Giugno 1974
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Più vasto dell’immensità
[1] ‘Brahmavid brahmaiva bhavati – Chi conosce il più vasto diventa
egli stesso il più vasto’. Questo è il messaggio dei ṛṣi, i saggi veggenti.
Brahman è il termine utilizzato per individuare quello che i
ṛṣi indicano come ‘il più vasto’, che le parole non possono descrivere,
che la mente non può concepire.
La prima Divinità della Trinità induista è Brahmā dalle quattro teste,
il Creatore, da cui dobbiamo tenere distinto l’infinito Principio
immanente; infatti Brahman è descritto non come uno di tre, ma
come l’Uno senza secondo.
L’asserzione vedica ‘sarvaṁ brahma mayam – Tutto è Brahman’ è la
chiave per comprendere l’Eterno Principio Universale. Non c’è bisogno
di cercare Brahman in qualche luogo lontano, sull’Himālaya
o nelle profondità dello spazio.
Alcuni astronauti, quando sono atterrati sulla luna hanno affermato
che Dio non esiste in quanto non lo hanno individuato durante
il loro viaggio spaziale, come se Egli vivesse e si muovesse nello
spazio e si avvicinasse a tutti coloro che osano girovagare nei corridoi
aerei!
[2] Brahman è la Realtà del ricercatore, dell’astronauta, della persona
che crede nella Sua esistenza, come pure dell’individuo che
dubita o lo nega. Asserire che Dio è un’invenzione fantasiosa di
qualcuno significa rinnegare la propria autentica verità. Il Divino
è quello che integra e unisce tutta questa diversità in una sola essenza.
Possiamo divenirne facilmente consapevoli se seguiamo la
disciplina spirituale stabilita e se possediamo la fede essenziale
per praticarla con sincerità.
Per immaginare il Brahman, che è più piccolo della cosa più piccola
e più vasto del più vasto, si deve affinare l’intelletto e ampliare
l’immaginazione. Brahman è veramente l’impulso che sta dietro a
ogni aspirazione e conseguimento, compresa l’aspirazione a conoscerlo.
È l’attività presente in ogni atomo e cellula, così come in
ogni stella e galassia.
Brahman significa anche suono, voce, parola, mantra, e attraverso
il suono della sacra sillaba Oṁ, così come anche attraverso altri
mantra, l’uomo può sviluppare un intelletto molto acuto, necessario
ad afferrare il Principio immanente e trascendente, chiamato
Brahman.
Il termine Brahman deriva dalla radice sanscrita brh e significa
‘grande’, il più grande, il più vasto. È descritto come più grande
del più grande, più vasto del più vasto. L’Universo è il corpo del
Brahman che da Lui emerse quando il desiderio di diventare i
‘molti’ si manifestò.
L’universo sorse quando il Brahman pronunciò la prima parola, e
così vāk, il Verbo, è anche chiamato Brahman. La parola è anche
detta pada e in Sanscrito tutte le cose create sono definite padārtha,
ovvero ‘significato di una parola’, poiché quando la parola fu pronunciata,
l’oggetto fu creato o divenne manifesto. La parola produsse
il suo stesso significato, ovvero l’oggetto.
[3] L’infinito ed eterno Brahman può essere percepito, per favorirne
la presa di coscienza, attraverso tre caratteristiche: sat-cit-ānanda
(Essere-Consapevolezza-Beatitudine). La particella più minuscola
dell’universo, così come la più vasta, possiedono questi tre
attributi. Anche l’uomo è l’incarnazione di sat-cit-ānanda, ma essendo
troppo attaccato al proprio corpo e ai suoi stimoli, non è in
grado di immergersi a fondo nella propria realtà e di trarre beneficio
dalle sorgenti di cit e ānanda che si trovano proprio in lui.
L’attrazione che il vasto Brahman ha per l’infinitesimo atomo
(aṇu) è la medesima attrazione del tutto per la parte, che sta alla
base di ogni genere d’amore: l’amore della madre, del padre, del
figlio, del coniuge, dell’amico e anche l’amore del devoto verso
Dio. Il jīva (individuo) ama il Brahman o la totalità di cui egli è
parte. Vedete ogni essere come parte dello stesso Tutto al quale
appartenete, così non potranno sorgere odio, invidia, cupidigia o
orgoglio.
[4] Sarasvatī, la consorte di Brahmā (il Creatore), è celebrata come
la Dea della parola (vāk), cioè come l’impulso ad esprimersi, a manifestarsi.
Secondo i Veda, il Suo veicolo è haṃsa, il cigno celeste, il
puro uccello che possiede la rara capacità di discernere fra l’acqua
e il latte anche se sono mescolati insieme, e di assumere solo il latte;
vale a dire che sa separare il pregevole dallo spregevole, il duraturo
dall’effimero, il vero dal falso.
Inoltre haṃsa è anche il simbolo di soham, il mantra seme che viene
emesso dall’uomo con il respiro, in cui so significa ‘Egli’ e ham significa
’io’: Egli è me. Io e Egli sono i medesimi dalla nascita alla
morte, ciò significa che il jīva, l’individuo, è il Brahman, né più né
meno. Fra i due c’è una certa differenza nella quantità ma non
nella qualità. Una goccia di acqua marina è salata quanto tutte le
altre; non occorre assaggiare tutto l’oceano per saperlo.
[5] Il jīva è sat-cit-ānanda proprio come lo è Brahman, ecco perché
si esorta l’individuo a dichiarare: ‘aham brahmāsmi – io sono Brahman’,
e ciò è vero quanto la goccia di acqua salmastra che dichiara:
‘io sono il mare’.
Gli yogi riescono a comprenderlo facilmente, infatti uno yogi cantava:
“Vai, oh mente! Corri dove il fiume Yamunā incontra il Gange.”
Questo non significa che l’aspirante spirituale debba andare
in pellegrinaggio a Prayāg, ad Allahābad, dove i due fiumi s’incontrano.
Il Gange e lo Yamunā sono idā e pingalā, i due canali nervosi attraverso
i quali s’innalza l’energia kundalinī, mentre Prayāg è il centro
d’energia sulla fronte, fra gli occhi, dove essi s’incontrano. Quando
lo yogi riesce a concentrarsi su quel punto, sul suo ‘potere del
serpente’, egli diventa consapevole del mare e trascende il nome e
la forma della goccia. Questo è il significato dell’esortazione dello
yogi!
Bṛndavan, Corso Estivo, giugno 1974