Giugno 1974
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Un momento epico
[1] Gli angosciosi anni del tormento, della speranza e della frustrazione
erano terminati: era giunto il momento della decisione
che ora si sarebbe attuata non attraverso le dolci parole del Signore
Kṛṣṇa, bensì attraverso la lama affilata della spada.
Gli eserciti raccolti dai Kaurava nel loro regno e quelli dei loro alleati
stavano schierati di fronte alle armate dei loro cugini Pāṇdava.
La cavalleria, i carri da guerra, gli elefanti e la fanteria, tutti
erano ansiosi di cominciare ad annientare il nemico, e i principali
protagonisti, ben equipaggiati per la battaglia, erano pronti per
scendere in campo. Le conchiglie risuonavano irruenti, le trombe
laceravano l’aria con i loro acuti squilli, mentre l’atmosfera era tesa,
carica di speranza, paura, ansietà e rabbia. Il sangue in milioni
di corpi era diventato più rosso e più caldo, i cuori battevano rapidamente
e le braccia brandivano le armi in una presa mortale.
[2] All’improvviso Dharmarāja, il maggiore dei Pāṇdava, si tolse i
calzari, depose l’armatura, scese dal carro di guerra e s’incamminò
verso le schiere opposte, verso Bhīṣma, il generale in capo del-
l’esercito nemico. Duryodhana, il più anziano dei fratelli Kaurava,
il maggiore responsabile di quella guerra e il più intransigente avversario
dei Pāṇdava, vide Dharmarāja attraversare il campo di
battaglia per recarsi dal vecchio Bhīṣma e fu molto felice; infatti
pensò che Dharmarāja avesse deciso di arrendersi poiché per indole
era contrario a combattere e agli spargimenti di sangue.
[3] I quattro fratelli di Dharmarāja invece rimasero attoniti. Bhīma,
il temibile eroe d’innumerevoli lotte contro i Kaurava, il più impaziente
di combattere, vide la vittoria andare in fumo, e si rammentò
delle molte occasioni in cui Dharmarāja si era opposto a compiere
delle rappresaglie contro i Kaurava. Egli temeva che il fratello
volesse chiedere scusa e ritirarsi come un codardo da quella sfida
di sangue.
Arjuna, il formidabile arciere, vide con orrore e rabbia suo fratello
abbandonare la battaglia, mentre i gemelli Nakula e Sahadeva
erano ammutoliti e si sentivano impotenti.
Il Signore Kṛṣṇa studiò la situazione dalla posizione di auriga del
cocchio di Arjuna, che si trovava nella prima fila dell’esercito
Pāṇdava. Egli fece segno ai quattro fratelli di seguire il fratello
maggiore e di comportarsi nello stesso modo. Egli disse: “Per tutti
questi anni l’avete riverito e avete camminato seguendo le sue
orme, quindi fatelo anche ora, non esitate, non abbiate dubbi.”
Dharmarāja era la vera incarnazione del dharma, sapeva che cosa
era giusto e lo praticava qualunque fossero le conseguenze. Egli
sapeva che il dharma protegge coloro che seguono il dharma; non
aveva mai compiuto azioni ipocrite o in contraddizione con i Veda,
né passi falsi. Dharmarāja andò diretto da Bhīṣma e si prostrò
ai suoi piedi, poi rimase davanti a lui con le mani giunte e la testa
china e lo pregò: “Nonno, noi non abbiamo avuto la possibilità di
provare l’amore di nostro padre poiché è venuto a mancare troppo
presto. Sin dalla nostra infanzia, tu ci hai educato e cresciuto con
amore e attenzione e quello che siamo oggi lo dobbiamo a te. Non
abbiamo alcun diritto di combattere contro di te, ma il fato ha cospirato
per indurci ora a batterci con te. Per favore, abbi pietà di
noi e permettici di alzare il braccio contro di te.”
[4] Naturalmente Bhīṣma fu colpito e felice nel constatare l’umiltà
e la rettitudine di Dharmarāja; gli si riempirono gli occhi di lacrime
per quella strana piega che aveva preso il destino, poi lo benedisse
dicendo: “Dharmarāja! Tu sei rimasto fedele al dharma nonostante
le tentazioni che la situazione ti ha presentato. Che esempio
nobile hai dato al mondo! Lo stesso dharma che tu segui ti porterà
alla vittoria.”
Poi Dharmarāja e i fratelli Pāṇdava si recarono dal Generale
Droṇa, il bramino precettore che aveva insegnato il tiro con l’arco
sia ai Kaurava sia ai loro cugini Pāṇdava. Dharmarāja si prostrò ai
suoi piedi e pregò: “Molto riverito precettore, noi cinque siamo i
tuoi allievi; come possiamo prendere le armi contro il nostro precettore?
I tempi sono diventati perversi. Perdonaci per questa colpa
e permettici di combattere in battaglia contro di te.”
Droṇa, il precettore, fu visibilmente commosso dalle parole di
Dharmarāja e pensò: “Oh, quanto grande e buono è Dharmarāja!
Anche in un momento come questo, in cui i cani più spietati vengono
sciolti per disseminare morte e violenza, egli si attiene ai dettami
del dharma!” Droṇa si commosse a questo pensiero, abbracciò
Dharmarāja e gli disse: “Figlio, tu mi sei più caro di mio figlio
Aśvatthāma poiché a lui sono legato dal dovere, ma a te dall’amore.
Voi siete tutti i miei figli, e come tali vi amo. La vostra correttezza
otterrà certamente la vittoria sulla nostra forza.”
[5] Infatti la stretta osservanza del dharma assicurò la vittoria ai
Pāṇdava, altrimenti c’era forse qualcuno sulla terra in quel perio-
do che potesse costringere il temibile Bhīṣma ad abbassare le armi?
C’era qualcuno che superasse Droṇa nel tiro con l’arco? I Kaurava
furono sconfitti perché seguirono il sentiero dell’adharma, dell’iniquità,
mentre i Pāṇdava non deviarono mai dalla via del
dharma. Il dharma conferì loro l’abilità, la forza, il coraggio e la tenacia
per sconfiggere questi grandi maestri di strategia militare.
I Kaurava si misero contro i loro genitori e il loro Dio. La loro madre,
Gāndhārī, consigliò i suoi figli di cessare le loro ostilità contro
i cugini Pāṇdava in mille modi, ma essi non le diedero retta. Il padre,
Dhṛtarāṣṭra, li pregò di desistere e di abbandonare il sentiero
dell’odio, ma non valse a nulla. Anche i consigli del precettore
Droṇa, che li esortò a fare la pace con i Pāṇdava dando loro la legittima
parte di regno, caddero nel vuoto. Quando il Signore Śrī
Kṛṣṇa andò come messaggero di pace, i Kaurava si rifiutarono di
ascoltare le Sue parole divine e tentarono addirittura di sopraffarlo
e di incatenarlo.
Se anche voi seguite la medesima linea di deliberata cecità, andrete
incontro allo stesso destino dei Kaurava: la rovina totale. I cinque
fratelli Pāṇdava, credetemi, sono degni della vostra riverenza
e dovete considerarli come i vostri cinque soffi vitali, i cinque involucri,
i cinque organi di senso; riteneteli dei perfetti ideali e seguiteli,
e in tal modo potrete conseguire la Grazia di Dio. Il ricordo
delle loro tribolazioni e della loro vittoria agirà come un mantra
che vi purificherà, vi donerà forza e vi eleverà allo stato divino che
è il vostro vero retaggio.
Bṛndavan, Corso estivo, giugno 1974