13 Agosto 1978
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La melodia dello Spirito
[1] Dio è l’eco dei monti, il fruscio delle foglie, il sussurro degli uomini,
il balbettio dei bimbi, il divino suono oṁ che si riverbera
ovunque. Dio è presente in tutti i luoghi ma i Santi hanno dovuto
indicare migliaia di vie per riconoscerlo! Egli è in ognuno, tuttavia
evita di farsi scoprire da tutti ma lo concede solo a pochi. Essendo
Onnipotente, è il Dispensatore di ogni dono, è la Provvidenza che
fornisce tutti i mezzi necessari.
sarvaṁ āvṛtya tiṣṭhati
Egli in Sé tutto comprende.
Non c’è niente all’infuori di Dio! La natura è la Sua manifestazione.
L’uomo deve riconoscere Dio in tutti gli esseri e in tutto ciò che esiste.
Il jīva, il Sé individuale, limita la sua visione alla forma fisica
che occupa e circoscrive l’attenzione e l’interesse, l’amore e l’attaccamento
a una ristretta cerchia di amici e parenti; allo stesso modo,
limita anche Dio a un certo nome e forma, e considera la Sua compassione,
grazia e benedizione circoscritte solo a una piccola cerchia
di devoti che adorano quel nome specifico e quella determinata
forma. I desideri umani sono ristretti, così si pensa che anche Colui
che li esaudisce sia ristretto nel concedere la Sua grazia. Ma quando
pregate, dovete dire in completo abbandono: “Sia fatta la Tua Volontà!”
Non chiedete questo o quello, perché non avete la saggezza
né la lungimiranza di sapere ciò che sarà bene per voi.
[2] La Bhagavad Gītā insegna che l’invidia e l’avidità possono essere
superate coltivando e praticando l’amore e il distacco. Molte persone,
di loro iniziativa, hanno stabilito un giorno per il compleanno
della Bhagavad Gītā che celebrano con riti sfarzosi e discorsi eloquenti.
Tuttavia, in mezzo a tanta confusione, gli insegnamenti essenziali
della Gītā vengono completamente ignorati.
Quando ha avuto origine la Gītā, esattamente? Che cosa significa
Gītā? Letteralmente, il termine significa ‘canto’. Poiché Dio è onnipresente,
anche il Suo canto deve essere onnipresente. In realtà, il
praṇava, la sacra sillaba oṁ, è la Gītā di Dio. La divina canzone non
può essere solo per pochi, o in una lingua capita solo da una nazione.
Il suono oṁ è universale, eterno, colmo dell’essenza di tutta la
sapienza spirituale, perciò solo oṁ può essere la vera Gītā di Dio, ed
essendo sorto prima dell’inizio del tempo, non può avere un compleanno
che l’uomo possa celebrare.
Il vostro Sé risuona del praṇava! Tuttavia, in mezzo all’assordante
fragore del mercato e delle attività commerciali, i vostri piccoli sé
non sono in grado di udirlo. I sensi rivendicano il diritto di ricevere
tutta la vostra attenzione, e la mente desidera ardentemente essere
lasciata libera di vagare fra i piaceri del mondo.
È ovvio che le vostre passioni, le emotività e i pregiudizi devono essere
pacificati e purificati prima di potere udire il sacro suono oṁ, il
divino canto del Signore che scaturisce dal cuore.
[3] Procedete tenendo gli occhi fissi sulla meta. Non preoccupatevi
del passato, dei suoi errori e insuccessi, non seguite i capricci e le
fantasie della mente che riempiono l’orecchio di lode o biasimo, e vi
trascinano lontano dalla via spirituale. Seguite invece la chiamata
del Divino che proviene dal cuore di tutti gli esseri viventi, serviteli
con un atteggiamento di riverenza, senza aspettarvi nulla in cambio
e, avendo dedicato tutte le vostre azioni a Dio che risiede in ogni
cuore, non accettate neppure la loro gratitudine! Tutto ciò vi purificherà,
e in tal modo sarete in grado di sentire
soham – Quello io sono
che il vostro respiro ripete ogni momento. Soham si tramuterà in oṁ
quando la distinzione tra «Egli e io» si sarà dissolta nel corso del
samādhi1.
Siate certi che il soham che si trasforma in oṁ è il saitattva, la Realtà di
Sai. La ‘S’ sta per Sai, la ‘A’ sta per ‘e’, la ‘I’ indica il sādhaka, l’aspirante
spirituale. Infatti, Sai simboleggia il detto vedico: tat tvam asi2
(Quello tu sei). Nello stadio iniziale il sādhaka afferma ‘io sono in
Sai’; nel secondo stadio dice ‘Sai è in me’; nello stadio finale, asserisce
‘Sai e io siamo Uno’. In tal modo, la dualità tra i due viene definitivamente
eliminata. Quando la Verità si manifesta nell’individuo
come il bagliore di un fulmine in mezzo alle nubi cupe e vi perma-
ne, essa conferisce la beatitudine, e in quell’istante d’illuminazione
il sacro suono oṁ si rivela in tutta la sua magnificenza e maestà.
[4] Mettendo in pratica gli insegnamenti di Kṛṣṇa, l’aspirante ottiene
l’illuminazione, la luce della Saggezza (jñāna jyoti), l’oṁ. Il flauto di
Kṛṣṇa è l’espressione dei quattro Veda, e l’oṁ è la loro quintessenza.
Le tre lettere A, U, M e il punto stanno a simboleggiare i quattro Veda;
oṁ è anche il simbolo del Principio Rāma. I quattro fratelli, Rāma,
Lakṣmaṇa, Bharata e Śatrughna, rappresentano il Ṛgveda, Yajurveda,
Sāmaveda e Atharvaveda.
Se l’uomo dimentica o ignora questo aspetto divino e non pratica la
disciplina spirituale che lo rende consapevole dell’onnipresenza e
onnipotenza di oṁ, cade vittima degli impulsi e degli istinti dominati
dall’ego e si affida sempre più alle acquisizioni materiali. Così passa
tutta la vita ad accumulare ricchezza, potere e autorità e crede che tenere
gli altri sotto il suo controllo sia una conquista opportuna e auspicabile.
[5] Se in paradiso ci fosse un posto vacante, sicuramente l’uomo si
candiderebbe per la posizione di Dio, poiché riterrebbe di avere tutti
i requisiti necessari! Egli dimentica, però, che il vero attributo per
acquisire un simile potere è la fede incrollabile nella propria Realtà
atmica. A cosa serve conoscere soltanto il proprio piccolo sé? È come
un erudito gruppo di medici che sa un po’ di questo e un po’ di
quello, ma ignora le terapie per curare malattie come il tumore o un
comune raffreddore. La scienza deve rendere l’uomo umile e rivelargli
che sa molto poco di quello che varrebbe la pena di conoscere.
L’aspetto divino della vostra personalità incoraggia l’umiltà e il rispetto
della verità, l’amore e il desiderio di servire, la forza d’animo
e il distacco. Favorite dunque il sorgere di queste qualità nella vostra
vita e mettetele in pratica ogni volta ne abbiate l’opportunità.
La fraternità innata che santifica la razza umana è distrutta dalla
malerba dell’invidia che cresce nella mente. Queste erbacce infestanti
rovinano la personalità umana e crescono così forti e rigogliose
che finiscono per soffocare l’individuo stesso.
Il dolore è il compagno inseparabile che tormenta ogni ‘ego’. Se un
vostro vicino è addolorato per la scomparsa di un suo caro, voi lo
consolate dicendo che non è saggio piangere a causa di una dipartita
terrena, e che comunque piangere non farà ritornare il defunto.
Ma quando la morte fa visita alla vostra famiglia, voi siete così addolorati
che quello stesso vicino deve ripetere i medesimi argomenti
per consolarvi. Tutto ciò accade perché nessuno dei due ha sviluppato
fede nel Sé, perché né l’uno né l’altro ha il nome divino sulla
lingua né il puro Amore nel cuore.
[6] Un uomo costruisce una bella casa ed è orgoglioso del bel giardino
che la circonda, dell’effetto cromatico degli affreschi interni,
ecc. Se durante una campagna elettorale, alcuni giovani screanzati
scarabocchiano degli slogan sui muri perimetrali del giardino, quell’uomo
va su tutte le furie e minaccia di bastonarli per avere rovinato
l’immacolato candore dei muri.
Ma se la casa venisse venduta e non gli appartenesse più, anche se
fosse ridotta a un cumulo di macerie, quell’uomo non ne sarebbe
minimamente toccato! Tale è l’effetto insidioso dell’ego. Prima di
nascere, non avevate parenti né amici; quando morirete tutti vi lasceranno
soli. Allora perché sviluppate legami stretti solo per un
periodo intermedio della vostra vita, dimenticando così il vero scopo
per cui vi è stata concessa? Siate sempre consapevoli dell’inconsistenza
e della fugacità dei successi secolari, e utilizzate al meglio i
vostri talenti e capacità per servire Dio nell’uomo.
Praśānti Nilayam, 13.08.1978