Discorsi Divini
23 Ottobre 1974 – Il labirinto
23 Ottobre 1974
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Il labirinto
[1] Il reale e l’irreale, che all’ignorante appare come reale, non sono
due cose distinte: l’una è l’assenza dell’altra. L’assenza di realtà
non può essere una cosa irreale. L’assenza di luce non può essere
elevata al livello di una cosa particolare detta ‘oscurità’. C’è solo
l’Uno che appare come due.
Per spiegarlo, Mudigonda Pichyaya Śāstri ha fatto un bell’esempio.
Ha parlato della brace rossa e rovente, che brucia le mani,
perché il fuoco è penetrato in quel pezzo di carbone. Analogamente,
quando l’ego entra nell’individuo (jīva) sviluppa numerosi attributi
e molte sfaccettature. Domandiamoci però come il carbone
abbia avuto origine: anche quello è stato per effetto del fuoco. Il
jīva stesso è divenuto manifesto quando il sentimento di aham
(ego) sorse nel nirguṇa Brahman (l’Assoluto Universale esente da
attributi).
Pichyaya Śāstri ha anche spiegato quanto sia complesso liberare il
jīva dalle tenaglie dell’ego; ha detto che è come separare il calore
dalla brace ardente, perché il calore è parte integrante della brace.
Tuttavia, grazie al processo di raffreddamento, il carbone può
nuovamente liberarsi dal calore che prima condizionava ogni particella
della sua sostanza.
[2] Egli ha definito la vita come un labirinto dal quale pochi riescono
a sfuggire, sebbene tutti vi siano entrati facilmente; inoltre
ha citato un episodio del Mahābhārata in cui il precettore di corte
di arte militare, Droṇa, detto anche Kumbhaja che significa ‘nato
da un vaso’, aveva disposto le truppe dei Kaurava a guisa di un
labirinto a forma di fiore di loto sul campo di battaglia del kurukṣetra.
Droṇa sfidò Abhimanyu, il giovane figlio di Arjuna, a entrare
nel labirinto e a combattere per uscirne, se ne avesse avuto il coraggio.
Arjuna non era presente sul campo e la moglie di Abhimanyu
in quel periodo era incinta. I testi sacri stabiliscono che il futuro
padre non ha il diritto di mettere a repentaglio la propria vita.
Quando il giovane parlò di quella sfida, sua madre protestò vivamente
e gli disse che egli poteva essere giustamente dispensato da
quella prova tremenda.
Le ragioni che la madre enumerò al ragazzo per indurlo a ritirarsi
hanno un significato profondo. Quel labirinto era stato formato da
Khumbaja, che significa nato dall’intelligenza, dal Brahman stesso,
poiché il Brahman è Prajñānam (saggezza e conoscenza suprema).
Come può uno uscire da un labirinto ideato dal Brahman, se
è dominato da impulsi egoistici, ovvero dal pensiero della moglie
e del bimbo che deve nascere e dall’assenza del proprio padre?
Questi due pretesti stanno a indicare i simboli di ’io’ e ‘mio’.
Il Mahābhāratha asserisce che solo Arjuna aveva la capacità e il
talento di rompere la formazione a forma di loto, cioè di uscire dal
labirinto delle nascite e delle morti, dal groviglio del desiderio e
dell’appagamento, perché Arjuna – che significa puro, senza macchia,
immacolato – era esente da ego e sapeva quindi sbaragliare i
suoi stratagemmi. Solo mediante una mente pura si può spezzare
la catena, sciogliere il groviglio. Una mente pura riflette chiaramente
la Realtà di Dio che è la base dell’Unico Sé, come pure del
mondo oggettivo. Una mente pura conferisce il dono della saggezza.
Dio è immanente in ogni particella dell’universo; chi ha
una visione chiara e limpida può percepirlo ovunque, in ogni
momento.
[3] Quella visione dona uno stato di beatitudine infinita e indicibile.
A cosa serve cantare ad alta voce, pregare e gemere quando il
cuore è pieno di egoismo e di desideri egoistici? Chi si comporta
così può essere scambiato dai comuni mortali per un devoto molto
dedito alla via spirituale, ma in fondo alla sua coscienza agitata
sarà tormentato dall’ansia e dalla paura. Al contrario, un individuo
potrebbe apparire misero, sofferente e depresso, senza alcun
segno esteriore di devozione, ma con Dio sempre nel cuore che lo
guida e lo protegge, e tutte le sue azioni potrebbero essere degli
atti di adorazione di quel Dio che risiede nel cuore.
L’uccello racchiuso nella gabbia fisica in cui l’uomo è imprigionato
cinguetta sempre ‘soham’, dal momento della nascita a quello della
morte, dichiarando così che in realtà l’anima incarnata e il corpo
sono UNO; è questa affermazione che giustifica il dono della vita.
Se quel cinguettio non è più emanato con il respiro, il corpo è un
cadavere, śavam; se invece si manifesta, illumina e colma la ‘gabbia’
di fragranza divina, il corpo è un tabernacolo, śivam!
Identificatevi con il mantra che l’uccello cinguetta e che il respiro
ripete. Voi potete dimenticare ogni altra disciplina o dovere verso
voi stessi, ma il respiro neanche per un momento dimentica questa
sādhanā che vi ricorda la vostra Realtà innata, ovvero sah (Egli), ‘Io
sono Lui, Egli è me’: ecco qual è il ritornello ripetuto a ogni vostro
respiro. Di quale insegnamento più profondo, di quale ispirazione
più sublime avete bisogno per rimanere stabili e saldi nell’equanimità?
[4] Una volta un devoto si lamentò dicendo: “O Dio, Tu mi hai
dimenticato!” Questo è impossibile, è il devoto semmai che dimentica
di essere il figlio di Dio, e che Dio è il suo amico e la sua
guida sempre fedele. Dio è conoscenza suprema, onnipotenza e
misericordia infinita. La fede in Dio deve essere costante e salda
nonostante le sfide del fato o della fortuna.
Una volta, i cervi della foresta tennero una grande assemblea per
fare una valutazione della loro miserabile situazione. Il capo di
quella moltitudine consigliò coraggio e unità; egli disse che era
una vera vergogna che creature meschine come i cani, che non
avevano la loro velocità né le corna, potessero incutere terrore ai
cervi. Tra fragorose acclamazioni, la grande assemblea decise all’unanimità
che da quel momento nessun cervo avrebbe voltato le
spalle se i cani l’avessero inseguito, ma sarebbe rimasto fermo a
combattere fino alla fine.
Mentre gli echi dell’acclamazione ancora rimbombavano nella foresta,
si udì in lontananza l’abbaiare dei cani e, in un attimo, non
si vide più neppure un cervo, là dove prima a migliaia si erano
radunati per prendere quella decisione. I cervi si dileguarono in
un istante rinnegando così il loro stesso proponimento. Questa è
ipocrisia verbale, che è fatale al progresso spirituale, ed è una rovina
in ogni campo.
[5] L’errore sta nel credere che ogni cosa accada come risultato dello
sforzo e dei progetti dell’uomo, della sua intelligenza e attenzione.
Nessuno può avere successo in alcuna iniziativa senza la
Grazia di Dio. È il disegno di Dio quello che viene attuato attraverso
l’uomo, ma l’individuo si inorgoglisce e pensa di averlo fatto
lui. Questo mi fa ricordare una storia.
Un giorno, un povero e semplice abitante di un villaggio fece il
suo primo viaggio in treno. Comprò il biglietto ed entrò in uno
scompartimento che trovò già occupato da alcuni passeggeri, i
quali avevano lasciato i loro bagagli e pacchi sui ripiani o sotto i
sedili dove erano seduti. A loro non interessava lo sforzo ulteriore
che la locomotiva doveva fare per trasportare tutti quei pesi. Il
paesano pensò che fosse crudele da parte loro, e che la motrice oltre
ai passeggeri doveva trascinare un bel carico in più. Così, per
non gravare il povero treno di ulteriori pesi, l’uomo tenne il suo
bagaglio sulle spalle e il fagotto sulla testa, credendo così di essere
lui a portare il carico invece del treno.
I più si comportano nello stesso modo sciocco, ignorando il fatto
che Dio è tutto e che l’uomo è soltanto uno strumento nelle Sue
mani per attuare i Suoi progetti. Fede totale in tale convinzione è
la chiave per avere pace e gioia.
Praśānti Nilayam, 23.10.1974
Discorsi Divini
25 marzo 1958 – Esaminare, sperimentare
25 marzo 1958
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Esaminare, sperimentare
[1] Sono venuto per confortare le vostre esistenze e non per raccontare la Mia vita. Per tale ragione non ho gradito che Ramanatha Reddy e Kasturi abbiano parlato di Me facendo riferimento ad alcuni episodi della Mia vita. Le vostre vite sono ben più importanti per Me, perché il Mio obiettivo è che possiate vivere più felicemente e con maggiore soddisfazione. Tutti gli esseri devono impegnarsi nel karma (azione, attività): è un obbligo universale, ineluttabile. Alcuni credono che solo le azioni, meritevoli o peccaminose, possano essere chiamate karma, ma il respirare stesso è karma. Ci sono dei karma i cui frutti non possono essere evitati! Esistono karma fisici, mentali e spirituali, e compierli per amore del Sé è dedizione. Si è parlato di Puttaparti e vi hanno consigliato di andarci per trarre ispirazione dai bhajan, i canti devozionali. Vi prego di non spendere questi soldi, poiché ovunque siate ed in qualsiasi momento invochiate il Mio nome, la vostra stanza diverrà Prashānti Nilayam ed il vostro villaggio diverrà Puttaparti. Io sono sempre pronto ad ascoltarvi e rispondervi. Vi voglio attivi e pienamente impegnati perché, se siete inattivi, il tempo graverà pesantemente sulle vostre mani. Non sprecate neanche un singolo istante dell’arco di vita assegnatovi, poiché il tempo è il corpo di Dio, infatti a Lui ci si riferisce come Kālasvarūpa (che prende forma nel tempo). È un crimine utilizzare male il tempo o sprecarlo nell’indolenza. Allo stesso modo non sprecate i vostri talenti, le capacità fisiche e mentali donatevi da Dio come patrimonio per adempiere il dovere della vita.
[2] Come la forza di gravitazione attrae tutto verso il basso, così la forza dell’indolenza vi trascinerà implacabilmente in giù; per questa ragione dovete essere sempre attivi e vigili. Come il vaso di rame deve essere lucidato affinché brilli, così la mente dell’uomo deve essere purificata mediante la disciplina spirituale, ovvero con attività quali la ripetizione del Nome divino e la meditazione. Persino un’azione naturale e automatica come il respirare può trasformarsi in un atto empio, se compiuta consapevolmente per ottenere un certo risultato. Un giorno un indù ed un suo amico inglese si trovavano sulle rive del fiume Godāvarī. L’indù disse di volersi bagnare nelle acque sacre del fiume, così pronunciò “Hari” – il nome di Dio, s’immerse, e ne uscì rinfrescato nella mente e nel corpo. Egli era molto felice di aver avuto la straordinaria opportunità di bagnarsi in quelle acque sacre. L’inglese invece rise e domandò all’amico come avesse potuto trarre tanta gioia nel tuffarsi in quell’acqua che è soltanto H2O, e aggiunse che la sua era tutta superstizione. L’indù allora gli rispose: “Lasciami pure la mia superstizione e tu tieni la tua.” Il cinico ottenne soltanto la pulizia del corpo, mentre il credente ottenne anche la purificazione della mente. Quando vi prostrate davanti agli anziani, anche la mente deve avere un atteggiamento di umiltà; non è solo il corpo che si deve inchinare. A Madras ci sono tanti assistenti sociali che visitano gli ospedali e rendono il loro servizio ai degenti. La maggior parte del lavoro che svolgono è meccanico: fanno aria ai pazienti, scrivono delle lettere per loro conto, cantano i bahjan, senza però prestare attenzione alle reali necessità dei pazienti. Molti s’impegnano in tali attività perché il servizio sociale è di moda. Questo lavoro, invece, deve essere svolto con piena partecipazione della mente, in modo gaio, intelligente e riverente. Il paziente non deve sentirsi infastidito dal nervosismo del volontario, anzi lo dovrebbe aspettare come un familiare che gli è caro. Se non vi piace questo tipo di lavoro, non fatelo; non gravate la vostra mente di qualche cosa che non vi aggrada. Un lavoro fatto meccanicamente è come una lampada ad olio priva di combustibile. L’olio è l’entusiasmo mentale: versatelo e vedrete che la fiamma sarà vivida ed arderà a lungo.
[3] Il karma si trasforma in yoga (unione con Dio) quando è svolto senza attaccamento. Un sannyāsi (asceta) non dovrebbe neanche ricordare quello che ha fatto, ma soprattutto non deve intraprendere un’azione aspettandosi dei frutti. Tale karma viene definito ‘azione compiuta senza desiderio per il risultato’ ed è il più nobile. Il karma migliore è quello svolto per senso di dovere, perché deve essere fatto e non perché sia vantaggioso farlo. Inoltre un sannyāsi non deve essere soggetto alla rabbia, all’ansia, all’invidia ed all’avidità, anche se la vostra esperienza vi dirà che oggi asceti di questo tipo sono molto rari. Non degnate neanche di uno sguardo un sannyāsi che tradisca a tal punto i suoi voti da ambire fama e notorietà o che si compiaccia di calunniare e competere. Non fatevi fuorviare da tali personaggi che potrebbero indurvi anche a non credere più alle sacre scritture ed ai Veda. Solo chi è fermamente convinto che questo mondo è un miraggio della mente è il vero Swami, tutti gli altri non sono che Rāmaswami o Krishnaswami, con il diritto di mettere tale qualifica solo alla fine del loro nome, non davanti.
[4] La Natura è un’entità molto antica. Anche il Jīvi, l’anima individuale, è molto antico poiché è ‘entrato’ ed ‘uscito’ molte volte. Ora però indossa una veste nuova, è moderno ed è venuto come il pellegrino che si reca in un luogo sacro per compiere i suoi giri attorno al tempio. Il Jīvi deve avere una guida che gli mostri i luoghi sacri e lo aiuti a terminare il pellegrinaggio. Ebbene, quella guida è il Signore stesso, ed i manuali d’istruzione sono i Veda, le Upanishad ed i sacri testi. L’essenza delle Scritture è contenuta in questa sola regola: ripetete il nome del Signore avendo sempre in mente la Sua Gloria. Il Signore è come il kalpataru, il divino albero che soddisfa i desideri e che dà tutto ciò che gli viene chiesto. Voi però dovete accostarvi all’albero e desiderare ciò che volete ottenere. L’ateo è colui che si tiene lontano dall’albero, mentre il credente è chi si avvicina: questa è la sola differenza. L’albero tuttavia non fa alcuna distinzione, elargisce i suoi doni a tutti. Il Signore non punisce, non si vendica se non lo riconoscete e non lo onorate. Egli non ha preferenze per un particolare tipo di culto né si compiace solo di quello. Se avete orecchio, potrete sentire l’OM che annuncia la presenza del Signore in ogni suono. Tutti i cinque elementi producono il suono OM. La campana del tempio ha la funzione di diffondere l’OM quale simbolo dell’onnipresenza di Dio. Quando la campana suona l’OM, la divinità che dimora in voi si risveglierà e voi diverrete consapevoli della Sua Presenza. Questo è il motivo per cui si suona la campana davanti all’altare.
[5] Guadagnatevi il diritto ad avvicinarvi a Dio senza paura per chiedergli la vostra eredità. Dovreste diventare tanto liberi da non pronunciare alcuna espressione di lode quando vi accostate al Signore. Le lodi sono un segno di distanza e di timore. Avrete certamente sentito la storia del saggio Kālidāsa. Egli disse che «Non appena l’io se ne va» – cioè non appena l’ego fosse scomparso, egli avrebbe raggiunto la liberazione e brillato del suo splendore originale, quale Brahman, l’indistruttibile Ātma o Sé. La «I» di ‘io’, quando è barrata diventa il simbolo della croce, quindi ciò che deve essere crocefisso è l’ego, ricordatelo. Allora la natura divina si manifesterà senza alcun ostacolo. I mezzi che distruggono l’ego più facilmente sono la devozione, il meditare sulla magnificenza del Signore ed il servizio reso agli altri in quanto figli di Dio. Potete invocare il Signore con qualsiasi nome, perché tutti i nomi sono Suoi, perciò scegliete il nome e la forma che più vi attraggono; i mille nomi del Signore sono stati composti per glorificare i vari aspetti di Dio, e voi avete la libertà di sceglierne uno. Il guru vi consiglierà il Nome e la Forma che più si addicono al vostro temperamento ed alle azioni meritorie del passato. Se però il guru volesse costringervi ad adottare un certo tipo di disciplina proclamando che quello è un suo ordine, ditegli che quello che conta è la vostra soddisfazione e non la sua; infatti dovete praticare la disciplina spirituale in un’atmosfera di gioia e di contentezza.
[6] Il discepolo ha il diritto di crescere in base alle sue attitudini ed inclinazioni mentali, ed il guru non deve forzarlo a svilupparsi nella direzione da lui prescelta. Oggi l’antica relazione fra guru e discepolo si è capovolta: ricchi ed influenti discepoli dominano il guru dettandogli il comportamento da seguire. I guru dal canto loro, avidi di accumulare ricchezza e fama, si abbassano ad agire secondo i dettami dei discepoli, degradando così il loro stato. Perciò prima di accettare un guru, esaminatelo, controllate le sue credenziali, verificatene gli ideali e le pratiche. Anche nel Mio caso, non lasciatevi attirare solo dalle storie di quello che creo con un semplice movimento della mano. Non saltate a conclusioni affrettate ad occhi chiusi: osservate, studiate e ponderate. Non abbandonatevi a nessuno finché non avvertirete la soddisfazione interiore di essere sulla via giusta. Soprattutto non parlate male dei grandi uomini e dei saggi, perché è un segno d’egoismo grossolano e di impertinenza puerile che nasce dalla presunzione stessa. Il Mio consiglio per voi oggi è questo: così come vi preoccupate delle necessità del corpo, nutrendolo tre volte al giorno per mantenerlo in buone condizioni, allo stesso modo spendete regolarmente ogni giorno un po’ del vostro tempo per mantenere in buona forma anche la vostra coscienza interiore. Impegnatevi nella preghiera e nella meditazione un’ora al mattino, un’ora alla sera ed una ai primi chiarori dell’alba durante il Brahma-muhūrta. Progredendo nella vostra pratica scoprirete che una grande pace discenderà su voi e grandi risorse di energia nuova scaturiranno dall’interno di voi stessi. Dopo un po’ di tempo la vostra mente contemplerà il divino Nome ovunque siate e qualunque cosa facciate: allora la pace e la gioia diventeranno le vostre inseparabili compagne.
Gokhale Hall, Madras, 25.03.1958
da DISCORSI 1953 – 1960 (Sathya Sai Speaks-Vol.I) ed.Mother Sai Publications