25 Settembre 1979 – Sublimare l’umanità nella Divinità

25 Settembre 1979 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Sublimare l’umanità nella Divinità

[1] Tutto ciò che ha origine degenera; tutto ciò che è visto come oggetto
perde la sua identità negli abissi insondabili del tempo. Tuttavia,
l’uomo continua a peregrinare nel mondo oggettivo, che si manifesta
davanti a lui con nome e forma, cercando di acquisire pace
duratura e vera beatitudine; in tal modo rimane impegolato in attività
infruttuose ed espedienti scorretti che non possono fornirgli la
chiave per raggiungere l’Assoluto e l’Eterno.
Quella chiave esiste nel mondo esteriore o in quello interiore? Finché
l’uomo rimane coinvolto nel ‘visto’, non riesce a percepire il
‘Vedente’ o Colui che vede.
Finché la vostra attenzione è attratta dai fiori di questa ghirlanda,
non riuscirete a individuare il filo che li tiene insieme. L’indagine è
essenziale per scoprire la base che dà forma alla ghirlanda. Allo
stesso modo, solo l’indagine può farvi sperimentare la divina Base
atmica che regge il mondo oggettivo.
Nel migliore dei casi, il mondo può conferirvi solo gioia momentanea;
la felicità, la prosperità e il potere non sono altro che fugaci
lampi di luce in mezzo alle oscure nubi dell’infelicità, della povertà
e della sconfitta.
Parenti e amici, di cui siamo orgogliosi e in cui poniamo la nostra
fiducia, soccombono alla morte e se ne vanno senza una parola di
commiato. Ma noi non impariamo la lezione, continuiamo a essere
convinti che il mondo esteriore sia lo scrigno della pace e della
gioia.
[2] In tutti i templi dedicati a Śiva si trova la statua del toro Nandi1,
mentre nei templi dedicati a Viṣṇu troviamo l’aquila Garuda2. Entrambi
sembrano intenti solo ad adorare il loro Signore e, senza battere
ciglio, aspettano i Suoi ordini. La loro visione è centrata unicamente
su quel punto e la loro meta è la beatitudine eterna; anche la
loro forza è degna di essere venerata. Invece la via che porta al culto
del denaro e della ricchezza merita solo severi ammonimenti.
L’uomo ha davanti a sé solo due strade: la via verso Dio e la via
verso il dio denaro. Pochi sono quelli che scelgono la prima e raggiungono
il traguardo interiore, dove il Sé brilla di supremo splendore.
Le moltitudini procedono invece verso la giungla selvaggia, e
lì la bestia che è nell’uomo fa valere sé stessa e sopprime le eccellenze
di cui egli è dotato.
L’uomo quasi sempre ignora i difetti e i punti deboli degli oggetti
che attirano la sua attenzione; se solo individuasse le loro imperfezioni,
li potrebbe valutare in modo corretto e sarebbe certo di comportarsi
più intelligentemente. Quando si rende conto che il cobra è
un serpente velenoso e che il leopardo è un animale crudele, li evita
con grande attenzione. Allo stesso modo, se ci rendiamo conto della
transitorietà e della futilità dei successi e dei possedimenti materiali,
riusciamo a distaccarci con facilità e a concentrarci sul tesoro interiore
e sulla visione interiore.
Nel mondo oggettivo, tutte le cose sono destinate a cambiare; gli
oggetti temporanei possono conferire solo una gioia provvisoria.
Come potrebbe essere altrimenti? Solo la sorgente della beatitudine
può donare la beatitudine. Una sorgente irregolare e discontinua
può concedere la felicità solo qualche volta, ma anche quella molto
presto finirà o si prosciugherà.
[3] Solo l’ātma è la fonte di ogni beatitudine, sempre piena, sempre
fresca. È solo il Sé che attiva la macchina fisica detta corpo; l’energia
atmica anima tutti gli esseri dell’universo: uomini, animali, uccelli,
vermi, piante, erba. Quando l’uomo entra in contatto con il Sé, viene
benedetto e ottiene la visione universale, l’estasi assoluta e la
saggezza eterna. Tutti hanno sete di realizzare il Sé, ma solo pochissimi
fanno i passi necessari per raggiungerlo. A migliaia proclamano
la gloria dell’ātma, ma si contano sulla punta delle dita quelli che
si sforzano di realizzarlo.
Nel Bhāgavata3, il maestro Śukrācārya, che era il precettore dell’imperatore
Bali, viene descritto come un grande sostenitore della disciplina
della carità, perché sapeva dissertare con eloquenza sui meriti
che si acquisiscono offrendo doni alle persone pie e ai bisognosi.
Ma quando Bali scelse di offrire un dono a Dio stesso, il precettore
lo avvertì di desistere; perciò l’azione di Śukrācārya smentì le sue
stesse parole. Predicare o consigliare è un occhio, praticare è l’altro
occhio. Poiché Śukrācārya tentò di convincere Bali a non offrire
quanto gli era stato richiesto, divenne cieco da un occhio.
Quelli che divulgano i nobili ideali a gran voce devono dimostrarne
il valore, mettendoli in pratica nella loro vita quotidiana; altrimenti
diventano come Śukrācārya che sapeva solo parlare, ma non aveva
una fede genuina nelle proprie parole.
Di solito, i devoti si fermano a metà strada, esaltano il guru e i suoi
insegnamenti senza però fare esperienza diretta della loro validità;
di conseguenza il Sé e l’estasi infinita che ne deriva rimangono sconosciuti
agli aspiranti.
L’ātma non può essere compreso attraverso metafore ed esempi,
nessuna forma può contenerlo, nessun nome può indicarlo. Come
può il limitato comprendere l’Illimitato, il temporaneo misurare
l’Eterno, il mutevole concepire l’Immutabile?
[4] La Katha Upaniṣad afferma che il Signore Yama si sottrasse
abilmente al fiume di domande circa il Sé, che il piccolo Nāciketa4
gli sottopose con grande serietà. Yama cercò di fare di tutto per placare
il suo ardore promettendogli molti doni, ricchezza, potere e
lunga vita, ma Nāciketa rifiutò con sdegno questi falsi orpelli e rispose:
“Onnipotente Yama! So che i sensi, che sono desiderosi di ricevere
i doni che tu offri, rimangono contaminati e vengono rapidamente
distrutti da questo contatto. Io non desidero raggiungere
gioie evanescenti, parlami invece dell’Eterno e del Vero: l’ātma!”
Sentendo queste parole, Yama rispose: “Figlio! Tu desideri la sag-
gezza, non sei attratto dalla ricchezza; soddisferò quindi la tua richiesta.”
In una certa occasione, anche l’imperatore Janaka5 disse: “I miei
bisnonni, i nonni e mio padre disponevano di grandi ricchezze e
trascorsero la loro vita nel lusso, ma poi sono ritornati alla polvere
da cui erano venuti. L’uomo non può sfuggire a questo fato, perché
allora desidera ardentemente questi piaceri insignificanti? Io userò
la mia vita, questa macchina fisica, per realizzare la Meta suprema,
la Verità fondamentale, l’ātma!”
Coerente con la sua decisione, Janaka riuscì ad avere successo nella
disciplina spirituale, tanto che un poeta affermò: “Janaka aveva
sempre Dio nei suoi pensieri, anche quando era impegnato a svolgere
i più urgenti compiti di imperatore. Grazie al rāja yoga, la via
regale della comunione con il Divino, egli raggiunse la meta suprema,
la liberazione dalla schiavitù al sé individuale.”
[5] Il corpo non è altro che uno strumento per scoprire Colui che vi
risiede. Ritirate l’attenzione dall’esterno e dirigetela all’interno, così
imparerete a visualizzare l’Animatore, il Sé o ātma: ecco la lezione
che i saggi e le sacre Scritture insegnano.
Per eseguire gli esercizi di purificazione, per svolgere l’indagine
sulla Realtà di Dio, natura e uomo, e per sperimentare l’estasi di tale
scoperta, il corpo è assolutamente indispensabile. Pertanto mantenetelo
sano e vigile, esente da passioni e da indolenza, equilibrato
e candidato alla vittoria.
L’ātma è ovunque, sempre, in ogni circostanza; è bianco, è come il
latte o il burro, la crema o il ghī. Allo stesso modo, il Sé persiste im-
mutato, indipendentemente dai cambiamenti subiti da ciò che Esso
stimola e attiva.
L’ātma prende contatto con i sensi di percezione e influenza la mente;
risveglia l’intelletto, lo induce a discriminare e a decidere le linee
di azione da adottare.
Il Sé attiva gli strumenti di pensiero, parola e azione, espressione e
comunicazione. Gli occhi vedono, ma qual è la forza che li anima?
Voi avete le orecchie, ma chi le ha dotate del potere di udire? Dalla
bocca escono le parole, ma che cosa vi stimola a formulare i concetti
del discorso? Quella forza agisce come le pile di una torcia che forniscono
alla lampadina la corrente per illuminare.
I medici sanno che il corpo è costituito da miliardi di cellule, vive e
vigili, laboriose e attive. Ogni cellula è stimolata dall’ātma che è
immanente in tutte, l’ātma è in ogni cellula come pure in ogni punto
dello spazio. Se realizziamo il Sé in tal modo, ne faremo esperienza
come di una luce luminosa e splendente, infinita, incomparabile,
unica!
[6] I veggenti del passato ignoravano il mondo considerandolo irrilevante,
e s’immergevano nell’indagine interiore finché entravano
in contatto con l’ātma universale e si colmavano di beatitudine. Essi
limitavano i desideri, controllavano le bramosie, ed erano convinti
che il destino dell’uomo è di liberarsi dell’eredità animale per sublimare
l’umanità nella Divinità.
Considerate per un momento il destino dei governanti di tutti i regni,
dei capi di eserciti e nazioni, dei presidenti e primi ministri, i
quali sono emersi dall’oblio e ricadono nello stesso oblio. Qualcuno
di loro ha potuto portare con sé, al momento della morte, una parte
delle sue ricchezze e proprietà?
Quando un personaggio muore, un altro prende il suo posto; quando
quest’ultimo muore, un altro ancora è pronto ad assumere il suo
ruolo. Alla fine, tutti vengono ugualmente dimenticati, eccetto coloro
che eroicamente hanno realizzato il Sé e si sono elevati allo stato
Divino. Pertanto, convincetevi che la lotta per la posizione sociale,
per il potere, la fama o la ricchezza non è assolutamente un’impresa
encomiabile.
[7] Poiché siete stati benedetti dall’opportunità di vivere come esseri
umani, abbiate come ideale la realizzazione della Realtà!
Le upaniṣad vi esortano a procedere verso questo traguardo, e si rivolgono
a voi con l’appellativo ‘Figli dell’Immortalità!’ Sforzatevi
quindi di meritare quell’onore e di raggiungere quell’altezza sublime.
Imparate a usare tutte le vostre capacità, la vostra intelligenza e
il tempo per conseguire quella vittoria.
Voi siete Dio in forma umana, poiché solo Dio può essere immortale.
Siete l’incarnazione del divino ātma. Non svilite la vostra vita con
attività e occupazioni di basso livello; formulate pensieri sacri, rendete
servizio con amore, fate azioni altruistiche e pronunciate dolci
parole di conforto.

Praśānti Nilayam, 25.09.1979