21 Novembre 1979 – La meditazione

21 Novembre 1979 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La meditazione

[1] Per scoprire l’essenza di Dio, l’individuo deve prima entrare nel
profondo di sé, perché nessuno può conoscere Dio se prima non conosce
sé stesso.
Dopo che vi siete seduti in una posizione comoda e stabile e avete
controllato il respiro, dovete praticare pratyāhāra1 e aṅganyāsa, la purificazione
di tutti gli organi del corpo.
La luce è il massimo fattore purificante perché dissolve l’oscurità,
perciò dovete portare la luce nelle varie parti del corpo per purificare
gli organi e i sensi; quindi la luce deve stabilirsi nel loto del cuore
in cui va custodita bhāvacitra, l’immagine mentale della forma del
Signore; questo vi aiuterà a sviluppare dhāranā, la concentrazione.
In seguito la concentrazione diverrà più profonda e favorirà dhyāna,
la meditazione. Come ultimo stadio, raggiungerete il samādhi, lo stato
super-conscio dell’estasi o beatitudine.
Prima di cominciare la meditazione, recitate alcuni mantra o inni di
lode a Dio, in modo da pacificare la mente agitata. Quando ripetete
il nome di Dio, cercate d’immaginare la forma divina che quel nome
rappresenta; se la mente si allontana dalla recitazione del nome, riportatela
sulla forma; quando si distrae dalla forma, concentratela
nuovamente sul nome. Se trattate la mente in tal modo, vi sarà facile
addomesticarla.
La forma che avete così creato nella mente si trasformerà in un’immagine
che desta emozione (bhāvacitra), che sarà cara al cuore e salda
nella memoria. Gradualmente diverrà la forma da voi agognata,
e si trasformerà in sākṣātkāra citra, la visione della forma che il Signore
assumerà per esaudire il vostro desiderio.
Tale disciplina è detta japa sahita dhyāna, meditazione combinata con
la recitazione del nome, che vi consiglio di praticare perché è la migliore
forma di meditazione per i principianti.
Nel giro di pochi giorni riuscirete ad assaporare la gioia della
concentrazione; nella fase iniziale, dopo circa dieci o quindici minuti
di meditazione (in seguito il tempo sarà più lungo), soffermatevi
a contemplare la pace e la felicità che provate nel meditare.
[2] Avete acquisito un corpo umano come ricompensa per le attività
meritorie svolte in molte vite. Al corpo va attribuita particolare importanza
perché è una barca che vi aiuta ad attraversare l’oceano
del saṁsāra, l’interminabile ciclo di nascite-morti-rinascite; perciò
dovete prendervene cura attentamente, con rispetto e riconoscenza.
La Bhagavad Gītā definisce il corpo ‘kṣetra’ che significa campo. Voi
potete seminare santità o peccato e fare quindi un raccolto commi-
surato; però prima di seminare, decidete che raccolto volete ottenere.
Kṣetra significa anche ‘l’intera terra’ come pure ‘luogo sacro’. Infatti
si dice Kāśī kṣetra (la città santa di Benares), oppure prayāga2 kṣetra
per indicare che questi luoghi sono sacri.
Anche il corpo è uno kṣetra poiché è un tempio in cui Dio è insediato
e adorato attraverso i pensieri, le parole e le azioni. Quel tempio
dovrà essere pulito e mantenuto sano e puro.
[3] La purezza va preservata e favorita non con bagni e abluzioni, o
evitando il contatto con chi viene dichiarato ‘intoccabile’; non diverrete
puri solo perché con superficialità osservate il divieto ‘non
toccare’. Il corpo è pulito se è lavato con l’acqua; la parola è pulita
se è satura di verità; la vita verrà purificata grazie all’austerità, e
l’intelletto diverrà limpido e senza macchia attraverso jñāna, la saggezza
spirituale.
Innanzitutto, la convinzione di non essere il corpo bensì solo il suo
residente deve crescere e consolidarsi in voi. Se v’identificate con il
corpo che vi portate appresso, non fate altro che invitare il dolore e
la sofferenza a travolgervi, invece della gioia e della pace che aspettano
solo di benedirvi.
[4] Parliamo ora dei sensi (indriyā), conosciuti con il termine mātrā,
che significa ‘misura, limite’; infatti ogni organo sensoriale può fare
esperienze entro un certo limite.
Facciamo un esempio, un piatto di lenticchie deve avere un pizzico
di sale per essere saporito. La lingua assaggia e giudica se la quantità
di sale è abbondante, scarsa o giusta. “Il viso è bello, ma il naso è
un po’ storto”, afferma l’occhio. “Questa canzone è dolce, ma quell’altra
era orribile”, dichiara l’orecchio. Ogni organo di senso deve
essere usato nel rispetto del suo limite; se lo superate, l’uso diventa
un abuso, un’irriverenza verso uno strumento donato da Dio.
Il naso va usato per respirare e per godere in modo selettivo di certi
profumi, ma molti lo usano per fiutare il tabacco o altre sostanze
tossiche e ne sviliscono lo scopo. La lingua viene contaminata mangiando
cibo rajasico e tamasico che stimola la passione o l’indolenza,
oppure per trangugiare bevande e sostanze inebrianti che degradano
l’uomo. In tal modo, tutti gli organi di senso vengono deteriorati
a causa di un uso sconveniente e improprio. Le conseguenze che ne
derivano sono angoscia e sofferenze mentali, nonché malattie fisiche.
Il corpo è costituito da materia inerte, tuttavia cresce, s’indebolisce e
decade per effetto di una coscienza che opera al suo interno. Altrimenti,
senza la coscienza, un cumulo di materia inerte subirebbe
cambiamenti soltanto aggiungendo o detraendo qualcosa con l’intervento
di agenti esterni.
[5] Ora trattiamo un altro argomento. La mente ricorda, rievoca,
ripensa. Da tale attività mentale ha origine la formulazione di proponimenti
e il loro annullamento, vale a dire saṅkalpa e vikalpa. La
mente ha – come trama e ordito – l’affermazione e la negazione, gli
obblighi e i divieti, saṅkalpa e vikalpa ma, a parte questi, non ha
un’esistenza propria. A volte, quando il proposito e la determinazione
per attuarlo diventano troppo ostinati e insistenti, la mente
oltrepassa i suoi limiti e impazzisce.
Per calmare la mente e mantenerla stabile ed equilibrata viene prescritta
la meditazione, che è una pratica con cui le disposizioni positive
e negative della mente vengono disciplinate sino a essere eliminate.
L’uomo prova un’estasi infinita quando raggiunge lo stadio del nirvikalpa3
samādhi. Un assaggio di tale beatitudine gli viene offerto durante
il sonno profondo privo di sogni, in cui non è disturbato da
voglie o bisogni, da desideri o rifiuti. Ma ancor più appagante è
l’estasi che sperimenta nello stato ‘nirvikalpa’ ottenuto grazie alla
meditazione; questa beatitudine si distingue per essere bhāvātītaṁ
triguṇa rahitam, vale a dire al di là della sfera dell’immaginazione e
delle emozioni, senza alcuna traccia dei tre attributi o qualità (guṇa).
[6] Assumendo il ruolo di insegnanti, vi siete impegnati a condurre
i bambini verso la luce, perciò voi dovete praticare la meditazione
almeno una volta al giorno per acquisire la beatitudine e l’equanimità.
Solo quelli che hanno ricevuto il dono di ānanda, beatitudine,
possono trasmetterla agli altri. Come può un mendicante sostenerne
un altro? Nessun mendicante potrà rendere ricco un altro questuante,
ma una persona ricca di beatitudine può condividerla con
chi le sta vicino.
In primo luogo, il vostro dovere di insegnanti è di acquisire ānanda,
in secondo luogo è di offrirla e diffonderla. Rendetevi conto che una
vita dedicata alla disciplina spirituale è un impegno fondamentale
per un insegnante.
Ci sono tre tipi di discipline che dovete praticare: personale, sociale
e universale. Un fiore singolo non può formare una ghirlanda, un
solo albero non fa una foresta, né un individuo da solo può costituire
una società. Il successo spirituale di un individuo, la sua natura
benevola e le sue virtù, se congiunte a quelle di molti altri, diventa-
no la ricchezza della società, la proprietà comune di tutti; perciò
riverite e servite tutti. Il Divino nel singolo si unisce e si fonde nel
concetto del Divino infinito.
Nel suo cuore, l’insegnante non deve lasciar spazio alla presunzione
e non deve abusare della sua autorità, dato che i bambini sono
innocenti, impreparati e inesperti. L’egoismo è il trono di cui l’autorità
s’impadronisce con orgoglio, quindi siate umili davanti ai bambini
e rinunciate a manifestare il tono del potere. Questa è la disciplina
spirituale per voi. Riverite e onorate il ruolo di insegnante e
consideratelo una benedizione di Dio. Soltanto un atteggiamento
del genere potrà assicurare il successo all’individuo, alla società e al
mondo.
[7] Siate consapevoli della transitorietà e dell’interrelazione tra il
corpo, i sensi e la mente.
L’intelletto, buddhi, è compreso in antaḥkaraṇa, lo strumento interno;
l’intelletto ha la capacità di prendere decisioni, ha la funzione di pacificare
i conflitti, disciplinare e controllare le passioni e le emozioni
e chiarire i dubbi. Quando diciamo ‘la mia voce interiore ha risolto
il problema’, ci riferiamo a buddhi che è anche detto antarātman, il Sé
interiore.
Il corpo è collocato al livello più basso dell’esistenza, ed è l’involucro
fisico; a un livello più alto ci sono i sensi: i cinque sensi di percezione
e i cinque di azione. La mente è su un piano ancora più alto,
e buddhi è ancora superiore perché è il più vicino all’ātma, al Sé.
Se il proprietario di un’auto cerca un autista, selezionerà un uomo
esperto nella guida, che abbia carattere e sia ubbidiente al suo datore
di lavoro; perciò dovrà essere un dipendente buono, onesto, utile
ed efficiente. Se un autista deve essere così esperto e virtuoso, quanto
più dovrà esserlo buddhi che è il conducente dell’ātma!
L’intelletto non è autorizzato a dare un ‘passaggio’ a qualcuno senza
il permesso dell’ātma, e deve sottoporre i desideri della mente a
un esame molto approfondito. Se buddhi è illuminato dallo splendore
del Sé, può consigliare ai sensi, attraverso la mente, la retta linea
d’azione. Le disgrazie accadono quando l’intelletto non è vigile o
viene aggirato dalla mente.
Permettete a buddhi di prendersi tutto il tempo necessario per selezionare
i pro e i contro. La fretta crea danni e perdite; i danni causano
preoccupazioni, perciò non abbiate fretta perché ‘presto e bene
raro avviene!’
La frettolosità crea confusione ed errori grossolani che provocano
delusioni e ira. La collera va superata guidando la mente verso la
pace e l’equanimità. Il mantra ‘śānti śānti śāntiḥ’ (pace al corpo, alla
mente e allo spirito) placherà l’onda di rabbia.
[8] L’uomo non deve avere paura quando nega la sua identificazione
col complesso corpo-mente: “Non sono il corpo, i sensi, la mente
né l’intelletto.” Ma non otterrà alcun beneficio rifugiandosi nella foresta
per sfuggire al suo attaccamento all’irrealtà; infatti, la rinuncia
può essere coltivata e sviluppata senza arrivare a un limite così
estremo.
Anche il dubbio lo perseguiterà finché l’individuo non conosce la
verità. Se il dubbio entra dalla porta anteriore, la fede se ne va da
quella posteriore! Il dubbio assale le persone come un attacco di
cuore e le travolge inaspettatamente.
Gli insegnanti devono quindi intraprendere il loro lavoro con fede
piena e salda.
La Bhagavad Gītā afferma:
ajñaś cā ’śraddadhānaś ca
saṁśayātmā vinaśyati |
nā ’yaṁ loko ’sti na paro
na sukhaṁ saṁśayātmanaḥ ||
Colui che è ignorante, privo di fede,
pieno di dubbi, non ha scampo.
Per chi è dubbioso non vi è felicità
né in questo mondo né nell’altro. (BG. 4.40)
[9] Gli ideali del movimento bālvika per lo sviluppo del bambino
sono i più nobili, e il compito di realizzarli è il più sacro. Se lo sapete
ma non lo fate al meglio delle vostre capacità, è un vero tradimento
verso voi stessi. Non inculcate nei bambini idee grandiose,
insegnate loro cose facili e pratiche, nonché modelli comportamentali
semplici, attraverso il vostro esempio e le vostre amorevoli
spiegazioni.
Solo chi conosce a fondo il sistema e i problemi, il significato e i
segreti dell’educazione può dare istruzioni agli insegnanti bālvika.
È possibile che i presidenti nazionali non abbiano le qualifiche
necessarie a tale riguardo, perciò il mio suggerimento è che il presidente
nazionale non venga coinvolto in alcun modo nei programmi
bālvika, ma organizzi e supervisioni le varie unità di servizio
che sono di sua competenza. Gli insegnanti bālvika trarranno
maggiori vantaggi rivolgendosi direttamente ai vertici dell’Organizzazione.
Gli insegnanti bālvika non devono provare gelosia né
criticare gli altri insegnanti; potranno svolgere il loro ruolo solo se
si libereranno di tali tratti negativi. Se fanno della maldicenza,
promuovono le incomprensioni e il settarismo, i bambini non
progrediranno mai. Decidetevi sin d’ora a seguire la retta via. Se
due insegnanti litigano o diventano ostili, entrambi saranno ri-
mossi dal loro incarico senza fare alcuna indagine; noi condanneremo
entrambi per essere stati coinvolti. Un insetto velenoso può
distruggere l’intero raccolto. Poiché in questi anni non siamo stati
abbastanza severi, ora vediamo che il numero degli allievi bālvika
è molto esiguo, anche se sono presenti molti insegnanti.
Ogni insegnante deve educare almeno un centinaio di studenti
all’anno, solo così potremo avere centomila ragazzi o più che
traggono beneficio dall’attuale programma. Tenendo conto della
lentezza con cui vengono istruiti, quando riusciremo a educare
anche gli altri bambini? Il ‘passo di lumaca‘ che attualmente viene
adottato non è di alcun vantaggio. Le aspirazioni e le ambizioni
dei giovani s’infiammano a grande velocità, perciò voi dovete incanalarle
altrettanto velocemente. Solo così si potrà raggiungere un
certo equilibrio; perciò dovete intervenire velocemente, ed essere
costanti nel vostro lavoro.
[10] Ora passiamo a un altro punto: dovete insegnare ai bambini
che tutte le religioni hanno la stessa validità; per farlo potete prendere
alcune citazioni della Bibbia, che è il sacro testo della cristianità,
oppure usare i sacri testi dello Zoroastrismo4, del Buddismo e
dell’Islam.
In tal modo, potrete mettere i bambini al corrente dei principi e degli
ideali di quelle religioni. Tuttavia, non svilite una determinata
religione per mettere in risalto un’altra.
Qualcuno ha suggerito che ai bambini deve essere insegnata l’intera
Bhagavad Gītā, ma è un punto di vista sbagliato. Ovviamente, se
essi desiderano farlo per conto loro con fervore ed entusiasmo, non
ostacolateli; ma quello che conta è proporre, con parole dolci e semplici,
gli insegnamenti di tutte le fedi. La religione SAI è, grazie all’amore,
un insieme armonioso di tutte le credenze religiose. Anche
se i seguaci di altre fedi pensano che la religione Sai sia in contrasto
con la loro, noi non dobbiamo nutrire simili sentimenti, né limitare
o ridurre la nostra visione.
Conducete i bambini lungo il gioioso sentiero della verità. Fate in
modo che i vostri volti siano sempre illuminati dal sorriso che scaturisce
dalla gioia nel vedere i visi felici dei bambini.
State ben attenti a non cadere nella trappola dell’ira, della gelosia e
dell’orgoglio: potrete evitarlo se vi dedicate con costanza e sincera
attenzione al compito che avete intrapreso.
Vi auguro che i bambini che sono sotto la vostra tutela possano diventare
dei giovani intrepidi, che contribuiscano alla rinascita dell’antica
gloria della loro Madrepatria.

Conferenza per insegnanti, Praśānti Nilayam, 21 novembre 1979