10 Luglio 1980 – Gli insegnamenti dell’antica India

10 Luglio 1980

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Gli insegnamenti dell’antica India

[1] Chi è il vero guru o precettore? Chi insegna con le regole e
l’esempio, con la retta condotta, il retto pensiero, la fedeltà alla verità,
con la disciplina mentale e il senso del dovere.
Chi è il vero studente? Chi apprende quelle qualità che conferiscono
felicità qui e beatitudine nell’aldilà. Tali virtù bloccheranno e annulleranno
il male che degrada l’uomo e lo trasforma in un mostro.
Il sistema educativo che riconcilia sia l’insegnante sia lo studente ha
due aspetti: il primo è fornire la conoscenza e le informazioni necessarie
in modo che l’uomo possa vivere sano e felice; il secondo è
comprendere i propri impulsi interiori e sublimarli al fine di ottenere
pace duratura, equanimità e beatitudine. I due aspetti non sono
opposti, ma sono legati insieme inscindibilmente. Gli insegnanti e
gli studenti devono sforzarsi di riconoscere tale verità.
L’uomo non è una macchina, non è costituito da una combinazione
di arti, testa e cuore, mente e materia. Insita e al di sopra di questi,
c’è un’entità immanente e trascendente chiamata ātma, il Sé superiore
o il Divino.
L’occhio fisico non riesce a vederlo e neppure gli altri sensi possono
percepirlo: l’ātma è oltre il regno di ciò che è ‘visto’. Quello che può
essere percepito e compreso dai cinque sensi è l’universo, il cosmo
sempre mutevole e mobile.
Il ‘visto’ esiste ma si basa sull’invisibile; l’albero si vede ma la radice
che lo sostiene è invisibile. L’edificio si vede ma le fondamenta su
cui poggia non sono in vista. Il sé individuale e il cosmo creati dal
Sé superiore hanno l’ātma come loro sostegno e supporto. Ecco la
grande lezione che gli anziani di questo Paese hanno impartito a
ogni generazione, sin dall’antichità.
[2] Tre o quattro secoli fa, prima che l’Occidente stabilisse una sua
presenza in India, c’erano solo poche università; non c’erano grandi
campus o aree universitarie, e l’abitazione del precettore era l’istituto
stesso.
Egli aveva solo quattro o cinque studenti e non c’era un orario prestabilito
per le lezioni. Tutto dipendeva dalla compassione dell’insegnante
e dall’anelito dello studente, il quale poteva ricevere gli
insegnamenti nelle silenziose ore notturne o durante il giorno, sotto
un immenso albero o nel corridoio di un tempio. Anche gli uomini e
le donne che andavano al tempio o che camminavano nel bosco potevano
ascoltare per un po’ quanto veniva detto dal Maestro e imparare
qualcosa.
Oltre a insegnare le materie di base, ogni università chiamava a sé e
sosteneva un certo numero di studiosi specializzati in un ramo specifico
dello scibile. La materia favorita dell’università di Kāśi era la
grammatica; l’università del Kashmir era specializzata in retorica, e
quella di Taxila in medicina (ayurvedica), ovvero in quello che riguardava
uno stile di vita sano e felice.
La città di Amarāvati1, in cui Bharata, il fratello di Rāma, aveva governato
in passato, aveva un’università dove la medicina ayurvedica
proposta da Caraka2 e Suśruta3 veniva insegnata da medici esperti,
già da molte generazioni.
[3] Queste università non impartivano solo un’istruzione, ma ispiravano
i loro studenti a condurre una vita semplice e spirituale, a
parlare in modo delicato e dolce, a coltivare la compassione, il rispetto
e l’equanimità.
Elevarsi al Divino era l’unico obiettivo dello studente, ed elevare gli
allievi al livello che essi stessi avevano raggiunto era l’unico scopo
dei precettori.
A quell’epoca, le università e gli altri istituti educativi non erano
sotto il controllo dei governanti, i quali rispettavano gli ideali e le
aspirazioni di chi amava la conoscenza e di chi si era dedicato a
quella causa.
Gli educatori e gli insegnanti prestavano maggiore attenzione all’istruzione
impartita nelle scuole elementari, e il loro sforzo principale
era di inculcare nella tenera mente dei bambini pensieri puri e
nobili, coraggio e fede.
A quei tempi gli educatori erano molto attenti alle varie problematiche:
ad esempio quali fossero gli insegnanti più qualificati ed efficienti;
quali materie dovessero essere insegnate, quando, dove e a
quali studenti. Essi cercavano di adattare il programma didattico ai
bisogni, alle aspirazioni e ai conseguimenti degli studenti, e non lasciavano
spazio a metodi costrittivi o forzati.
Poiché nelle classi c’erano solo sei, sette o dieci allievi, l’insegnante
riusciva a capire se lo studente aveva assimilato bene le materie, e a
chiarire qualsiasi dubbio lo turbasse. In tal modo veniva presentato
un programma che trattava argomenti utili sia per condurre una vita
felice sia per scoprire l’origine della saggezza, del potere e della
beatitudine, presenti nel cuore di ogni essere umano.
L’apprendimento avveniva per lo più ascoltando il precettore, e non
solo in sede universitaria; anche il fabbro, l’artigiano, l’artista, il falegname,
il contadino, il vasaio, lo scrittore, ecc. apprendevano attraverso
il metodo silenzioso dell’ascolto e dell’osservare riverente,
e non attraverso lo studio dei testi.
[4] È possibile ridare vita a quei giorni solo se saprete amare e riverire
il patrimonio culturale e spirituale che vi appartiene. L’India è
un giardino di fiori multicolori: i fiori dello spirito sono conosciuti
come sanātana dharma4, Buddismo, Jainismo, Zoroastrismo, Cristianesimo
e Islam.
Le verità che queste religioni professano, gli inni cantati, le preghiere
recitate, riempiono l’atmosfera di divina fragranza. Durante le
diverse ere, l’India ha sempre accolto e rispettato tutte le fedi con il
medesimo fervore.
Malgrado ciò, molti ignoranti divulgano l’errata impressione che
qui si adorino centinaia di Dei invece dell’Uno. Dio è Uno, ma
l’uomo lo invoca in molte lingue diverse; tale concetto nacque in
India migliaia di anni fa, e l’India fu il primo Paese del mondo a
proclamarlo.
Naturalmente, vennero dati nomi e forme diversi ai vari attributi
dell’unico Dio, come ad esempio alla Sua compassione, saggezza,
ricchezza inesauribile, imperscrutabilità e potenza, ma chi venera
tali attributi è consapevole che essi sono solo aspetti dell’Uno Indivisibile
Eterno Assoluto.
[5] In India, la gente è consapevole che Dio è presente in tutto: il
camionista congiunge le mani davanti al volante e recita una preghiera,
il vasaio china la testa davanti alla sua ruota, il poeta venera
la penna e il musicista invoca la Divinità prima di cominciare a
suonare l’armonium. Nessuno inizia un lavoro senza dire una preghiera
e mostrare un segno di ubbidienza e sottomissione.
Ciò significa che l’anelito spirituale viene prima della propensione
secolare all’auto-apprezzamento. Il significato profondo di questa
tendenza indiana non è alla portata della gente di altre culture, che
deride gli Indiani perché adorano gli alberi, le pietre, gli uccelli, gli
animali, le montagne e i fiumi credendoli delle Divinità.
L’Indù adora il Dio che ritiene sia manifesto nella pietra, ma non
crede che la pietra sia Dio. L’onnipresenza di Dio implica l’unicità e
l’inscindibilità di Dio.
īśāvāsyam idaṁ sarvaṁ
Dio pervade l’intero universo.
(Īśāvāsya upaniṣad)5
Le antiche università mettevano in evidenza l’immanenza e la trascendenza
di Dio. Gli insegnanti non calcolavano e non contestavano
la busta paga. I loro bisogni venivano soddisfatti dalla società ed
essi non si preoccupavano delle comodità o scomodità materiali. Anche
gli studenti insistevano che fosse mostrata loro la via della liberazione
dalle catene dei desideri sensoriali. Gli insegnanti erano più
affezionati ai loro allievi che ai loro stessi figli; essi erano rinuncianti
e ansiosi di sottoporsi a prove e a tribolazioni, erano sempre contenti,
felici e gioiosi.
[6] Gli studenti non apprendevano le varie materie al fine di trovare
un lavoro comodo e facile; apprezzavano ogni materia di studio
come fosse un passo avanti verso la realizzazione del Sé; davano
grande importanza all’istruzione perché purificava la mente, schiariva
l’intelletto e santificava la visione.
Come obiettivo avevano l’ideale di essere utili ai loro genitori, alla
società che li sosteneva, al Paese che sperava di ricevere il meglio da
loro, e all’umanità a cui essi appartenevano.
Chi è schiavo dei desideri è l’uomo più povero,
chi si accontenta è l’uomo più ricco!
Coltivate quindi le nobili qualità che gli studenti delle ere passate si
sforzavano di acquisire; siate utili ai vostri genitori, non disprezzateli
credendoli analfabeti o ignoranti, essi sono molto più intelligenti
e perspicaci di voi.
Non siate la causa del loro dolore e non fateli piangere: amateli, riveriteli
e serviteli. Siate umili e amorevoli ovunque e con chiunque;
ricordate i Nomi del Signore che indicano la Sua gloria, la Sua misericordia
e il Suo amore, così tutti i vostri sentimenti egoisti si dilegueranno.
La vita è come una partita di calcio: voi siete il pallone, perciò siete
destinati a essere presi a calci e gettati di qui e di là. Per quanto
tempo dovrete subire un simile trattamento? Finché c’è aria nel pallone!
Sgonfiatelo e nessuno lo prenderà più a calci! L’aria che lo
gonfia è l’ego: quando l’ego esce, la beatitudine entra.
Finché siete studenti, studiate senza prendere parte ad altre avventure
come la politica, che farebbe solo aumentare la tensione e l’ansia
e nuocerebbe ai vostri studi. Fate in modo che la disciplina, la
devozione e il dovere siano gli argomenti obbligatori del vostro
programma di studio.

Istituto Śrī Sathya Sai, Bṛndāvan, 10.07.1980