1 Ottobre 1979
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Il decimo giorno della Vittoria
[1] A chi appartiene il corpo? Alla madre che l’ha partorito, o al padre
che ne ha favorito la crescita? Oppure appartiene alla nonna che
ha generato la madre? Il corpo non appartiene a nessuno di questi,
è un semplice contenitore materiale. Voi non siete il corpo, siete il
Residente del corpo: siete lo kṣetrajña che dimora nello kṣetra, cioè ‘il
Conoscitore del campo’ che governa il ‘campo’ dell’azione (o corpo).
Poiché ignora tale verità, l’uomo usa quel sacro ‘contenitore’ per
scopi malvagi e si lamenta se i suoi sforzi gli portano solo sofferenza.
L’auto in sé non ha uno scopo preciso, serve solo al suo proprietario
come mezzo di trasporto. Anche il corpo è un veicolo che deve
essere usato dall’ātma per promuovere il benessere del mondo, per
dimostrare e sostenere la validità del dharma, per indagare sulla Verità
e per fare esperienza dell’onnipresenza del Principio Divino.
Ecco l’importante finalità dell’incarnazione di ogni individuo e della
sua permanenza nel corpo! L’azione eseguita con tale obiettivo
viene sublimata in un sacro rito sacrificale, perché priva di ogni desiderio
egoistico.
Con oggi ha termine il Veda puruṣa saptāha jñāna yajña, e proprio oggi
avrà luogo la cerimonia dell’offerta conclusiva che segna samāpti,
la conclusione del rito. Samāpti significa ottenere la realizzazione
del Brahman, l’Assoluto Universale: questo è il traguardo finale di
tutte le cerimonie, attività, riti e rituali.
[2] Avrete notato che Indra, il Signore degli Dei, è stato invocato
mattina e sera, per tutta la settimana, e che gli è stato offerto cibo
consacrato; anche molti altri Dei sono stati venerati e propiziati durante
il rito. Non dovete però concepire Indra come una Divinità
distinta che risiede in paradiso: è il sovrano dei sensi dell’uomo, è il
Dio responsabile della mente che tiene i sensi sotto controllo, e
questo suo aspetto di ‘Controllore’ è conosciuto con il nome Rudra.
Nell’iconografia, Indra impugna come arma una ruota con dieci
raggi, che rappresentano i cinque sensi di percezione e i cinque di
azione. I Rudra1 invece sono undici perché, in tal caso, viene aggiunta
la mente come undicesima entità.
Nei Veda, Indra è chiamato puruhūta, un appellativo che significa
‘Colui che viene spesso invocato.’ Dovete supplicare spesso Indra
per riuscire a controllare i sensi e a mantenere la mente stabile ed
equilibrata. Siate sempre consapevoli del Principio Divino di Indra
che governa i sensi e la mente, ovvero allontana la mente dai sensi
che inseguono tutti i capricci e le fantasie che incontrano. Le redini
dei sensi sono nelle mani di Indra.
[3] La mente è anche soggetta a impeti di odio, ira e avidità, che devono
essere sacrificati sull’altare interiore in nome della Divinità
che vi presiede. Questo è il vero yajña per il quale l’uomo deve usare
tutte le sue capacità ed energie!
L’offerta finale favorirà l’annientamento della bestia nell’uomo e gli
consentirà di brillare del suo stesso splendore umano.
Il seme raggiunge il suo apice quando germoglia e passa attraverso
il terreno, per poi diventare un grande albero dalla chioma verdeggiante.
Allo stesso modo, anche l’uomo deve passare attraverso la
sua dura e grezza crosta e diventare un essere umano libero, utile,
colmo di umanità. Solo il tentativo fatto in tal senso è una disciplina
spirituale degna del nome!
Consolidate quindi la visione interiore e stabilitevi in uno stato di
perfetta equanimità, non influenzata dalle insistenti richieste dei
sensi.
A Praśānti Nilayam si prendono le misure necessarie per aiutare gli
aspiranti spirituali ad acquisire la visione interiore. Gli atti di adorazione,
il canto dei bhajan, la ripetizione dei mantra o dei Nomi divini
non devono distogliere la vostra coscienza dall’alto livello di
consapevolezza che avete raggiunto o vi sforzate di raggiungere.
Riducete sempre più i rituali e i cerimoniali e ritirate l’attenzione
dalle attività esteriori: sforzatevi di essere dei modelli esemplari,
non degli esibizionisti.
[4] Fare appariscenti sessioni di meditazione, cantare i bhajan a gran
voce, far girare vistosamente i grani del rosario sono utili solo temporaneamente,
per evitare pettegolezzi, maldicenze o litigi, ma non
possono farvi avanzare o interiorizzare la vostra visione, anzi, potrebbero
persino portarvi indietro!
Cerimonie stravaganti e pompose destinate ad attirare l’attenzione
degli altri hanno rovinato il buon nome della spiritualità indiana.
Anche la recitazione degli inni vedici ha sofferto a causa delle tendenze
esibizionistiche dei paṇḍit. Le parole sanscrite vengono troncate
in sillabe assurde, per creare effetti di dizione che stridono al-
l’orecchio, ma impressionano gli ignoranti. Per produrre simili effetti,
il significato del testo viene completamente ignorato, così si
provocano gravi danni ai Veda che riveriamo.
Il senso di venerazione deve essere sostenuto dal pensiero, dalla parola
e dall’azione. Non si devono causare ferite né infliggere sofferenze
attraverso le parole pronunciate o le azioni compiute, e neppure
un pensiero nocivo deve contaminare la purezza della mente.
Decidetevi a purificare i pensieri, le parole e le azioni secondo queste
indicazioni, così vi assicuro che intraprenderete un rito sacrificale
ancora più sacro dell’attuale.
[5] State ben attenti ai capricci della lingua e salvaguardate la vostra
salute disobbedendole saggiamente; proteggete la vostra reputazione
imponendovi il silenzio. La lingua gode a tendere cinque tranelli
malvagi: dire falsità, cedere alla maldicenza, denigrare gli altri, fare
pettegolezzi all’infinito, e giustificare i propri difetti. I riti sacrificali
hanno l’obiettivo di insegnare a tenere i sensi sotto controllo; la lingua
è veramente uno strumento molto pericoloso e deve essere usata
con la massima prudenza.
Vincete la lotta contro la suadente attrazione dei sensi, in tal caso
meriterete di essere chiamati yajamāna, coloro che hanno attuato
con successo un compito divino. Aspirate a essere il padrone e non
il servitore, a cui è negato l’accesso alla sala del tesoro. Non ritenetevi
soddisfatti del ruolo di paśu (animale legato a un palo), sforzatevi
di essere uomini e di diventare Dio, o paśupati, il Signore di tutta
la vita.
I Veda esortano l’uomo a dire la Verità e a procedere lungo il sentiero
della giustizia, ma egli è diventato sordo a quest’appello. Non c’è
quindi da stupirsi che oggi sia spregevolmente screditato, che venga
ingannato in ogni circostanza e decimato sulle strade. La terra, il
mare, l’acqua, l’aria, come pure la mente, i sensi, la ragione, il corpo,
tutti sono contaminati e avvelenati.
[6] Per salvare l’uomo dal degrado e dalla distruzione, il sistema dei
valori deve essere accuratamente rivisto. Il carattere, la lealtà, la
franchezza, l’umiltà, il distacco e la semplicità devono ritornare a
essere gli ideali più alti. Anche il corpo in cui dimorate dovrà essere
abbandonato un giorno: il corpo decade e si disintegra. La ricchezza,
la fama, il potere, non sono altro che orpelli sgargianti. Per
quanto tempo potrete rimanere attaccati alla poltrona da cui esercitate
l’autorità e il potere sugli altri? È l’ego che vi spinge e v’inganna
facendovi credere che durerà!
L’umanità è alla deriva senza avere dinanzi a sé una meta chiara e
precisa; il sacro compito della realizzazione è completamente dimenticato
e la sacralità della vita viene ignorata. Finché questi valori
non sono riscoperti, la bontà e la devozione non potranno fiorire e
svilupparsi né in questo né in altri Paesi.
Le forze demoniache dell’egoismo, dell’invidia e dell’avidità devono
essere allontanate al più presto; solo allora l’uomo potrà sbocciare
e acquisire verità, bontà e bellezza; solo allora la lingua pronuncerà
dolci parole di amore altruistico; solo allora il cuore solleciterà
le mani a impegnarsi nel servizio amorevole; solo allora l’uomo potrà
convalidare la propria umanità e raggiungere il Divino.
Praśānti Nilayam, vijaya daśamī2, 1.10.1979