30 Agosto 1974 – La banana e la buccia

30 Agosto 1974

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La banana e la buccia

[1] Tulasīdāsa1, nel suo Rāmacarita mānasa, disse di aver composto
il grande poema epico che racconta la storia di Raghunāth2 per
propria soddisfazione, per la propria gioia. Di sua iniziativa si era
impegnato in quel compito, non per compiacere un patrocinatore
e neppure Rāma, ma per trarne gioia egli stesso; infatti ne aveva
ricavato molta felicità sia mentre lo scriveva sia quando l’aveva
terminato; quella fu la motivazione che lo indusse a scrivere.
Tutto ciò che gli uomini fanno, in definitiva, è attribuibile al medesimo
impulso: conseguire la propria soddisfazione. Un uomo costruisce
una casa, scrive un libro, intraprende un lavoro, realizza
un progetto, solo perché ne trae gioia.
Il cuculo canta così dolcemente e gioisce del suo canto molto più
di chi lo ascolta. La rosa fiorisce per una spinta interiore e non per
una sollecitazione esterna. Il padre abbraccia il bambino e ne ricava
più gioia di quanta ne dia. Le varie discipline a cui si sottopongono
gli aspiranti, i monaci, gli asceti e tutti coloro che percorrono
il sentiero della conoscenza del Sé, sono intraprese e osservate
perché conferiscono gioia a loro stessi e soddisfano un bisogno interiore.
[2] Oggi commemorate il giorno in cui l’imperatore Bali fu umiliato
e benedetto da Dio, nella forma di Vāmana3. Bali si fregiò del
titolo d’imperatore dei tre mondi poiché aveva più potere di
chiunque altro, ed era saturo di egotismo. Mentre era impegnato a
celebrare un sacrificio rituale, Dio si presentò a lui nelle sembianze
di un ragazzo bramino. Il Signore gli chiese in dono solo tanta terra
quanta potesse calpestare con tre piedi. Bali gli rispose che
avrebbe potuto chiedere ben più grandi ricchezze e terre, ma il
giovane bramino insistette solo per avere quel piccolo dono.
Il precettore di Bali lo mise in guardia circa l’identità e la genuinità
dello strano questuante e gli fece notare che poteva essere Dio
stesso. Ciò rese Bali ancor più felice perché, se fosse stato vero, significava
che egli era così potente che persino Dio veniva a bussare
alla sua porta come mendicante. Tale era la misura della sua
presunzione.
Quando però Vāmana assunse proporzioni cosmiche, con un piede
coprì la terra intera e con un altro passo coprì tutto lo spazio;
Bali fu talmente umiliato che offrì la sua testa per il terzo passo, e
si lasciò spingere da quel piede nei mondi inferiori.
Questa festività indica il giorno in cui l’Incarnazione di Vāmana si
manifestò per insegnare che l’orgoglio conduce a una triste fine.
[3] Quando l’ego dell’imperatore fu annientato, Bali venne purificato
e Dio lo colmò di molte grazie, e gli assicurò che sarebbe
sempre stato il suo protettore; infine gli permise ogni anno, durante
la giornata di Onam, di risalire nel mondo per vedere il suo impero
e ricevere l’omaggio della sua popolazione. Pertanto oggi si
celebra la festività dell’avvento di Vāmana e della trasformazione
di Bali.
In questa ricorrenza si decantano anche i pregi del donare, della
rinuncia, della carità, anche piccola, da offrire a chiunque poiché
tutti sono immagini di Dio. Tyāga, il sacrificio, è la vera essenza
della beatitudine, della grazia e dell’immortalità. I Veda proclamano
che la beatitudine dell’immortalità può essere conseguita
non con l’intelligenza, non con la progenie, non con le ricchezze,
ma solo con la rinuncia. La festività di Onam infonde questo messaggio
a coloro che la celebrano tenendo gli occhi puntati sul suo
profondo significato interiore.
Lo Stato del Kerala ha contribuito molto alla preservazione della
cultura vedica e all’apprendimento del sanscrito, e i suoi abitanti
sono noti per la loro fede e dedizione. Pensate al privilegio di cui
godono da tempo immemore i nambūdhiri del Kerala, i preti bramini
del grande tempio viṣṇuita, che si trovano dislocati a migliaia
di miglia dalla loro terra, cioè a Badrinath (Himālaya).
[4] Ovunque la fede e la dedizione a Dio si manifestano, compaiono
forze che tendono a ridicolizzarle e a svilirle. Dove ci sono i
devoti del Signore, là anche gli atei sollevano la testa; ma il non
credere in Dio o in una Volontà Suprema può essere solo un atteggiamento
per esaltare sé stessi o per farsi pubblicità, e non regge il
confronto con la ragione o l’esperienza. Anche i cosiddetti atei
hanno amore nel cuore, onorano la verità nel rapporto con la società
e vivono in base a un eterno e fondamentale principio di giustizia:
perciò credono in sat-cit-ānanda (Essere-Consapevolezza-
Beatitudine).
Voi avete il dovere di dimostrare nella vostra vita il coraggio, la
gioia, la forza, la generosità e l’umiltà che la spiritualità autentica
e la fede possono donare all’uomo quando deve affrontare lo scoraggiamento,
il dolore, la sconfitta, la diffamazione e altre calamità
contro le quali un ateo non dispone di una protezione altrettanto
sicura.
[5] L’oro acquista valore quando viene fuso nel crogiolo. Un diamante,
se è tagliato con molte sfaccettature, è più brillante e più
costoso: una pietra grezza non la vuole nessuno.
Prahlāda, il nonno dell’imperatore Bali, fu sottoposto a molte torture
da suo padre che era infuriato contro di lui, ma ciò aggiunse
solo lustro e prestigio alla sua fama. Bali stesso acquisì splendore,
grazie alla punizione ricevuta dal Signore compassionevole. Questa
è la lezione che dovete imparare oggi. Ogni ostacolo è un passo
che vi porterà più vicino a quell’ānanda che non potrà mai essere
annientata o eliminata.
[6] C’è un altro dovere che avete nei vostri confronti e che oggi
dovete riconoscere. Il mondo è il terreno di gioco di nara, l’uomo,
e di Nārāyaṇa, Dio. Nara si trasforma in Nārāyaṇa e Nārāyaṇa si
trasforma in nara, ed entrambi giocano i loro ruoli all’unisono. Voi
tutti sapete che Nārāyaṇa è disceso in forma umana per ristabilire
il dharma nel mondo, per alimentare le radici della fede in Dio e
per rivelare Dio all’uomo.
Vi assicuro che è naturale per l’individuo innalzarsi fino a diventare
Nārāyaṇa attraverso una disciplina spirituale, l’elevazione
morale e l’espansione dell’amore. L’uomo, però, non è consapevole
del suo elevato destino, interpreta male le sue capacità ed è talmente
confuso che scivola in basso sino a diventare un mostro o
una scimmia. Ci sono molti, però, che lottano contro queste tendenze
degradanti e si sforzano di elevarsi ma, il più delle volte,
brancolano nelle tenebre e sono guidati in modo errato.
[7] Ogni pellegrino o devoto deve accettare due verità: (1) la devozione
deve essere piena, libera e totale; (2) la Divinità deve essere
concepita come piena, libera e totale. La devozione, al giorno
d’oggi, è invece solo a tempo parziale. Voglio dire che quando vi
capita una malattia, un insuccesso o una delusione, vi rivolgete a
Dio e pregate per ottenere la sua Grazia, ma quando siete felici,
prosperi, sani e in forma, ignorate Dio e asserite che tutto ciò è
merito delle vostre capacità e conquiste. Quando splende il sole,
Dio è ignorato, di notte è ricercato!
La devozione deve persistere e fiorire senza essere influenzata dal
tempo, dal luogo e dalle circostanze. Dio deve essere sperimentato
nella Sua pienezza e l’ānanda di quell’esperienza deve diventare
una proprietà permanente.
Kasturi ha recitato una poesia ricca di parole in sanscrito e dolce
all’orecchio, ma le parole molte volte non rispecchiano l’esperienza
effettiva. È impossibile sperimentare Dio o anche parlare di Lui.
Espressioni come ‘Egli conosce tutto’, ‘Egli è onnipresente’ sono
usate dalla gente in quanto i santi e i saggi le hanno utilizzate in
passato, ma è impossibile per chiunque avere la piena e completa
esperienza di quelle qualità del Divino e poi parlare di tale esperienza.
[8] La Gītā parla di Dio come ‘mobile eppure immobile’, espressione
che colpisce perché è impossibile. Dio appare muoversi, agire,
benedire, salvare e mettere alla prova, ma Egli fondamentalmente
è indifferente a tutto questo. Osservate un albero: i rami e le
foglie si muovono con il vento, ma il tronco rimane stabile e imperturbato.
Dio è, ma sembra non essere. Il corpo si muove, l’intelletto
e la mente sono attivi, ma l’ātma non viene sfiorato: rimane
fermo, stabile e immutabile.
Il lago non si muove, solo la sua superficie forma piccole onde a
ogni soffio di brezza. Lo schermo bianco non è minimamente toccato
dalle immagini di un incendio, di lotte, di inondazioni e di
ghiacciai che vi compaiono in modo realistico. Quando si vedono
le immagini, non si vede lo schermo, e quando si vede lo schermo,
le immagini non ci sono. Senza lo schermo, il Brahman, le immagini
non hanno significato, non portano alcun messaggio e non
raccontano nessuna storia: non diffondono alcuna beatitudine.
[9] Voi potete avere in tasca una scatola di fiammiferi senza pericolo
che prendano fuoco, sebbene tutti gli elementi necessari siano
presenti nella scatola. Analogamente, in voi ci sono gli elementi
della Divinità, però non è palese, non è evidente.
Prendete un fiammifero, sfregatelo contro il materiale chimico
presente su un lato della scatola, e all’improvviso si accenderà la
fiamma. Allo stesso modo, prendete il jīva (individuo) e sfregatelo
contro il principio del Brahman immanente nell’universo, rendetelo
consapevole di Quello, e anche l’individuo manifesterà la Divinità
latente in lui.
L’albero è l’individuo, la foresta è il Brahman. L’uno separato dai
molti è l’individuo; i molti e la molteplicità sono il Brahman. Kasturi
da solo è vyaṣṭi, l’individuo; quando si siede in mezzo a voi,
fra le migliaia di persone venute qui per la festività di Onam, si
unisce a samaṣṭi, alla collettività. Samaṣṭi è Brahman e vyaṣṭi è l’individuo.
Il nipote di Prahlāda, l’imperatore Bali che onorate oggi, lodò il
Signore che gli stava davanti come Signore del Cosmo intero e
come ‘il ladro supremo fra i ladri’, in quanto Dio ruba il possesso
più prezioso dell’uomo, anche se il proprietario è sveglio. Egli ruba
citta, è un ladro di cuori. Vi ho deluso, vi ho persino invitato a
non venire per la festività da così distante, ma Io ho rubato i vostri
cuori e perciò voi non potevate stare lontano.
Durante la giornata di Onam, voi Keraliti usate mangiare banane;
quando mangiate una banana, dovete prima togliere la buccia, così
come per un mango o un ananas. La sostanza dolce si raggiunge
dopo che si è tolta la buccia amara.
Bali, per essere accettato e accolto da Dio, dovette prima eliminare
l’amara buccia dell’egoismo e della smania di potere. L’ignoranza,
l’illusione, l’orgoglio sono tutti i componenti della buccia amara. I
giorni di Onam passano, vengono e vanno, ma la gente non si avvicina
affatto all’obiettivo. Questo succede perché a Onam viene
dato un caloroso saluto di congedo, ma alla generosità, alla rinuncia,
all’amore e allo spirito di servizio non viene dato un benvenuto
altrettanto cordiale.
Dovete prendere queste parole come il messaggio di Onam: sforzatevi
di manifestare, coltivare ed esprimere l’amore, ed eliminate
l’orgoglio e l’egoismo in modo da meritare la Grazia di Dio.

Praśānti Nilayam, 30.08.1974