27 Settembre 1979 – Tutto ciò che esiste è Uno

27 Settembre 1979

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Tutto ciò che esiste è Uno

[1] L’uomo si è posto due obiettivi distinti: uno materiale e uno spirituale,
ma fare una distinzione del genere è sbagliato e dannoso.
All’apparenza potrebbe sembrare conveniente, ma se tale distinzione
fosse messa in atto, causerebbe un grave danno allo sviluppo
dell’anima. I due aspetti, materiale e spirituale, sono identici e rappresentano
il continuo pellegrinaggio verso la divinizzazione dell’uomo.
Il corpo è lo strumento necessario alla realizzazione del Sé; l’ātma
risiede nel corpo e deve essere scoperto attraverso il corpo. Qui vedete
un bicchiere d’argento; possiamo separare l’argento dal bicchiere
o il bicchiere dall’argento? L’argento è la verità di base, il bicchiere
è la forma data all’argento. Da quello stesso argento possiamo
forgiare un piatto, un vaso o una scatola, ma nonostante le trasformazioni
subite, l’argento rimane argento. Analogamente, la Divinità,
l’ātma, persiste anche se i cinque elementi continuano a mutare
passando da un corpo all’altro. Il Sé è con o senza forma? Ha
certi attributi o è privo di attributi? È insensibile o ha sentimenti?
Tali interrogativi turbano ogni ricercatore.
Tutte le forme sono artificiali e temporanee; il Sé privo di forma è
immanente nella forma corporea, perciò come può l’uomo separarli
e trattarli in modo diverso? Questo sarebbe veramente disastroso.
[2] Voi state partecipando a un rito sacrificale che durerà sette giorni;
il rito in sé non è costituito dall’altare, dal braciere in cui arde il
fuoco né dalle varie offerte; questi sono soltanto simboli esteriori
che intendono rappresentare il proposito interiore.
La mente senza ombra di ego è l’altare; offrite le vostre azioni e attività,
esenti da ogni traccia di desiderio, nel fuoco della rinuncia.
Per celebrare questo rito sacrificale non serve raccogliere denaro,
fare provviste o radunare i preti. Gli atti compiuti dall’alba al tramonto
devono essere offerti nel sacro fuoco della saggezza; gli atti
che sono sollecitati dall’istinto e dagli impulsi sono materiali, perché
non sorgono da una mente modellata dall’intelletto; quando invece
la mente verrà trascesa e annullata, tutte le azioni saranno pure
e sante.
Quando il sonno profondo sopraggiunge e i sensi sono inattivi, la
mente, l’intelletto e persino il senso dell’ego scompaiono; anche
l’intero cosmo scompare dalla coscienza. È il momento in cui l’ātma
è solo con sé stesso e la schiavitù è vinta.
[3] L’ātma continua ad avvisare l’individuo della sua esistenza attraverso
l’Io. Lo stesso Io insiste per essere riconosciuto nell’infanzia,
nella gioventù, nella mezza età e nella vecchiaia. Nonostante
tutti i cambiamenti del corpo, che è costituito dai cinque elementi,
l’Io persiste come Testimone immutato, come sat-cit-ānanda, Essere-
Consapevolezza-Beatitudine.
Ignorando l’invito all’unità di tutta la vita, l’uomo si dibatte nell’odio
e nell’avidità. Se in tutti c’è solo l’unico Sé, come può sorgere
l’odio? Chi deve nascondersi da chi?
ekam sat
Tutto ciò che esiste è Uno.
Nella sua ignoranza, l’individuo è contento di separarsi da tutto
il resto per cercare la felicità, perché dimentica che non può
essere felice se tutti non lo sono; così si contamina perché coltiva
l’orgoglio e utilizza il tempo per degradarsi sino al livello
bestiale.
Il tempo è un dono inestimabile che va trattato con riverenza.
La gente di solito misura il tempo dall’alba al tramonto e viceversa,
ma tale apparenza è simile all’illusione che induce a
credere che la luna si muova quando si vedono passare delle
nuvole.
[4] L’uomo loda Dio, il Sé Supremo o paramātma, quando i suoi desideri
sono esauditi; se invece non si realizzano, Dio viene biasimato.
Ma Dio non ha pregiudizi o parzialità, è il Testimone della sequenza
‘azione-conseguenza’. Voi potete evitare le conseguenze dedicando
l’azione a Dio e astenendovi dall’attaccamento; tuttavia,
dovete essere sinceri nel vostro atto di abbandono e distacco.
Per poterlo fare dovete ripulire il cuore e i sentimenti mediante la
recitazione dei Nomi divini, il ricordo costante di Dio e la meditazione.
Anche se recitate i Veda durante un rito, ma il cuore non è
puro e la vostra vita non è virtuosa, ne trarrete ben poco beneficio.
In passato, i saggi veggenti erano sinceri, altruisti e coscienziosi, così
i riti sacrificali purificavano l’atmosfera, propiziavano gli elementi
e compiacevano Dio.
Pertanto le azioni di ogni individuo determinano il suo destino; non
serve quindi biasimare o incolpare gli altri della propria sfortuna e
infelicità, e non è corretto accusare Dio di essere parziale o spieta-
tamente disinteressato. Se voi piantate un seme amaro, come può il
frutto essere dolce? È diventato di moda sostenere che tutto il bene
sia frutto dei propri conseguimenti, e attribuire tutta la disperazione
e la delusione all’impietosa indifferenza della Divinità.
[5] Una volta, alcuni professori dell’università di Benares derisero
un loro collega perché sprecava dieci minuti al mattino e dieci alla
sera per meditare su un Dio inesistente. Allora quel professore rispose:
“Fratelli, se Dio non esiste, come voi dite, avete ragione: io
spreco venti minuti tutti i giorni. Ma se Dio esiste, come molti credono,
mi dispiace ma voi state sprecando la vostra intera vita!”
In realtà, solo Dio è! Voi avete sovrapposto il mondo mutevole al
Divino, alla Base. Distogliete quindi la visione da quella sovrimpressione
che è avvenuta a causa della vostra ignoranza.
In Sanscrito, la parola paśu significa bestia e deriva da paśyati che
vuol dire ‘quello che vede solo il mondo esterno.’ Se l’uomo si
compiace di usare i suoi sensi solo per godere del mondo esteriore,
non vive all’altezza del suo vero destino. In tutti i Paesi, anche le
discipline spirituali sono state ridotte a rituali esteriori; mattina e
sera e nei giorni considerati sacri, si compie l’adorazione rituale in
gran pompa, con tanti fiori, numerose lampade e una serie di inni
recitati a gran voce, ma l’effetto di tali riti è scarso e superficiale.
Ci sono molti che passano il tempo a prepararsi e a fare pratica dei
rituali da compiere, ma cosa raggiungono? Essi sono ancora contaminati
dall’invidia, dall’orgoglio e dall’avidità e non sono fedeli alla
verità; così sprecano gli anni della loro vita e gettano via gli ideali
prescritti dai Veda.
La maggior parte di quelli che si proclamano ‘aspiranti spirituali’
non si azzardano neanche a volgere la loro attenzione all’interno,
alla Realtà atmica.
[6] Naturalmente i rituali e le preghiere sono necessari nella fase
preliminare, e sono paragonabili all’asilo d’infanzia dell’educazione
spirituale; in ogni caso, si deve procedere dallo stadio ‘infantile’ a
quello ‘adulto’ avanzando verso il Sé. Gli yajña e tutte le regole relative
ai riti devono essere trascesi e sublimati in pensieri, parole e
azioni che promuovano la riverenza universale, l’abnegazione e
l’equanimità.
In ogni discorso, continuo a dirvi che la Divinità risiede in tutti gli
esseri, ma avrete notato che punisco duramente quelli che hanno
commesso errori, e si sono allontanati per seguire strade sbagliate.
La Divinità deve risplendere in ogni attività, e non va offuscata da
difetti o da tratti animali. Per raggiungere questo proposito, tali misure
correttive sono essenziali.
Il rame, come lega, fa diminuire il valore dell’oro, perciò deve essere
eliminato facendo fondere la lega in un crogiolo. Allo stesso
modo, se un essere umano puro e santo segue certe tendenze impure,
empie e degradanti, Svāmī deve intervenire per correggerle e ripristinare
il valore dell’oro; altrimenti per quale motivo dovrei punire
e redimere? Comprendere le Mie azioni nella loro vera luce è il
mezzo più sicuro per meritare la Mia grazia.
[7] Oggi, il mondo soffre perché nel cuore umano predomina il senso
di ‘io e mio’. La paura, l’ansia, il dolore, l’orgoglio, l’avidità sono
alimentati in misura pericolosa dai sentimenti egoistici. Se una disgrazia
colpisce qualcuno che rientra nella cerchia del ‘mio’, allora
siete sopraffatti da un grande dolore; se invece accade a qualcuno al
di fuori di quella cerchia, rimanete imperturbati e ignorate la situazione
con chiara indifferenza.
Finché tale atteggiamento insensato e stolto da parte dell’ego viene
considerato valido e appropriato, l’uomo non comprenderà l’ātma
universale che risiede in lui come essenza della sua personalità.
Per riconoscere il Sé e trarne forza, l’individuo deve mettere in pratica
la disciplina spirituale dell’unità, e cessare di fare distinzioni tra
quelli che sono dentro e fuori della ‘cerchia’.
Non c’è alcuna differenza tra ‘mio’ e ‘tuo’. Se gli altri vengono puniti
per i loro errori, vi rallegrate; se siete puniti per le stesse colpe,
protestate e vi lamentate della vostra cattiva sorte. Attraverso la disciplina
spirituale, dovete conseguire l’equanimità mentale, vale a
dire un’equità imparziale e priva di ego che garantisca la purezza di
mente. Il requisito per acquisire la purezza è l’amore.
[8] Oggi, l’albero che ammirate colma il vostro cuore di gioia per la
sua bellezza e maestosità, per la sua chioma verdeggiante, il colore
stupendo, il profumo e la dolcezza, ma il giorno dopo si secca e
muore. Per quale ragione? Le radici sono state danneggiate dai parassiti
che hanno lavorato nel sottosuolo, che hanno rovinato l’albero
e causato la sua caduta.
Vi sarete resi conto del destino penoso di molte persone devote che
sono assediate da varie disgrazie. Qual è il motivo? Molti chiedono
in modo scettico e stolto perché persone così buone debbano soffrire
così tanto. Il motivo è che non hanno raggiunto la purezza di
cuore né realizzato l’unità del Sé, e sono ancora dominate dal senso
di ‘io e mio’.
L’aspirante spirituale deve considerare tali disgrazie come un avvertimento
e dire a sé stesso: “Sono molto colpito da questa sventura
che mi addolora e mi priva dell’equilibrio, perché ho ancora in
me diversi difetti.”
Se la zuppa di lenticchie viene cucinata in una pentola di rame, per
quanto freschi siano gli ingredienti, la zuppa sarà comunque tossica.
Analogamente, sebbene la disciplina venga praticata con la mas-
sima attenzione e cura, se le intenzioni sono impure, non ci sarà alcun
progresso.
Desidero sottolineare che, per poter progredire, la purezza del cuore,
della mente e della coscienza è più importante persino della meditazione
e della preghiera.
Solo la purezza può convincervi che il Divino è dentro di voi, che lo
kṣetrajña1 è immanente in questo kṣetra2, corpo.
Amate tutti, adorate tutti, servite tutti! Questo è l’atto di adorazione
per conquistare la purezza e meritare la Grazia!

Daśarātra, Praśānti Nilayam, 27.09.1979