24 Settembre 1979 – Il rito sacrificale interiore

24 Settembre 1979

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Il rito sacrificale interiore

[1] L’induismo, come filosofia religiosa, esiste sin dai tempi dei Veda,
ma ha dovuto affrontare e superare molti ostacoli, periodi di alti
e bassi e persino l’incursione di culture diverse; tuttavia, è stato in
grado di sopravvivere e ne è uscito indenne e solido. Gli studiosi
esaltano l’eccellenza della religione indù perché favorisce la coesistenza
di molte tradizioni culturali, plasmandole in un preciso modello
di vita.
Il termine ‘Hindu’ è stato interpretato dagli esperti in vari modi, ma
il significato vero è: him che significa ‘himsa o violenza’ e dur che
vuol dire ‘lontano da’, quindi indica coloro che stanno lontano dalla
violenza. Gli Indù hanno sempre pregato per la pace e la prosperità
di tutti i mondi, perché il loro concetto circa l’immanenza di Dio è
forte e incrollabile:
lokāḥ samastāḥ sukhino bhavantu
Possano tutti gli esseri di tutti i mondi essere felici.
I riti, le cerimonie e i voti stabiliti dall’induismo sono diretti a promuovere
il bene e la prosperità di tutti i mondi. Ecco perché l’induismo
è tuttora vivo e attivo.
[2] Da molti secoli e millenni i riti sacrificali vedici, come il ‘Veda
puruṣa saptāha jñāna yajña’1 che ha inizio proprio oggi, sono stati
eseguiti in India per il benessere del mondo intero, e non a vantaggio
di un individuo, una famiglia, una setta, una casta o una religione
specifica. L’obiettivo è universale e tutti gli esseri viventi ne
traggono beneficio, poiché tali riti placano gli elementi e propiziano
le Divinità che presiedono alla terra, all’acqua, al fuoco, al vento e al
cielo. In passato, per celebrare i riti vedici, i saggi sceglievano i luoghi
appartati lontano dai villaggi, sulle rive di un fiume o nelle aree
più remote di una foresta.
Lo yajña è un privilegio, un onore per tutti e ha successo grazie agli
sforzi comuni, tanto che tutti possono condividere le benedizioni
delle Divinità invocate attraverso i mantra. Tuttavia, oggi accade che
nei riti vedici alcuni lasciano via libera al proprio ego, così lo yajña
diventa sacrilego e infruttuoso. Questo è il motivo per cui oggi gli
yajña sono oggetto di scherno e critiche.
Il rito sacrificale è di due tipi: esteriore e interiore; il rito esteriore
non è che il riflesso di quello interiore. Il valore e l’importanza dell’offerta
interiore devono essere ben compresi, perché questa favorisce
la presa di coscienza del Divino che è ‘dormiente’ ma innegabile,
e risiede al centro della vostra Realtà: quindi adoratelo, propiziatelo,
compiacetelo, diventate uno con Lui.
[3] La mente è l’altare: deponetevi ‘l’animale’ da offrire come oblazione
(ovvero i tratti malvagi del vostro carattere e comportamento),
e sacrificatelo alla Divinità invocata. Pur avendo avuto una nascita
umana, l’uomo è gravato da istinti e impulsi animali che gli
sono rimasti attaccati sin dalle sue precedenti vite come animale.
Infatti, è passato attraverso molte esistenze animali, e ognuna ha
lasciato il segno sulla sua conformazione mentale, proprio come
una cicatrice rimane sulla pelle dopo che una ferita si è rimarginata.
Ad esempio, l’individuo è spesso affetto da presunzione aggressiva,
che in Sanscrito è chiamata madā, la quale non è una caratteristica
naturale dell’uomo, ma è il residuo di una precedente esistenza come
elefante.
A volte l’uomo è mūrkha, stupido e ottuso, che è un tratto tipico della
pecora. Alcuni hanno una tendenza innata a rubare che ricorda il
loro passato di gatto; altri hanno caratteristiche d’instabilità e ostinazione
che hanno ereditato da una passata esistenza di scimmia. In
Sanscrito, l’uomo è detto nara e la scimmia è detta vānara. Se si toglie
la sillaba vā (ovvero vālam, coda) rimane nara. L’uomo ha perso
la coda, ma ha ancora tutta l’ostinazione e l’instabilità della scimmia.
Pertanto tutti i tratti animali devono essere sacrificati sull’altare
della mente come parte dello yajña interiore; il rito esteriore, che è
invece ben visibile, è solo un mezzo per esprimere il messaggio e i
propositi interiori.
Quando ai bambini s’insegna a leggere, vicino alle parole scritte c’è
l’immagine degli oggetti che essi possono vedere e identificare. In
seguito, l’immagine verrà abbandonata perché superflua. Allo stesso
modo, finché la lezione non è ben appresa, l’atto esteriore di offrire
fiori, ramoscelli e pezzetti di legno nel fuoco sacrificale dovrà
continuare. Il rituale è lo scrigno, e l’eliminazione degli impulsi
animali è la gemma da custodire.
[4] Qui possiamo vedere i ṛtvik, i preti esperti nell’eseguire i riti sacrificali,
e ascoltare la recitazione degli inni vedici; vediamo i paṇḍit
che leggono la storia dell’avatār Rāma, le leggende circa le Incarnazioni
Divine e la Madre Divina, tratte dagli antichi Testi sacri. Abbiamo
anche il rito di adorazione della Madre Divina, eseguito se-
condo le sacre Scritture; un paṇḍit è impegnato a recitare le lodi dei
mille liṅga, che rappresentano la forma simbolica del Divino, mentre
un altro prete propizia e rende gloria al Dio Sole con numerose
prostrazioni, accompagnate da vari mantra. In tal modo la Divinità,
in tutte le Sue manifestazioni di elementi e forze, viene adorata per
sette giorni durante questo rito sacrificale, dedicato allo Spirito Supremo
dei Veda.
In sintesi, tutte le attività rituali sopra descritte stanno a simboleggiare
i cinque sensi e la loro influenza, nonché i cinque involucri che
costituiscono la struttura umana e racchiudono l’ātma o il Sé.
L’involucro esterno fatto di cibo (anna), che costituisce il corpo fisico
grossolano, è detto annamayakośa; il cibo, il corpo fatto di cibo e
l’uomo sono prodotti dalla medesima sostanza: bhūmi, terra. Per
colmare il corpo materiale di gioia e felicità, l’involucro vitale, l’involucro
mentale e intellettuale devono essere sublimati; infine tutti i
cinque involucri devono fondersi nell’illuminazione di jñāna, suprema
saggezza. Pertanto l’offerta che, durante il rito vedico, viene
deposta nella sacra fiamma del braciere è un simbolo di tale coronamento.
[5] Il fuoco che vedete è alimentato da pezzi di legno e da burro
anidro (ghī), affinché le fiamme della saggezza possano bruciare le
ultime tracce di ego, d’ignoranza e desiderio. Ma cos’è esattamente
il ghī che alimenta le fiamme? È burro chiarificato che viene sbattuto
nella zangola e quindi raffinato.
Il latte è ottenuto dalla mucca che è un quadrupede e simboleggia i
quattro Veda; così i Veda stessi, che sono la personificazione della
Verità, contribuiscono simbolicamente a far risplendere la luce della
Saggezza. Recitare i Veda purifica l’ambiente e rinforza il desiderio
di diventare la Verità stessa. Tutto ciò è simbolicamente espresso dai
vari rituali che fanno parte di questo yajña.
Molti che non sono consapevoli dell’importanza del rito sacrificale
criticano quelli che vi partecipano, disapprovano lo sperpero di semi,
granaglie e burro, e biasimano lo spreco di materiali pregiati
compiuto dai preti che officiano la cerimonia. Ma i Saggi veggenti
che hanno rivelato i sacri mantra, i Veda che prescrivono i rituali, e
coloro che con fedeltà celebrano questo yajña non sono affatto insensati
né stolti.
[6] Quando il contadino sparge sacchi di semi su un campo arato,
gli ignoranti deplorano quello spreco perché non sanno che, quando
la messe sarà matura, il contadino otterrà un raccolto dieci volte
maggiore della semina fatta.
Un unico vaso di ghī offerto nel fuoco sacro, con mantra appropriati,
porterà come risultato un milione di vasi di ghī, di cui l’umanità intera
potrà beneficiare. Le vibrazioni dei mantra e l’effetto delle offerte
assicurerà prosperità e benessere a tutto il mondo.
I saggi e i veggenti del passato, spinti da una compassione universale,
prescrivevano questi riti sacrificali per conseguire il bene e la
prosperità dell’umanità. In tal modo, tutti gli esseri viventi possono
trarre beneficio dalla perseveranza degli Indù nell’osservare gli insegnamenti
dei saggi.
Il poema epico Mahābhārata dichiara: ‘Quello che non c’è in Bhārat
non merita considerazione reverenziale’; a Bhārat il messaggio è
sempre stato: tolleranza, rispetto per tutte le religioni, pratica degli
insegnamenti essenziali di amore e servizio, nonché rinuncia all’odio,
all’invidia e all’orgoglio. Pertanto, questo rituale vi aiuterà a
comprendere tale messaggio e a vivere in armonia con esso.

Praśānti Nilayam, 24.09.1979