13 Luglio 1980 – Le tre afflizioni

13 Luglio 1980 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Le tre afflizioni

[1] Mentre è sulla terra, l’uomo deve affrontare tre tipi di sofferenze.
Le Scritture lo mettono in guardia contro queste afflizioni che vengono
dette: ādhyātmika, ādhibautika, ādhidaivika.
Il primo gruppo di sofferenze (ādhyātmika) si palesa attraverso malattie
fisiche e mentali. Nel termine ādhyātmika, la parola ātma si riferisce
al sé corporeo.
Il secondo gruppo ādhibautika deriva dal termine sanscrito bhūta che
significa ‘ciò che è creato’; tali sofferenze vengono causate da animali
come: serpenti, animali selvatici, vermi, insetti, ecc.
Il terzo gruppo ādhidaivika include quelle afflizioni che sono causate
da calamità naturali come inondazioni, siccità, cicloni, terremoti,
ecc. Il termine daiva sta a indicare una deità che presiede a una forza
o a un fenomeno della natura.
Il primo tipo ādhyātmika colpisce il corpo umano che è la sede di innumerevoli
batteri e parassiti; nessuno può essere esente da queste
cause portatrici di varie malattie. Tuttavia, l’individuo può facilmente
superare simili sofferenze sviluppando la compassione verso
tutti gli esseri, nonché buoni pensieri che facciano sbocciare l’amore
e lo diffondano.
La malattia, sia fisica sia mentale, è una reazione che si ripercuote
sul corpo ed è provocata dai veleni presenti nella mente. Solo una
mente pura e incontaminata può garantire una salute costante,
mentre il vizio genera la malattia. Pensieri malvagi, abitudini perverse,
cattive compagnie e cibo malsano sono terreni fertili in cui la
malattia si sviluppa e fiorisce, mentre la buona salute e la beatitudine
vanno mano nella mano.
Un senso di euforia e di esultanza mantengono il corpo in buona
salute; invece le cattive abitudini, di cui si diventa schiavi, sono la
principale causa di malattie fisiche e mentali. L’avidità influisce sulla
mente e la delusione rende l’uomo depresso.
[2] L’individuo può giustificare la sua esistenza umana solo se coltiva
le virtù, in tal modo diventa un aspirante degno di realizzare la
propria Divinità; infatti progredire nelle virtù significa avanzare
verso il Divino. La virtù conferisce freschezza e purezza, competenza
e abilità, nonché un aspetto giovanile per molti anni.
Gli anni che trascorrete qui nell’Istituto sono decisivi, perciò dovete
iniziare a coltivare le qualità divine: ecco il motivo per cui insisto
nel sottolineare l’importante relazione che esiste tra virtù, salute e
felicità. Se invece scivolate nel male, non ci sarà via d’uscita e verrete
catturati nella spirale della disperazione.
Solo la virtù vi conferirà la grazia di Dio, ricordate che nulla è più
prezioso della grazia divina. Tyāgarāja1 rifiutò i sontuosi regali e gli
splendidi gioielli che il re voleva donargli perché considerava la
Presenza di Dio molto più preziosa di tutta la ricchezza del mondo.
Un corpo sano è il tempio di Dio, e la sua salute è proporzionale alla
purezza del cibo che assumete e alla purezza dei vostri pensieri,
parole e azioni. Moderare il cibo e moderare la parola sono i benefici
gemelli che devono essere acquisiti grazie allo sforzo personale.
[3] La sofferenza detta ādhibautika è causata da esseri viventi di grado
inferiore come mosche, formiche, zanzare, cimici, ecc. Può essere
difficile liberarsene, ma l’individuo può praticare il controllo mentale
grazie allo yoga2. Il termine yoga significa tenere a freno le agitazioni
della mente; quando la mente viene ritirata e non è a contatto
con il mondo esterno attraverso i sensi, l’ansia e l’agitazione non
possono nuocere all’individuo.
La mente deve ritirarsi e negare sia la lode sia la critica, poiché l’una
vi rende orgogliosi, l’altra vi rende rabbiosi. L’orgoglio è veramente
deplorevole, e l’ira è disastrosa. Siate sempre gli stessi, imperturbabili,
e osservate con mente equilibrata gli alti e i bassi della vita.
Valutate attentamente la transitorietà della vita e la futilità della ricchezza,
del potere e della notorietà: il corpo è una combinazione di
vari elementi, i quali sono destinati a dissolversi.
Ho dato istruzioni che vi vengano insegnate alcune posizioni yoga
(āsana), le quali vi aiuteranno a mantenere sano il corpo e la mente;
in tal modo riuscirete ad acquisire l’equanimità e la vera ānanda,
beatitudine.
[4] La sofferenza detta ādhidaivika include quelle afflizioni che sono
causate da calamità naturali come inondazioni, siccità, terremoti,
ecc. Per non esserne danneggiati, bisogna praticare il samādhi3.
Dhi significa ‘intelletto’, sama vuol dire ‘uguale’. Conseguire il
samādhi non comporta la perdita di coscienza o il tremore degli arti,
e non è neppure uno stato di trance. È una caratteristica tipica della
mente, è un atteggiamento che l’individuo può sviluppare per osservare
tutti gli eventi e le persone senza attaccamento, senza attrazione,
repulsione né avversione.
Tale stato di coscienza è anche detto nirvikalpa4, cioè privo di vikalpa,
differenze, reazioni e agitazioni mentali. Chi sa controllare e dominare
questi impulsi (vikalpa) è libero da desideri, bisogni e voglie
perché ha coscientemente addestrato la mente a non rispondere all’attrazione
né a reagire alla repulsione.
Quando la mente reagisce alle sollecitazioni esterne e interne in
modo favorevole, avverso o in qualsiasi altro modo, subisce delle
lievi distorsioni, alterazioni ed emozioni (vikāra) per cui non può
purificarsi né acquisire lo stato divino.
[5] L’ātma, il divino Sé, è nel profondo della coscienza umana. Noi
non teniamo oro e gioielli nella veranda, vi teniamo soltanto vasi e
cesti. Custodiamo invece i gioielli in una cassaforte di ferro situata
in una stanza interna della casa, lontano da tutti gli sguardi.
Il corpo è destinato a perire, a decomporsi e a essere bruciato.
Quando l’età aumenta, il corpo si degrada di anno in anno, e quando
la sua fine si avvicina decade sempre più rapidamente.
Nel ‘contenitore’ detto corpo è custodito il prezioso ātma. Anche il
mare preserva le sue perle pregiate nei fondali, mentre sparge le
conchiglie di poco valore sulla riva, dove la gente può raccoglierle.
Allo stesso modo, per percepire l’ātma, dovete dirigere la vostra ricerca
e la vostra attenzione all’interno.
Siddhārtha5 era un principe che governava un vasto regno; anche
Bhagīratha6 era un grande governante, tuttavia essi avevano rivolto
la loro visione all’interno. Entrambi avevano rinunciato alla ricchezza,
al prestigio, al lusso e vivevano in solitudine per dedicarsi
alla ricerca della verità. Potete forse condannarli? Facendo quella
scelta, avevano reso la loro vita ben più preziosa.
Non vi voglio certo scoraggiare se intendete specializzarvi in materie
secolari che vi aiuteranno a comprendere il mondo e le sue modalità.
Tuttavia, le varie materie di studio come la chimica, la fisica,
la botanica, la matematica, sono solo rami, foglie, fiori e frutti dell’albero.
Ora voi siete impegnati a innaffiare i fiori e le foglie, mentre
dovete irrigare le radici che non vedete. L’invisibile è la base di
ciò che è visto.
Tutte le materie di studio sono solo affluenti che alla fine confluiscono
nel mare, cioè nell’ātma vidyā, la scienza del Sé. L’ātma vidyā
deve essere studiata e ponderata da tutti voi, altrimenti non riuscirete
a liberarvi delle tre afflizioni che vi tormentano.
[6] Venerate la madre, riverite il padre, rispettate l’insegnante e
l’ospite, inoltre:
satyam vāda dharmacara
dite la verità, osservate il dharma.
Questa era l’essenza del messaggio che, in passato, i saggi degli
eremitaggi trasmettevano agli studenti al termine dei loro studi.
Oggi invece le assemblee studentesche sono oggetto di disordini e
irriverenza. Tenete a freno simili tendenze e riformate voi stessi! Seguite
i suggerimenti degli adulti che hanno a cuore solo il vostro
bene e quello della società.
Fate tesoro dei buoni consigli ricevuti e metteteli in pratica finché
diventeranno parte integrante del vostro carattere.ù

Ostello dell’Istituto universitario, 13.7.1980