20 Marzo 1977 – L’era di Rāma

20 Marzo 1977

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

L’era di Rāma

sarva jīva dharma śāntam
sarva nāma dharma śivam
satcidānanda rūpam advaitam
satyam śivam sundaram
È il supporto e la pace suprema di tutti gli esseri
È conosciuto con tutti i nomi, il Dio supremo
Essere-Consapevolezza-Beatitudine, Uno senza secondo
verità, prosperità, bellezza.
[1] Le ricchezze svaniscono solo se le spendete, ma il tempo che potete
trascorrere sulla terra diminuisce ogni istante, che vi piaccia o
no, che ne siate consci o no. Pertanto, dovete sentire l’urgenza di assolvere
i grandi compiti della vita. Buddhi, l’intelletto, è un dono
speciale offerto all’uomo; gli è stato dato affinché possa conoscere sé
stesso, ma sfortunatamente ora lo utilizza per conoscere gli altri. Gli
è stato dato uno specchio perché possa vedere il proprio volto e cor-
reggere i suoi difetti ma, scioccamente, egli lo regge davanti alla faccia
altrui.
Ci sono certi doveri fondamentali che un uomo deve compiere con
la sua intelligenza; tre di essi sono indicati nelle Scritture come ‘ma’,
ovvero ‘debiti’, perciò deve estinguerli come conseguenza della sua
nascita umana e della sua vicenda terrena.
Il primo è deva-ma, il debito nei confronti degli dei; ogni organo del
corpo umano, anzi, ogni funzione, è governata, controllata e riceve
energia da un Potere divino o Dio. Perciò, come grata ricompensa
per il debito che ha nei Suoi confronti, l’uomo deve usare i suoi organi
e arti, le funzioni e le capacità per il bene altrui e per il bene
dell’intera comunità.
[2] Il secondo debito è chiamato ṛṣi-ma, il debito nei confronti dei
saggi, dei veggenti e degli antichi legislatori. Molto tempo prima
della nascita di questa generazione, un benefico codice di principi
morali e una preziosa collezione di linee guida nel campo dello spirito
sono stati custoditi e tramandati in eredità, grazie agli sforzi altruistici
dei saggi. Ogni generazione trae ispirazione e conoscenza
dalle precedenti, in modo particolare da chi ha esplorato nuove vie,
dai pionieri e da chi promuove buoni rapporti con gli altri nel campo
dell’etica, della legge, del misticismo, della sociologia e della religione.
Queste persone promuovono la concordia, il progresso ed
eliminano i conflitti sociali; le loro impronte tracciano le linee dello
sviluppo individuale e sociale, quindi dobbiamo disobbligarci per
l’enorme debito di gratitudine che abbiamo nei loro confronti.
I saggi e i veggenti hanno tramandato molte preziose conoscenze
sulla natura, la coscienza, sui mezzi e i metodi per verificare e ampliare
quelle conoscenze; ma oggi questo inestimabile patrimonio
viene dimenticato e perfino respinto perché considerato superfluo o
inadeguato. Questo è un vero atteggiamento suicida! L’uomo deve
preservare la conoscenza e promuoverla, rispettarla e utilizzarla.
Quello è il modo per ripagare il debito verso i ṛṣi.
[3] Le festività del calendario religioso come yugādi (il capodanno
secondo il ciclo lunare) ne costituiscono degli ottimi esempi. I ṛṣi
hanno definito sacri tali giorni, perciò è vostro dovere appurare il
significato e l’importanza di quelle festività e i motivi per cui sono
state stabilite.
Potete dedurre i veri motivi concepiti dai ṛṣi osservando cosa accade
generalmente in ogni casa al giungere della festa: quel giorno si
compiono bagni cerimoniali, s’indossano vesti nuove, si decorano le
porte con festoni di foglie verdi e fresche, le case vengono imbiancate,
abbellite, e si rinnovano i disegni decorativi sulle soglie. Tutto ciò
vuole rammentare il proposito originale di rinnovare i pensieri e abbandonare
quelli vecchi e superati, di stabilire nella mente la beatitudine
divina, ritrovare il coraggio e la fiducia e rafforzare la fede e
la speranza.
I capodanni passano, un anno succede all’altro, tante pietre miliari
sono state superate, ma il viaggio non avanza. Siete ancora immersi
nelle vecchie e desuete credenze e fantasie. Osservate invece i giusti
precetti formulati dai ṛṣi con la consapevolezza degli intendimenti
profondi che essi contemplavano. Seguite le Scritture e celebrate i
riti giornalieri e stagionali, i voti, le veglie, i digiuni che esse prescrivono,
dando sempre importanza ai significati interiori e agli
aspetti spirituali delle celebrazioni. Questo è il modo migliore per
sdebitarvi nei confronti dei saggi.
[4] Il terzo debito è il pitṛ-ma, il debito da ripagare agli antenati e, in
particolare, ai genitori. Anche questo debito è universale: gli uomini
di tutti i paesi e di tutte le latitudini devono riconoscerlo, poiché tutti
noi siamo nati dai genitori ai quali dobbiamo gratitudine per
averci dotato di un corpo. Onorate i genitori, rendeteli felici, date
loro soddisfazione e gioia con le vostre attenzioni e cure amorevoli.
Un ulteriore dovere è quello di proseguire la discendenza con figli
di carattere puro, di nobili virtù e propositi elevati.
Daśaratha, l’imperatore di Ayodhyā, per il desiderio di ripagare
questo debito verso i suoi antenati, celebrò un rito, il putrakāmesti
yāga, il sacrificio vedico che può benedire l’aspirante concedendogli
dei figli maschi.
[5] La stagione in cui ci troviamo è vasanta kāla, la primavera, che
comprende i due mesi: meṣa (aprile-maggio) e vṛṣabha (maggio-giugno).
Meṣa è il mese più glorioso dell’anno. Fu nella stagione primaverile
che Daśaratha lasciò libero il cavallo sacrificale1 affinché vagasse
liberamente per tutto il continente senza intralci, e fu ancora
nello stesso mese che il cavallo tornò ad Ayodhyā dopo un anno
senza aver incontrato impedimenti.
Anche il rito putrakāmesti yāga ebbe inizio in primavera e, sempre in
quella stagione, nacquero i quattro figli di Daśaratha: Rāma,
Lakṣmana, Bhārata e Śatrughna. Ecco perché yugādi, il capodanno, è
festeggiato come giorno inaugurale del vasanta navarātrī, le prime
nove notti di primavera, che culminano in rāmanavami, l’anniversario
della nascita di Rāma.
Yuga significa ‘era’. La festività odierna non è chiamata ‘capodanno’,
bensì yugādi, ovvero il primo giorno di una nuova era, l’era del
dharma o l’era di Rāma, poiché Rāma è identificato proprio come
l’Incarnazione del dharma. Il primo dovere di chi partecipa a questa
celebrazione è, quindi, di aderire, sostenere e diffondere il dharma.
La questione vera sta nel chiedersi quale sia la meta finale che
ognuno si propone di raggiungere nella vita. L’obiettivo deve essere
la realizzazione dell’unione del Sé individuale con il paramātma, o Sé
supremo. Altrimenti, per quale motivo il Sé dovrebbe incarnarsi in
una forma umana? Se l’obiettivo fosse solo ‘vivere’ anche una vita
felice, il Sé potrebbe incarnarsi nella forma di animali o uccelli. Il fatto
che l’uomo sia dotato di memoria, mente, intelligenza, discernimento,
capacità di anticipare il futuro, desiderio di staccarsi dai sensi,
eccetera, è un’indicazione che è destinato a qualcosa di più elevato.
Se, nonostante ciò, egli ambisce a ottenere un coronamento inferiore,
è un peccatore. Invece, chi persevera e rimane sul sentiero che
conduce alla realizzazione del Sé malgrado gli ostacoli e le tentazioni,
è come una gopī2, poiché le gopī di Bṛndāvan erano gli esempi più
nobili e ispirati di simili anime.
[6] La disciplina più efficace che l’uomo possa adottare per raggiungere
un traguardo così alto è il controllo dei cinque sensi, nonché
evitare i cinque vizi, ovvero gli errori e il male che occhi, orecchie,
lingua, mente e mani sono inclini a commettere.
L’occhio cerca sempre cose abiette e volgari. Malgrado il pericolo
per il suo corpo o addirittura per la sua vita, il motociclista spalanca
gli occhi e guarda un manifesto osceno che pubblicizza un film.
L’occhio va tenuto a freno affinché non arrechi danno alla mente né
al corpo.
L’orecchio gradisce storie scandalose e piccanti; non vi induce ad
ascoltare quei discorsi che possano davvero aiutarvi a progredire nel
cammino spirituale, e se anche vi capita di ascoltarne uno, l’orecchio
vi dissuade regalandovi un bel mal di testa.
La lingua è doppiamente pericolosa se non viene controllata perché
dice cose scandalose e crea la voglia di degustare. È pressoché impossibile
convincerla a seguire la via della recitazione e della meditazione
per quanto dolce sia il nome del Signore.
Sūrdās3 implorava la lingua di pronunciare i nomi di Govinda, Damodhara,
Mādhava. Quando l’occhio, l’orecchio e la lingua sono
sotto controllo, atti a essere utilizzati per il proprio miglioramento,
anche la mente e le mani possono essere facilmente governate.
Quando l’uomo consegue la realizzazione, non gli occorre domandarsi
dove risieda Dio; Egli risiede nel cuore puro, dove brilla del
Suo intrinseco splendore di saggezza, potere e amore.
Date gioia a tutti! Prema, l’amore altruistico, è lo strumento per realizzare
tale ideale. Se l’amore può portare persino Dio vicino a voi,
come può fallire con gli uomini? Kṛṣṇa non poté essere legato con
null’altro. Per questo Sai proclama: iniziate il giorno con amore, trascorrete
il giorno con amore, colmate il giorno di amore, concludete
il giorno con amore: questa è la via che porta a Dio!

Bṛndāvan, yugādi, 20.03.1977