14 Agosto 1979
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Kṛṣṇa è Amore
[1] Ripetete il Nome di Kṛṣṇa nella vostra mente in ogni momento
della vostra vita. Lo troverete più dolce dello zucchero o del miele,
in realtà sarà più delizioso dell’ambrosia.
Gli uomini il cui intelletto è ristretto e incapace di comprendere la
vastità che va al di là, che non sanno immergersi a fondo nei misteri
dell’esistenza, non potranno avere successo nel promuovere la pace
e la prosperità nel mondo. Queste dipendono dalla pace e prosperità
presenti nella società, e poiché la società è costituita da individui,
ogni uomo deve acquisire pace e prosperità affinché il mondo possa
risplendere della loro gloria. Per adempiere questo compito, l’individuo
deve ottenere fede ed entusiasmo dal Divino, che è la sua
Realtà.
Finché l’uomo non percorre il sentiero spirituale, non potrà essere
in pace con sé stesso e con i suoi simili. Tale percorso gli conferirà la
pace, e con la pace otterrà il benessere.
Oggi, ovunque, vediamo persone parlare di pace, ma le loro azioni
smentiscono le loro asserzioni, infatti l’ansia e la paura sono in continuo
aumento. Ogni individuo vuole essere superiore all’altro, di
conseguenza lo spirito è dimenticato e la mente viene contaminata.
Fra gli uomini non c’è comprensione vera né spirito di benevolenza
e sincera amicizia, così la vita rappresenta un inutile passare del
tempo.
[2] Un giorno, i dieci discepoli del saggio Paramānanda guadarono
un fiume in piena e riuscirono a raggiungere l’altra sponda. Essi volevano,
però, rassicurarsi che tutti i dieci uomini fossero sopravvissuti
a quella pericolosa impresa, così si misero in fila per fare la conta.
A turno, ognuno di loro contò i presenti, ma chi contava non includeva
sé stesso, perciò un uomo risultava sempre mancante. Allora
tutti cominciarono a piangere la perdita del ‘decimo’ uomo che
era stato portato via dalle acque impetuose.
Allo stesso modo, gli uomini che sono orgogliosi dei loro conseguimenti
sulla terra e nello spazio si lamentano della loro sorte,
perché la pace è sfuggita dalle loro mani. Oggi l’uomo sa contare le
stelle e camminare sulla luna, ma non conosce il suo Sé; come può
quindi provare la gioia dell’affinità con gli altri? Quando potrà affermare
di avere raggiunto la meta della realizzazione?
L’estasi della realizzazione non è disponibile nel mondo oggettivo,
deve essere acquisita volgendo la visione all’interno. L’uomo è ora
in uno stato di schiavitù anche se ne è inconsapevole, ma è così
sprofondato nella sua ignoranza che non fa alcun sforzo per liberare
sé stesso.
Molti dichiarano che moglie e figli, parenti e amici, case, terreni e
proprietà siano dei legami. Scartare e liberarsi di tutto ciò è una
questione relativamente facile perché, in verità, non sono queste le
cose che più vi legano.
La schiavitù più ferrea è l’ignoranza della vostra Realtà: non sapere
‘chi sono io’ è l’ostacolo più grande e, finché non è superato, il dolo-
re sarà inevitabile; a causa della sua ignoranza, l’uomo resta coinvolto
con tamas, con l’irreale e con la morte. Quando non conosce sé
stesso, è indotto a credere che il mondo oggettivo sia vero e permanente,
quindi ignora ciò che è realmente vero ed eterno.
[3] Che cos’è il sé? Anche qui l’uomo ha delle credenze errate, è
convinto che il sé sia il corpo e gode nel descrivere tutte le sue caratteristiche.
Ignora invece l’ātma, il Sé sublime, sereno e sempre
fresco, il Principio Divino che egli stesso è, il desiderio sempre
presente di espandersi e illuminare. L’impulso a contrarsi e a delimitare
è invece la caratteristica dell’animale.
Negare l’ātma, non considerare il suo compito e ignorarne l’esistenza
sono le radici del dolore.
L’ātma non ha nascita e quindi non ha morte, esiste sempre e non
scompare mai, non ha inizio né fine; non muore, non uccide, né può
essere dichiarato inerte. È il testimone in tutti.
Nel momento in cui siete consapevoli dell’ātma, siete liberati dalla
schiavitù del dolore. Abbandonate l’idea che il mondo oggettivo sia
vero; esso è al massimo un’immagine mentale che può servire come
test. Questo è il motivo per cui la preghiera dei saggi recitava:
asato mā sad gamaya Dall’irreale conducimi al reale
tamaso mā jyotir gamaya Dall’oscurità conducimi alla luce
mṛtyor mā amṛtam gamaya Dalla morte conducimi all’immortalità.
(Bṛhadāraṇyaka upaniṣad 1.3.28)
[4] Il vero obiettivo della vita umana è conoscere il Brahman e fondersi
in ‘Quello’. Gli antichi saggi hanno dichiarato che ci sono tre
fasi nel cammino per raggiungere la meta: karma jijñāsa1, dharma jijñāsa2,
brahma jijñāsa3, vale a dire cercare la conoscenza spirituale attraverso
l’attività, la virtù e la Divinità.
Questi tre stadi sono stati descritti e analizzati dagli studiosi per secoli.
Attraverso il karma, l’individuo diventa retto, buono e virtuoso
(dharma) e comincia a cercare la base della moralità (Brahman). Si
scopre così che la virtù e la moralità vanno ad aggiungersi alla propria
beatitudine e che tutta l’ānanda emerge e fluisce dal Brahman
stesso. Si realizza quindi che ogni azione priva di tale consapevolezza
è vincolante e sterile.
[5] La dichiarazione delle upaniṣad: ‘kāruṇya paramam tapas’ si basa
su questa consapevolezza e significa: ‘La compassione verso tutti
gli esseri è vera disciplina spirituale.’ L’uomo è il vertice della creazione,
è il più elevato fra gli esseri viventi, perciò la sua responsabilità
è grande; deve amare gli altri esseri viventi, servirli e salvarli
poiché essi sono suoi parenti e amici e anch’essi hanno il Principio
Divino come loro essenza. Ma l’uomo dimostra di essere peggio
degli animali perché pratica l’egocentrismo, la presunzione, l’invidia
e la collera. Pur essendo dotato di pietà, carità, comprensione,
forza d’animo e gioia, ha abbandonato queste virtù ed è disumano
nella condotta e nel comportamento.
Immaginate una tigre che riesca a introdursi in una stalla di bovini!
Le tendenze malvagie sono come le tigri: distruggono le virtù sattviche.
Una volta riconosciuta l’entità del disastro, dovete decidervi a
eliminare tutte queste intrusioni selvagge.
[6] L’uomo può essere salvato solo attraverso bhakti e prapatti, devozione
e dedizione. La devozione non si conclude con la ripetizione
del Nome divino, con il canto dei bhajan e la meditazione; in realtà,
significa avere devozione per l’ideale, l’ideale di liberarsi della bestia
e di elevarsi al Divino, di abbandonare paśu, l’animale, e raggiungere
paśupati, Dio: questo è il vero appello! Solo coloro che prestano
ascolto a tale esortazione meritano di essere chiamati ‘uomini’.
Per rivelare all’uomo il suo supremo destino, Dio stesso assume
forma umana (pur essendo esente da nascita), poiché Egli è Gopāla.
‘Go’ non sta a indicare solo la mucca, ma anche il jīvi (gli umani e
gli altri esseri viventi).
Oggi è Kṛṣṇāṣṭamī, il giorno dell’Avvento dell’avatār Kṛṣṇa, che
esortò l’uomo a elevarsi dalla bestia al Divino. Con la devozione e
la dedizione a Dio, l’uomo acquisisce la consapevolezza che non ha
alcuna relazione con tutte le cose che lo vincolano, come il corpo, le
ricchezze, i parenti e gli amici, gli attributi e i sentimenti.
Per Kṛṣṇa, la Sua condizione di avatār era un līlā, un gioco divino.
La Sua vita era il Suo messaggio. Egli era la Personificazione del
karma yoga più nobile e benefico, e nelle Sue azioni non c’era traccia
di egoismo, orgoglio o invidia.
Kṛṣṇa si assunse il compito di guidare il carro da guerra di Arjuna;
al termine di ogni giornata, dopo la battaglia, lavava i cavalli, li curava,
li nutriva e applicava del balsamo sulle loro ferite. Per quanto
fosse insignificante quel compito, Egli lo eseguiva con la massima
attenzione e con lo stesso entusiasmo che si ha per un incarico ben
più importante.
[7] L’uomo è dotato di forza di volontà (icchā śakti) proprio per uno
scopo preciso: per volere il bene e tutto quello che nobilita ed eleva.
Le altre due śakti (energie) a lui assegnate sono: jñāna śakti e kriyā
śakti. Per chiarire l’interdipendenza di queste tre śakti, ecco qui un
esempio: ‘Il desiderio di bere una tazza di caffè è così forte che volete
esaudirlo, ma la volontà (icchā) da sola non può produrre il caffè.
Allora utilizzate la vostra conoscenza (jñāna) e vi procurate un fornello,
acqua, zucchero, latte e caffè in polvere; di nuovo il vostro desiderio
iniziale non viene appagato. Infine utilizzate kriyā śakti (forza
dell’azione) e preparate il caffè che volevate bere.’
Diciamo che icchā śakti vuole raggiungere Dio, ma il semplice desiderio
è troppo debole per realizzare la meta. Jñāna śakti vi suggerisce
di non disperare perché ci sono vari modi per avere successo, e
vi prospetta diverse discipline spirituali. Kriyā śakti si attiva e vi
ispira ad agire e a perseverare nella pratica finché raggiungerete
l’obiettivo.
[8] Sfortunatamente, 99 uomini su 100 usano solo la forza di volontà;
cessano di avere desideri, ma non ottengono la beatitudine che si
aspettano; la loro fede vacilla e quindi non avanzano con coraggio e
audacia. Icchā śakti vi sollecita a prendere il massimo dei voti in un
esame, ma jñāna viene ignorata e kriyā non viene attivata. Se un millesimo
di quell’entusiasmo venisse trasmesso anche a kriyā, nell’esame
riuscireste con facilità a ottenere il massimo dei voti.
Nella Bhagavad Gītā, Kṛṣṇa ha spiegato i metodi con cui queste tre
forze o energie possono essere coltivate e utilizzate. Prima di tutto
bisogna sradicare dalla mente il desiderio malvagio di fare del male,
di ferire e insultare gli altri. L’alberello della devozione e dedi-
zione può crescere solo in una mente che sia impregnata di compassione.
Come può anche il seme migliore germogliare su un terreno
salmastro? Compassione significa riflettere nella nostra mente le
gioie e i dolori degli altri, e reagire con felicità e solidarietà. Per fare
in modo che questo avvenga, la mente deve essere purificata e trasformata
in uno specchio ben pulito.
Dio risponderà alle vostre suppliche di ricevere sollievo solo quando
voi risponderete con comprensione e partecipazione ai bisogni
del vostro prossimo. La vita non va sprecata in attività egoistiche,
ciechi all’angoscia degli altri e sordi ai loro lamenti. Soffrite in ugual
misura, gioite nello stesso modo, come gli altri: secondo Kṛṣṇa,
questa è equanimità, uguaglianza (samatva); mettetela in pratica e
sforzatevi di riuscire nell’intento. Secondo le affermazioni di Kṛṣṇa,
questo è il mezzo migliore per ottenere la Sua grazia.
È possibile che non siate ricompensati materialmente con atti compassionevoli,
ma la ricompensa maggiore è la gioia che ricevete e la
gioia che donate. Il corpo con le sue preziose e uniche qualità vi è
stato concesso affinché voi possiate ‘volere’ (icchā śakti), ‘conoscere’
(jñāna śakti) e ‘agire’ di conseguenza (kriyā śakti).
[9] Vi è stato assegnato un certo periodo di tempo, in modo che
possiate usarlo con profitto e trarne beneficio per realizzare tali sacri
propositi. Ma tutti sono dominati dall’egoismo, vogliono essere
rispettati dagli altri, ma non sono disposti a rispettarli; fanno ogni
sforzo per essere felici, ma sono riluttanti a rendere felice il loro
prossimo.
La maggior parte della gente è contenta quando è felice; molti sono
contenti quando essi stessi e gli altri sono felici; pochi si sottopongono
lietamente all’infelicità pur di rendere felici gli altri. Il primo
gruppo può essere paragonato alla lampadina che illumina solo la
piccola stanza in cui è accesa; il secondo è come la luna la cui luce,
anche se diffusa, non è abbastanza luminosa per individuare chiaramente
le cose; il terzo gruppo è come il sole che risplende su ogni
cosa rivelandone la natura e le caratteristiche.
Fra le varie discipline devozionali, mettere un’immagine o una statua
del Signore in casa per adorarla, è quella di minor valore. Celebrare
Kṛṣṇa janmāṣṭamī, la ricorrenza dell’Avvento di Kṛṣṇa, non
deve limitarsi a uno speciale rito di adorazione e alla preparazione
di particolari leccornie per il pranzo. Un programma così ristretto
nasce dal desiderio di attirare la grazia di Kṛṣṇa, ma otterrete la
grazia divina solo con l’ubbidienza e l’osservanza dei Suoi insegnamenti.
Adorare Kṛṣṇa ed eludere il Suo insegnamento è un sacrilegio. Potete
evitare di fare l’atto di adorazione, e pur tuttavia ottenere la
grazia se vi sforzerete di progredire lungo la via da Lui tracciata.
[10] Kṛṣṇa era l’Incarnazione dell’Amore, perciò la virtù che più
apprezza è l’Amore, che deve essere tradotto in effettivi atti di
compassione. Coltivate sentimenti di comunione, sviluppate comprensione
e solidarietà finché raggiungerete l’obiettivo di unirvi all’Incarnazione
dell’Amore: Kṛṣṇa.
Molti di voi s’impegnano nella disciplina spirituale, ma qual è il suo
scopo fondamentale? Ogni esercizio praticato dall’aspirante spirituale
è un fiume che procede verso l’Oceano della Grazia. Convincetevi
che l’amore che vi sollecita a servire e a provare compassione
è una scintilla dell’Amore di Dio.
Kṛṣṇa janmāṣṭamī, Praśānti Nilayam, 14.08.1979