20 Aprile 1975
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La lezione valida per tutti
[1] Il Rāmāyaṇa è un libro-guida, un testo sacro, una scrittura ispiratrice
sempre valida per tutti gli uomini di tutti i Paesi, qualunque
sia il credo o la condizione sociale, perché conferisce calma, equilibrio,
equanimità, forza interiore e pace. La pace è il tesoro più
grande e, senza la pace, il potere, l’autorità, la fama e la ricchezza
sono soltanto oneri gravosi e aridi. Tyāgarāja1 cantava che non ci
può essere felicità senza pace interiore.
Per acquisire e per essere saldamente ancorati nella pace, è indispensabile
sviluppare abhyāsa, la pratica costante, e vairāgya, il totale
distacco. Dalla nascita alla morte, l’uomo è schiavo di abitudini e di
usanze, perciò deve analizzarle attentamente e affidarsi sempre più
a quelle che lo conducono verso la gioia soggettiva più che verso i
piaceri oggettivi. La gioia soggettiva può essere acquisita attraverso
l’armonia familiare, la collaborazione reciproca fra i membri della
famiglia e della comunità, le attività di servizio al prossimo e l’impegno
per il benessere e la prosperità della società nella quale si vive.
Il Rāmāyaṇa propone gli ideali che devono essere seguiti dal padre,
dal figlio, dalla madre, dal fratello, dall’amico, dal servo, dal padrone,
dall’insegnante, dall’allievo, ecc. La famiglia felice è la cellula
di base dell’organismo nazionale e garantisce un mondo felice
poiché l’umanità è una famiglia; quando uno dei suoi componenti è
triste o lotta contro la sofferenza, come possono gli altri sentirsi sicuri
o soddisfatti?
[2] Vairāgya, distacco, non significa rinunciare ai legami familiari e
fuggire nella solitudine della giungla, ma significa abbandonare
quel sentimento che induce a pensare che le cose siano permanenti
e capaci di conferire suprema gioia. La mente tira dei brutti scherzi
e fa credere che certe cose siano buone e altre cattive, alcune eterne
e altre transitorie.
Davanti a voi avete un piatto pieno di cibo delizioso, ma se il cuoco
vi avverte che una lucertola viva è caduta nella pentola che era sul
fuoco ed è stata cotta, tutta l’attrattiva per quel cibo gustoso scompare
in meno di un secondo!
Non esiste oggetto che sia senza difetti o imperfezioni, non esiste
gioia che non sia intrisa di dolore, non c’è azione che non sia macchiata
di egoismo. Quindi siete avvisati! Sviluppate il distacco che
vi salverà dal dolore!
Il Rāmāyaṇa infonde il distacco, che è una qualità saggia e preziosa,
e tyāga, lo spirito di sacrificio e rinuncia. Rāma affrontò l’esilio nella
foresta con contentezza quando venne a sapere che tale era il desiderio
di suo padre; non va dimenticato che Rāma doveva essere incoronato
imperatore proprio quel giorno dalla stessa persona che
gli aveva ordinato di andare in esilio. Nel Rāmāyaṇa vediamo che ci
sono persone con pieni poteri e diritti che rinunciano a posizioni di
autorità, mentre oggi ci sono molti, senza poteri né diritti, che richiedono
a gran voce di occupare posizioni autorevoli.
[3] Il dovere è Dio: questa è la lezione che insegna il Rāmāyaṇa. Il
termine ‘dovere’ viene oggi utilizzato per indicare i modi con cui un
individuo possa esercitare la sua autorità, ma non è corretto! ‘Dovere’
significa che avete la responsabilità di rispettare e riverire gli altri
e di servirli al meglio delle vostre capacità.
Voi pretendete di avere la libertà di camminare agitando qua e là il
vostro bastone da passeggio, ma chi è dietro di voi ha la stessa libertà
di fruire della strada come voi. Esercitate la vostra libertà in
modo da non limitare né ledere la libertà altrui; ebbene, questo è il
dovere che diventa adorazione.
Quando Rāma, Sītā e Lakṣmaṇa raggiunsero le rive del Gange, l’anziano
ministro, Sumantra, che li aveva condotti fino lì con la carrozza
reale, non poté seguirli perché il suo dovere era quello di ritornare
alla capitale. Così fece ritorno con gli occhi pieni di lacrime. Guha
li traghettò attraverso il fiume Gange, poi essi entrarono nella fitta
giungla e cominciarono a camminare in fila: Rāma, Sītā in mezzo e
per ultimo Lakṣmaṇa.
Dopo qualche tempo raggiunsero l’eremitaggio del saggio Vālmīki
e, quando il saggio accorse a riceverli, Rāma gli chiese di indicargli
un luogo dove potesse risiedere. Vālmīki rispose: “Noi saggi risediamo
in Te e Tu risiedi in noi. In quale altro luogo posso dirti di
dimorare? Sebbene Tu abbia assunto questa forma umana, ti riveli
per la bellezza che rifulge in Te.” La bellezza di Rāma era la bellezza
della pace interiore, era lo splendore di chi è consapevole di vivere
nel dharma.
[4] Il Rāmāyaṇa insegna anche la necessità di abbandonare la falsa
identificazione con il corpo. Quando Rāma vide Tāra che piangeva
sul corpo senza vita di Vāli2, le impartì la lezione sulla caducità del
corpo e sulla follia d’identificare una persona con quel veicolo che
deve essere usato per compiere il viaggio verso il Divino.
Quando il desiderio per ciò che è precario e temporaneo domina
l’uomo, egli è spacciato, condannato e si allontana dalla meta. Considerate
l’esempio di Sītā: rinunciò a tutto quello che le avrebbe offerto
agiatezza e comodità nei palazzi reali di suo padre e di suo
suocero, preferendo seguire Rāma nella foresta. In tal modo si era
assicurata la vicinanza e la presenza del Signore.
Quando però vide la falsa forma del cervo dal manto dorato, lo desiderò
ardentemente e mandò Rāma e Lakṣmaṇa a catturarlo, in
modo da poterlo coccolare, nutrire e tenerlo come animale da compagnia.
Ma quale fu il risultato di quel desiderio fatale? Sītā fu obbligata
a vivere lontana dal Signore e a struggersi per Lui con grande
angoscia.
Quando nel cuore è insediato Rāma, ogni altra cosa vi sarà data in
più: fama, fortuna, libertà, completezza. Hanumān era solo il capo
delle scimmie, era un ministro alla corte del re finché non incontrò
Rāma; ma quando Rāma gli assegnò il compito di cercare Sītā e lo
mandò in missione, vale a dire quando Rāma si insediò nel suo cuore
come guida e guardiano, Hanumān divenne immortale, divenne
il devoto ideale.
[5] Il Rāmāyaṇa possiede molti significati profondi e nascosti. Il
nome ‘Daśaratha’3 significa ‘dai dieci carri’; egli è vincolato dai tre
guṇa (tamas, rajas, sattva) che sono rappresentati dalle tre mogli, come
narra il Rāmāyaṇa. Ha quattro figli che rappresentano i quattro
obiettivi della vita, vale a dire i puruṣārtha: Rāma è il dharma o rettitudine,
Lakṣmaṇa è artha o ricchezza, Bharata è kāma o desiderio, e
Śatrughna è mokṣa o liberazione. Questi quattro obiettivi dell’esistenza
devono essere realizzati sistematicamente, tenendo sempre
gli occhi puntati sul quarto, mokṣa.
Lakṣmaṇa rappresenta l’intelletto, buddhi; Sītā è la verità; Hanumān
è la mente che, quando è controllata e ben addestrata, è custode del
coraggio. Sugrīva4, il re del popolo delle scimmie di cui faceva parte
anche Hanumān, rappresenta il discernimento. Con l’aiuto di tali
qualità, Rāma cerca la verità (Sītā) e ha successo. Ecco la lezione, valida
per ogni uomo, che trasmette questo poema epico.
La cultura di questa Terra si basa sui nobili ideali di rettitudine custoditi
nel Rāmāyaṇa e nel Mahābhārata; in entrambi i poemi, Dio
in forma umana ha ispirato e guidato l’umanità.
[6] C’è una storia su Alessandro Magno che illustra la gloria della
cultura indiana. Sembra che Alessandro fosse solito recarsi in incognito
nei villaggi vicini al suo accampamento in India per apprendere
le abitudini e gli usi di quel nuovo e strano Paese in cui il destino
lo aveva condotto.
Un giorno egli vide un uomo che implorava un altro di accettare un
vaso d’oro che l’altro si rifiutava persino di guardare! Alessandro
scoprì che il vaso d’oro era stato trovato nel campo da quell’uomo
che lo aveva acquistato dal contadino che ora si rifiutava di accettare
il vaso. L’acquirente del terreno sosteneva di avere comprato solo
il campo e che quindi il vaso non gli apparteneva; il venditore del
podere affermava di non avere più alcun diritto sugli oggetti trovati
nel campo che ormai aveva venduto.
Alessandro continuò a osservare il comportamento dei due uomini,
ma nessuno dei due cedeva. Alla fine furono convocati gli anziani
del villaggio per decidere sul da farsi. Proprio mentre Alessandro li
osservava, il gruppo degli anziani trovò una brillante soluzione per
appianare il caso: il figlio dell’acquirente del campo avrebbe sposato
la figlia del venditore del terreno, e il vaso d’oro sarebbe andato
in dote alla sposa!
Alessandro esultò nel vedere a quale livello poteva arrivare la virtù
umana, e si vergognò delle sue ambizioni avventurose che miravano
a conquistare i beni altrui con l’uso delle armi.
Gli ideali che stanno alla base dell’antica cultura dell’India devono
essere studiati e praticati da tutti gli indiani, in modo che il mondo
intero possa trarre beneficio dai grandi esempi che essi offrono.
[7] Oggi voi celebrate la nascita di Rāma, perciò dovete dedicare le
vostre attività a questi grandi ideali che sono stati da Lui proposti
nella Sua vita. Il fatto che voi oggi siate in vita è una benedizione,
perché potete venire a conoscenza di tali nobili principi e dei modi
per comprenderli e metterli in pratica nella vostra vita quotidiana.
Ci sono molti che recitano a lungo il nome di Rāma in modo meccanico,
o che leggono il Rāmāyaṇa seguendo un certo programma
di lettura, o che venerano l’immagine di Rāma, Sītā, Lakṣmaṇa e
Hanumān attraverso un rito quotidiano eseguito con ostentazione e
meticolosità. Ma come chi mette un piede avanti solo per poi tirarlo
indietro, queste persone non fanno alcun progresso, sebbene gli anni
passino numerosi.
Se non acquisite la purezza dei pensieri e delle intenzioni, la compassione
e lo slancio a servire, le espressioni esteriori e le esibizioni
non sono altro che modi per ingannare la società che vi applaude e
vi considera grandi devoti. Invece, la vostra visione deve diventare
intuizione e introspezione, dovete volgere la visione all’interno e
utilizzarla per purificarvi e raffinarvi.
La gente parla facilmente di sākṣātkāra5, la visione del Divino che
libera. ‘Colui che vede’ e ‘ciò che è visto’ devono fondersi, divenire
Uno ed essere sperimentati come Uno senza secondo: quella è la visione
degna di essere chiamata tale.
[8] Potete avere nelle mani il frutto di tapas (penitenze), ma finché
non lo mangiate, non lo digerite, non lo rendete parte della vostra
stessa natura ricavandone forza ed energia, non sarete assolutamente
salvati. Fondetevi nel Divino che voi realmente siete: quello è il
coronamento!
Per raggiungere tale obiettivo, dovete fare molta strada. In primo
luogo esaminate la vostra attrezzatura e scopritene i difetti, per
esempio, se è danneggiata dall’egoismo, dall’avidità, dalla falsità,
dalla pigrizia e dall’ostinazione. Con questi difetti è difficile concentrare
il pensiero su Dio, sia interiormente sia esteriormente.
Dovete anche coltivare la qualità positiva di prema (puro Amore)
poiché l’Incarnazione di prema può essere realizzata solo attraverso
prema. Questo è il messaggio che il Rāmāyaṇa annuncia a tutti coloro
che lo studiano con il desiderio sincero di apprendere, ed è anche
il messaggio che desidero trasmettervi oggi.
Bṛndāvan, 20.04.1975, Rāmanavamī