23 Luglio 1975 – La divina pienezza

23 Luglio 1975

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La divina pienezza

[1] Un importante assioma dell’Iśavasya Upaniṣad dichiara:
om pūrṇam adaḥ pūrṇam idaḿ pūrṇāt pūrṇam udacyate
pūrṇasya pūrṇam ādāya pūrṇam evāvaśiṣyate
“Om, Quello è pieno questo è pieno.
Dal pieno emerge il pieno.
Quando il pieno viene preso dal pieno,
il pieno resta pieno”
La Divinità è piena, la creazione è piena; anche quando avvenne la
creazione e il cosmo apparve, prodotto dal Divino, non ci fu alcuna
riduzione nella pienezza del ‘Pieno’. La pienezza è l’attributo, la natura
del Supremo, e non può essere ridotta dalla creazione del cosmo.
Perché anche la creazione è detta piena? Perché deriva dal
‘Pieno’!
Voi vi recate al mercato per comprare un chilo di zucchero di canna.
Il proprietario del negozio ne porta dal suo magazzino un grosso
blocco, ne taglia via un pezzo di circa un chilo, lo pesa e ve lo consegna;
in cambio, voi gli date l’importo richiesto. Assaggiate un
pezzetto del grande pezzo di zucchero e potete pensare che la porzione
acquistata sia dolce come il blocco d’origine. Poi andate a casa,
preparate una bevanda e vi aggiungete un po’ di quello zucchero.
La bevanda è dolce, quindi sia il chilo di zucchero comprato sia
l’intero pezzo originale sono dolci allo stesso modo. La pienezza è
la qualità del Divino, la si può trovare in parte, per metà o per intero,
e il corretto criterio di stima non è la quantità, bensì la qualità.
[2] Nel mondo visibile, che proviene dalla sostanza stessa del Divino,
tale qualità è presente pienamente e in uguale misura. Non pensate
che il mondo sia qualcosa di meno che Dio stesso!
Alcuni studiosi sostengono che il mondo fenomenico sia uno zero
vacuo, che non possieda una forza latente né potenziale, ma che sia
soltanto un sogno, un’illusione. Tale asserzione è un segno di cecità
e ignoranza. Dio è nel mondo, proprio in ogni cosa e in ogni parte
del mondo, senza alcuna eccezione.
Nella Gītā1 il Signore annuncia: “Io sono l’uomo tra gli esseri viventi,
la mucca tra gli animali, il leone tra le bestie, il cobra tra i serpenti,
l’aquila tra gli uccelli, Prahlāda fra i demoni.”
Nessuna cosa è scartata perché non degna di Dio. Non esiste corpo
che Egli non animi, forma nella quale non risieda. Dio è fragranza,
fulgore, dolcezza e sapore, intelligenza, valore, austerità, fama e
appagamento; Egli è tutte le cose, sia le qualità desiderabili sia quelle
indesiderabili. L’uomo potrà conseguire la pura beatitudine solo
comprendendo la gloria universale e onnicomprensiva del Signore.
Ci sono quattro stadi per ottenere la grazia di Dio:
1) legare la mente a Dio
2) amare la forma di Dio alla quale la mente si è attaccata
3) insediare quella forma nel proprio cuore
4) dedicare tutto quello che si fa e si possiede alla divina forma stabilita
nel cuore.
Il Mahābhārata vi offre il grande esempio di un uomo di nome Ekalavya2
che con successo passò attraverso i quattro stadi suddetti,
raggiungendo così la meta della vita. Nonostante Droṇācārya avesse
rifiutato di accettarlo come suo discepolo, Ekalavya lo considerò
suo guru, si attaccò mentalmente a lui e lo insediò nel cuore. Alla
fine egli offrì ai piedi di Droṇācārya tutti i talenti e la fama che aveva
conquistato attraverso la grazia del guru stesso!
[3] L’osservanza della festività di guru pūrṇimā3 è diventata una
routine. In questo giorno si adora il Maestro spirituale e anche gli
Dei sono venerati, lodati e propiziati attraverso canti e riti.
Ma pensate che tutto ciò possa essere sufficiente? L’osservanza della
festività darà frutti solo se il suo significato profondo è compreso e
meditato. Il termine guru indica il Maestro che sa distruggere le tenebre
dell’ignoranza grazie alla propria illuminazione; ma la maggior
parte dei guru possiede solo una luce fievole e per di più presa
a prestito. L’eliminazione dell’oscurità deve essere totale senza traccia
di ombra, celata o latente. Come la luna piena che appare ogni
anno in questa giornata dedicata al guru, la mente dell’uomo deve
essere luminosa, serena e piena. Il dono della luce può provenire
solo da Dio, poiché Egli risplende di luce propria ed è la sorgente di
luce per tutti i pianeti e le stelle, come pure per tutti gli esseri.
Secondo la terminologia vedantica, cit4 e acit5 sono due termini opposti.
Cit significa ‘intelligente’ e acit significa non intelligente, ma
non ci sono due veri opposti, ci sono degli stadi che gradualmente
passano dall’uno all’altro, dal meno intelligente al pienamente intelligente.
In realtà, ci sono tre stadi, non due!
Il primo stadio, śuddha tattva, corrisponde a quello che Cristo chiamava
il Regno di Dio, che è ben oltre la portata della mente, è il re-
gno della pura equanimità. Il secondo stadio è miśra tattva ed è
l’attuale regno terreno che si alterna fra la quiete e l’attività, fra
l’inerzia e l’avventura, fra tamas e rajas. Mentre il primo regno è detto
nitya vibhūti, la gloria eterna del Signore, il secondo è definito līlā
vibhūti, teatro del gioco divino sempre nuovo e mutevole. Il terzo
stadio è quello dell’inattività, dell’ignoranza e dell’inerzia, ovvero
del tamoguṇa.
[4] L’Universo è il campo nel quale Dio opera e gioca. Siatene ben
consapevoli in ogni attimo di cui avete coscienza: non c’è altro di
cui abbiate bisogno per condurre un’esistenza felice. In tal modo,
potrete contattare Dio in ogni cosa, in ogni pensiero, in ogni luogo e
momento. Il Suo līlā, gioco divino, è manifesto nel fiore più minuscolo
e nella stella più distante. La gioia che potrete trarre nel contemplare
tali dimostrazioni del Divino è indescrivibile. Kṛṣṇa afferma
nella Gītā che è sempre al fianco di chi è gioioso; siate dunque
gioiosi e condividete quella gioia anche con gli altri.
Il terzo stadio, chiamato vāsanā6 tattva, è lo stato in cui il vostro
egoismo limitativo assume il controllo su di voi rendendovi schiavi.
Le tendenze o impressioni mentali, vāsanā, sono le forze radicate in
voi da innumerevoli secoli di schiavitù ai sensi. Pertanto dovete
sconfiggere e superare il loro impatto sottile e liberare la vostra volontà
dalla loro morsa.
Coltivate l’attitudine al distacco, all’imperturbabilità, abituatevi ad
‘aggirare’ gli impulsi e i desideri attraverso la preghiera e la pratica
costante. Questo vi porterà al dharma e alla verità: in tal modo avrete
il diritto a essere considerati colonne del dharma e della verità.
Vedānta7 non significa fuggire da casa e dagli uomini per rifugiarsi
nella solitudine della foresta; la casa sicuramente vi tormenterà
ovunque troviate rifugio. Vedānta vuol dire riconoscere idam, tutto
questo [universo], come pienamente Divino, e offrire tutti i vostri
pensieri, parole e azioni a Dio. Dopo avere acquisito tale visione vedantica,
il luogo in cui vi troverete sarà per voi il Kailāś.
[5] Il sole non può illuminare Dio poiché Dio è la sorgente che illumina
il sole. Le onde possono dire di appartenere al mare, ma non
possono dire che il mare appartenga a loro. L’individuo può dire al
Signore ‘io sono tuo’, ma non può dire ‘Tu sei mio’. Dio è il Sostegno,
voi siete coloro che sono sostenuti. Nitya vibhūti, la gloria eterna
del Signore, fa da supporto a līlā vibhūti, il gioco divino sempre
mutevole e nuovo; il mare è la base sulla quale compaiono le onde.
Quando il Divino si esprime nel līlā, assume otto aspetti: śabda
brahmamayī, (Brahman nella forma di suono), carācaramayī (movimento
e non-movimento), jyotirmayī (fulgida luce divina), vāngmayī
(la parola), nityānandamayī (eterna beatitudine), parātparamayī (trascendente
questo e l’altro mondo), māyāmayī (incantevole con la Sua
affascinante illusione) e śrīmayī (prosperità e buon auspicio). Il Divino
privo di qualità e attributi assume la mente, l’intelligenza e
l’ego, così il Suo magnifico līlā ha inizio!
Le esperienze dello stato di veglia scompaiono quando subentra lo
stato di sogno, e l’esperienza di sogno scompare quando soprav-
viene il sonno profondo. Anche l’essere è perso nel divenire. Cristo
asserì: “La vita si perde nei sogni.” Qualunque sia l’esperienza fatta
in uno qualsiasi dei tre stati, essa si fonda comunque sulla Verità di
base che è Dio, così come la paura, l’ansia, l’atto di uccidere il serpente
si basano sulla corda che, per ignoranza, viene scambiata per
un serpente.
L’uomo, dunque, deve sforzarsi di sfuggire all’illusione e raggiungere
lo stato di saggezza pienamente illuminata. La disciplina spirituale
che meglio può aiutarlo è l’amore. Nutrite il piccolo seme dell’amore
che è ancora attaccato al ‘me’ e al ‘mio’ e fatelo germogliare
come amore verso chi vi circonda e verso tutta l’umanità, estendete
i suoi rami verso gli animali, gli uccelli, gli insetti e lasciate che
l’amore abbracci tutte le cose e gli esseri di tutti i mondi. Procedete
dal piccolo amore al grande amore, dall’amore ristretto all’amore
ampliato. L’asserzione ‘Dalla falsità alla Verità’ non è corretta: si
procede sempre da una verità minore alla Verità che è Dio.
[6] Ecco ora una storia sugli Dei che illustra bene l’avidità degli
uomini. Un bel giorno, in paradiso, il Signore Nārāyaṇa e la Sua
consorte Lakṣmī discorrevano tranquillamente quando Nārada8, il
cantore itinerante, attirò la loro attenzione. Il Signore Nārāyaṇa gli
domandò se gli abitanti della terra fossero felici, e Nārada rispose
che poiché essi Lo adoravano e si erano conquistati la Sua grazia,
tutti erano felici e prosperi.
Allora Lakṣmī, Dea della ricchezza, divenne vittima della gelosia e
dell’ira poiché il Suo contributo nel conferire felicità agli esseri
umani non era stato considerato né riconosciuto. Così sfidò Nārada
a dimostrare che, sulla terra, Nārāyaṇa veniva adorato e venerato
più di Lakṣmī.
Il Signore Nārāyaṇa accettò la sfida. Indossò la tunica color ocra, si
trasformò in un monaco e, andando in villaggi e città, predicò quale
fosse la retta via da seguire. Migliaia di persone partecipavano a tali
incontri, ascoltavano incantati le Sue parole, lo seguivano di paese
in paese adorandolo con fede fervente; perciò Nārāyaṇa era ovunque
seguito da grande giubilo e da profonda devozione e riverenza.
[7] Vedendo tutto quel fervore, la Dea Lakṣmī non riuscì a contenersi
e fu sopraffatta dall’invidia. Allora indossò una veste monacale e
discese nella stessa regione che Nārāyaṇa aveva scelto per predicare.
Tutti furono attratti dal Suo splendore, e molti disertarono gli incontri
con il Signore Nārāyaṇa per bearsi della Sua fulgida presenza,
tanto che alcuni devoti invitarono Lakṣmī a cena a casa loro. La
Dea accettò ma disse che aveva fatto voto di mangiare solo nei Suoi
piatti e che quindi avrebbe portato tutto l’occorrente: piatti, tazze,
bicchieri, ecc. Chi la ospitò fu molto felice di accondiscendere a tale
Sua richiesta.
Pertanto Lakṣmī portò con sé un piatto d’oro, una tazza e un bicchiere
anch’essi d’oro. Chi la ospitava l’ammirò e l’adorò con ancor
maggiore fervore nel vedere tutta quella ricchezza e sontuosità. Al
termine della cena, Lakṣmī lasciava in dono il piatto e gli altri oggetti
d’oro, perché anche quel gesto faceva parte del Suo voto.
Quando fra la gente si diffuse la notizia che era molto proficuo invitare
Lakṣmī a cena e adorarla, tutti invocarono la Sua grazia e disertarono
i discorsi di Nārāyaṇa per tributare onori e lodi alla Dispensatrice
di oro. Molti pregarono Nārāyaṇa di ritornare da dove era
venuto perché non avevano tempo di riceverlo o di ascoltarlo:
Lakṣmī aveva completamente monopolizzato la loro attenzione!
Infine la Dea fece ritorno in paradiso per incontrare di nuovo il Signore
e chiese a Nārada: “Chi è più venerato, Nārāyaṇa o Lakṣmī?”
Nārada rispose con un’altra domanda: “E Tu chi veneri?” Senza esitare
Lakṣmī ribatté: “Io venero Nārāyaṇa!” A quel punto Nārada
replicò: “È la grazia di Nārāyaṇa che ti permette di elargire tutti
quei doni d’oro e di ricevere l’adorazione degli uomini!”
L’orgoglio di Lakṣmī fu mortificato, ma la folle stupidità dell’uomo
continua ancor oggi. Egli adora la ricchezza terrena e non la Divinità
interiore, vale a dire Lakṣmī e non Nārāyaṇa!
[8] La retta azione è motivata dalla Verità, e la Verità è l’insegnamento
di base di tutte le fedi, come pure la moralità e l’amore; queste
tre qualità devono stabilirsi nel cuore di ogni uomo.
Oggi è guru pūrṇimā e ho posto la prima pietra per erigere la colonna
della Verità che sostiene l’amore e la moralità. Durante il rito vedico
di consacrazione dell’area in cui sorgerà questa stele, avrete
notato che sono stati utilizzati nove tipi di cereali che crescono sulla
terra, e nove gemme preziose che si trovano nel sottosuolo. Essi
rappresentano le nove forme di devozione e i nove stadi che l’uomo
attraversa nel suo viaggio verso Dio. Di questi, il più importante è il
servizio altruistico reso al vostro prossimo.
Vi esorto quindi a dedicarvi interamente a tale compito e a vivere
pienamente consapevoli di questo dovere primario che avete verso
voi stessi.

Praśānti Nilayam, 23.07.1975