26 Settembre 1979 – Discriminazione e distacco

26 Settembre 1979

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Discriminazione e distacco

[1] Discriminazione e distacco sono il primo e il secondo passo che
l’uomo deve compiere per raggiungere l’eterna Verità spirituale. La
mente può diventare stabile solo tenendo sotto controllo i desideri,
ovvero grazie a un distacco ferreo. Quando la mente è silenziosa,
regna la pace e la beatitudine prevale. Spesso, il distacco o la rinuncia
a rincorrere tutto quello che attrae la mente viene erroneamente
interpretato come ascetismo, cioè abbandono della vita sociale e
familiare e ritiro nella solitudine della foresta.
Invece, più di qualsiasi altra cosa, distacco significa essere consapevoli
dei difetti di base insiti in tutte le cose materiali. Senza fare
un’indagine attenta e senza la relativa scoperta, l’affermazione di
avere raggiunto il distacco o la rinuncia è quanto mai discutibile;
infatti, senza un’approfondita indagine nessuno può ottenere il vero
distacco. Il senso di ripulsione che sorge nel riconoscere la temporaneità
e la futilità dei piaceri viene detto ‘distacco pratico’.
In sintesi, la vittoria è certa solo quando il distacco dal mondo oggettivo
sarà determinato dalla consapevolezza che il Divino è la vostra
vera essenza.
[2] Facciamo un esempio: immaginate che i sensi inseguano i piaceri
provenienti dal mondo materiale, e che l’individuo rinunci ad alcuni
suoi conseguimenti; ebbene questo non può essere definito distacco.
La bramosia di sperimentare il suono, il tatto, la vista, il gusto
e l’olfatto, per cui i sensi lottano con insistenza, deve essere rivolta
all’interno. Oltre a ciò, dovete riconoscere e ricordare le imperfezioni
intrinseche e i difetti inerenti a ogni oggetto.
Tuttavia questa rinuncia esteriore non basta, e non è neanche un
grande raggiungimento. Lo sforzo vero deve essere interiore, ovvero
dovete ritirare nella mente i sensi rivolti all’esterno, e renderli
inefficaci esercitando l’acutezza dell’intelletto e il discernimento.
Esaminate con attenzione ogni oggetto materiale che attrae i sensi
con la sua bellezza, il profumo, la dolcezza e la morbidezza; rendetevi
conto che tali qualità sono soltanto momentanee e dipendono
dalla vostra condizione mentale, dalla vostra salute fisica e dall’equilibrio
emotivo. L’uomo s’innamora dei fenomeni fugaci e
transitori e li accetta credendoli validi e utili; in tal modo, rimane
coinvolto in questa irrealtà e si allontana sempre più dal sentiero
della liberazione.
Quando vi sentite attratti da una fonte di piacere, dovete esaminarla
attentamente e analizzare il piacere che promette di darvi. Immaginate
che un dolce speciale, che da tempo desideravate mangiare,
sia stato preparato e servito nel piatto. Già pregustate quel dolce
con grande gioia ma, mentre lo state mettendo in bocca, il cuoco si
precipita in sala da pranzo e v’informa che una lucertola era caduta
nella teglia in cui il dolce era stato preparato; di conseguenza, la vostra
torta preferita è stata rovinata e contaminata. Questo spiacevole
incidente vi crea un grande disgusto, così il vostro attaccamento
scompare!
[3] Se voi esaminaste la qualità del piacere o della fama che avete
sperato di ottenere, vi biasimereste per avere preso la cosa così sul
serio. Vi potreste chiedere: ‘Stiamo ascoltando una bella musica,
non è forse una fonte di gioia?’ Credete che della buona musica vi
possa dare gioia permanente se l’ascoltate continuamente per ore?
Anche la torta più deliziosa vi causerà disgusto dopo qualche boccone;
infatti, dopo aver raggiunto il limite, ogni boccone in più vi
darà sempre meno piacere e, alla fine, vi disgusterà.
La fame è una malattia, il cibo è la medicina che cura quella malattia.
Questa è la semplice realtà dei fatti, ma nessuno se ne rende
conto né si comporta di conseguenza. La gente invece vuole soddisfare
le voglie e i capricci della lingua e quindi diventa schiava dei
sensi.
Un giorno, un re era andato a caccia per molte ore in una remota
area della foresta e quindi aveva una gran sete; dopo lunghe ricerche,
riuscì a trovare un eremitaggio e i monaci gli offrirono da bere
della fresca e pura acqua; quella era la medicina che lo fece sentire
di nuovo fresco e ristorato, e di cui aveva veramente bisogno. Se
avesse bevuto invece qualche bevanda inebriante, avrebbe perso la
ragione, degradato la sua personalità, e subito diverse malattie. Pertanto
il discernimento deve rivelare i pericoli che sono in agguato se
uno diventa schiavo dei sensi.
Nati come umani, istruiti da umani in mezzo ad altri esseri umani,
gli uomini si trasformano in bestie selvagge. Mentre parlano di pace
fra i popoli e le nazioni, si preparano alla guerra e trovano piacere
nel creare conflitti. Pur essendo umani nella forma, godono dell’odio
demoniaco che colma i loro cuori; simili ipocriti non meritano
certo la vostra fiducia: le loro parole sono dolci, ma i loro cuori sono
amari. Essi dichiarano di avere una determinata meta, ma insistono
a procedere nella direzione opposta.
[4] Dio ha dotato l’uomo d’intelligenza e discriminazione, in modo
che possa salvarsi da questa falsità e vedere il Divino. Ma invece di
realizzare che Dio è la meta e lo scopo di ogni attività, il corpo ha
richiamato su di sé tutta l’attenzione; invece di comprendere sé
stesso facendo un uso appropriato delle suddette qualità, l’uomo è
occupato a fraintendere gli altri a causa dell’uso perverso dell’intelligenza
e delle facoltà discriminanti.
Lo specchio che vi è stato donato con l’ordine: “Figlio! Usalo per
vedere te stesso”, lo mettete solo davanti agli altri. L’intelletto è uno
strumento per conseguire l’auto-realizzazione e nell’uomo è il più
vicino al Sé; tuttavia se l’intelletto è sempre impegnato a cercare i
difetti negli altri, rimane contaminato e perde il potere di riflettere
la maestà, lo splendore, la gloria dell’ātma che lo può illuminare; il
vantaggio della vicinanza al Sé va quindi perso. Così l’intelletto si
allontana e si smarrisce nel mondo alla ricerca di piaceri oggettivi e
di appagamento sensoriale.
Se il summum bonum, il bene supremo, della vita è la soddisfazione
dei sensi, gli uccelli e le bestie che sono molto meno intelligenti e
hanno un potere discriminante ben più limitato raggiungono lo
stesso obiettivo dell’uomo, forse anche in modo migliore.
L’intelligenza umana ha uno scopo molto più nobile e più elevato:
realizzare la verità eterna al di là di tutte le apparenti mutazioni. Le
guide dell’umanità hanno messo in risalto l’eccellenza dell’intelletto
umano e hanno affermato che anche gli altri esseri viventi hanno
bisogno di cibo, di sonno, di protezione e sentono l’impulso sessuale.
Ma questi saggi hanno messo in evidenza il dono unico e straordinario
che l’uomo custodisce: jñāna, la saggezza suprema; inoltre
hanno dichiarato che chi non cerca jñāna, ma vive secondo gli impulsi
dei sensi, è solo una bestia.
[5] Se l’individuo è impegnato sino al momento della morte a placare
l’insistente richiesta dei sensi e ad alimentare i propri bisogni in
questo mondo illusorio, come può vibrare di estasi ed essere consapevole
della sua essenza atmica? Dal sovrano nel palazzo reale al
mendicante in strada, tutti fanno a gara a trarre piacere dal mondo
materiale: sia l’analfabeta sia il dotto sono ugualmente impegnati a
inseguire questo miraggio. Quindi, cosa ci si può aspettare dalle capacità
superiori conferite dall’erudizione?
Guadagnare soldi, custodire il denaro guadagnato, cercare di farlo
fruttare con i mezzi più sicuri: così la lotta continua e la schiavitù
alle cose materiali diventa sempre più pressante. Nessuno si ferma
a indagare quanto vera e sentita sia la gioia che tali profitti possono
dare. E cosa dire delle mode di cui la maggior parte della gente diventa
schiava? Alla fine, tutti giustificano simili distorsioni definendole
‘obblighi sociali’ e ‘doveri’.
Ma la gente non ha forse un dovere verso l’ātma? Non ha l’impegno
di riconoscere l’ātma? Non deve legarsi saldamente all’ātma che è la
Realtà? È pura codardia eludere questo dovere, ignorare tale impegno
ed evitarlo! Ovviamente, voi dovete vivere sulla terra e comprenderla,
dovete studiare l’universo e trarne gioia, ma credere che
nella vita questo sia tutto e la fine di tutto è un segno di stupidità e
follia!
[6] Da anni assistete a questi discorsi e molto spesso fate lunghi
viaggi per venire alla presenza di Svāmī; avete anche ascoltato le
lezioni da Me impartite, ma ora vorrei farvi una domanda: “Che
vantaggio avete ottenuto? Vi siete avvicinati alla meta? Quali ostacoli
avete superato? Se non avete raggiunto un livello più alto, che
benefici avete ricavato dalla disciplina spirituale? In che modo giustificate
l’etichetta ‘devoto’ che v’incollate addosso?”
Dovete procedere verso la meta e progredire passo dopo passo;
sradicate i pensieri malvagi, le cattive abitudini e i propositi perversi.
Anche se continuate a ripetere ‘Dio, Dio, Dio’, in realtà vi state
solo allontanando e vi smarrite in reami empi.
Analizzate attentamente gli oggetti e scoprite la loro meschinità e
futilità; in tal modo il vero distacco si stabilirà nel vostro cuore. Per
il viaggio verso Dio utilizzate l’arma preziosa, lo specchio perfetto
che Dio vi ha donato: l’intelletto.
L’organo interno, antaḥkaraṇa1, ha quattro strumenti che stimolano
l’uomo; di questi, buddhi, l’intelletto, ha due aspetti: attira luce dall’ātma
a cui è molto vicino e, con quella luce, illumina la mente e i
sensi; inoltre disciplina e controlla le passioni e le emozioni, gli impulsi
e le reazioni istintive.
Un vecchio detto dichiara che l’intelletto viene modellato dalle
azioni dell’individuo, ma ciò non è del tutto corretto. La mente ha
l’intelletto da una parte e i sensi dall’altra; se la mente propende
verso i sensi e li attiva, ne risulta la schiavitù; se invece tende verso
l’intelletto (che è illuminato dall’ātma), ne deriva la liberazione.
A volte l’intelletto è attratto dal falso piacere di cui la mente gode
attraverso i sensi. In tale circostanza, è necessario praticare la disciplina
spirituale per distogliere l’intelletto dall’asservimento alla
mente, e per riportarlo a essere l’organo di controllo di tutte le bizzarrie
mentali.
[7] ‘Questo fiore è meraviglioso, emana un profumo eccitante e delizioso’
– annunciano gli occhi e il naso. L’uomo saggio non sarà appagato
da quell’impressione sensoriale e ricorrerà all’intelletto per
scoprire il vero: ‘Ma per quanto tempo?’ La risposta sarà: ‘Fino a
questa sera, oppure, sino all’alba di domani.’
Pertanto quell’uomo saggio arriverà alla conclusione che la vera
bellezza, la fragranza genuina possono provenire solo da Dio, non
dalle cose create né dagli esseri mobili e mutevoli del mondo, che
emergono e si fondono, appaiono e scompaiono.
Allora, cos’è la Verità? È il Testimone di tutti i processi e cambiamenti,
è il ‘Vedente’, Colui che vede ciò che è ‘visto’, l’Uno che non
ha secondo, non influenzato dal tempo né dallo spazio.
Oggi l’uomo cavalca due cavalli: il mondo e Dio, l’Universale e il
particolare, l’Assoluto e il relativo, l’Eterno e il transitorio (cioè vincolato
dal tempo), la Realtà e l’apparenza; così finisce ad agire in
modo sconsiderato.
Solo la disciplina spirituale può aiutare l’individuo a scegliere e a
seguire la via giusta con tenacia. In ogni era e latitudine, tutte le religioni
hanno messo in evidenza l’Uno e indicato la via per raggiungerlo;
inoltre hanno ammonito i fedeli a non avere troppo attaccamento
al mondo, che è essenzialmente venefico e infido.
Forse potete bere quel veleno [del mondo] con piacere, ma ciò non
mitigherà certo i suoi effetti malefici; oppure, piangendo e gemendo,
potete bere l’ambrosia atmica, che in ogni caso vi conferirà
l’immortalità.
Pertanto, state alla larga dalle seducenti attrazioni del mondo e volgete
la visione all’interno per vedere l’ātma, il Sé.
Aspiranti spirituali! Incarnazioni dell’Amore!
[8] Mantenete sempre vivo in voi l’anelito a essere il più vicino possibile
alla vostra Divina Essenza. Non avete bisogno di abbandonare
la famiglia e fuggire in qualche luogo remoto e solitario; dovete
solo rendervi conto e ricordarvi della futilità del mondo.
La morte si aggira furtiva attorno a ogni essere vivente, e la disintegrazione
aspetta tutte le cose create. Dato che il mondo è così incerto,
instabile e transitorio, è essenziale raggiungere il traguardo della
pace permanente e della beatitudine eterna.
Il Sé infinito e imperituro è associato al corpo effimero! Solo la discriminazione
può rendere tutto ciò chiaro ed evidente, solo il distacco
può rendere la via sicura e illuminata.

Daśarātra, Praśānti Nilayam, 26.09.1979