi: come può cadere in un fosso un uomo che cammini
nella luce? Se ciò accade, vuol dire che egli è ancora nel buio.
[8] Vidh significa luce e un vidhyārthi (studente) deve cercare la luce
e raggiungerla. A che serve l’occhio se non vi mostra le insidie o i
tranelli? L’educazione vi deve dotare di quell’occhio che vi rivelerà
per tempo le ‘buche’ presenti sul vostro cammino.
Vidyā, la cultura o conoscenza, deve conferire l’umiltà, l’altruismo e
l’ideale del servizio. Se l’uomo adora il proprio stomaco e la ricchezza
materiale come fossero il suo unico paradiso, come può essere riverito
e considerato uno studioso?
L’uomo colto deve essere pronto e capace di servire i genitori, il
proprio villaggio, lo stato, la nazione, la sua lingua e la sua cultura.
L’aria in un pallone è limitata dalla forma e dalle dimensioni del
pallone; se non lo fa scoppiare e non supera tale limitazione, come
può fondersi nell’universo? Allo stesso modo, se il Sé non consegue
la consapevolezza e non vince le barriere dell’ego, non può fondersi
nella Divinità immanente e onnipresente.
Voi siete nati nella società che vi ha dato protezione, guida e sostegno;
vi ha educato e vi ha colmato di sogni e di ideali. Ripagate
quindi il debito che dovete alla società. Proclamate apertamente che
siete indiani. Decidete con orgoglio ed entusiasmo di servire l’India.
La storia dell’India e la sua cultura devono essere adorate come i
genitori stessi!

Bṛndāvan, festa del College, 30.07.1977