21 Febbraio 1974
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Siete liberati!
[1] Non lasciatevi fuorviare da ciò che vedete: quello che non vedete
con gli occhi è molto più importante. Perché sprecare la vita
senza raggiungere il suo vero scopo, vale a dire conoscere e fare
esperienza della Verità? Venite, venite con Me! Renderete la vostra
vita degna, otterrete il successo!
L’uomo ha in sé tutta la beatitudine e tutti gli strumenti necessari
per conseguirla, ma è preda di una tremenda ignoranza perché è
inconsapevole delle sue risorse interiori. Potrebbe avere la pace
suprema, ma non si sforza di raggiungerla; i suoi tentativi vengono
insidiati dal dubbio e dall’indecisione e sono pertanto destinati
a fallire.
Certo, ci sono le vene d’acqua sotterranee, ma come possiamo beneficiarne
se non facciamo lo sforzo di scavare fino a trovarle?
Prima di poter attingere a quella sorgente interiore di pace e gioia
occorre rimuovere una gran quantità di desideri tesi alla soddisfazione
dei sensi.
La vostra vita, essenzialmente, è costituita da pace e amore, e i vostri
cuori sono colmi di verità; sbarazzatevi quindi degli ostacoli
che impediscono a queste virtù di manifestarsi. Invece non fate
alcuno sforzo in tal senso, perciò non c’è pace, amore né verità nella
casa, nella comunità, nella nazione e nel mondo. Marito e moglie
non vivono in armonia, padri e figli parteggiano per fazioni
differenti, i gemelli percorrono strade diverse; perfino gli amici
guardano la stessa cosa con occhi diversi, perché tutti vivono in
un mondo di passioni e di emozioni, competitivo e decadente. Solo
quando Dio sarà il traguardo e la guida della vita ci potrà essere
pace, amore e verità. Egli deve essere venerato sempre, comprendendo
e seguendo quanto sia a Lui gradito.
[2] Il Rāmāyana mostra due esempi di vita consacrata: la vita di
Hanumān1 e quella di Lakṣmaṇa2. Hanumān dedicò ogni momento
della vita, ogni minimo pensiero, ogni fremito al suo Signore,
Rāma. Quando Rāma lo mandò verso sud con l’incarico di cercare
Sītā, egli non si sentì orgoglioso di essere considerato uno strumento
efficiente, né era preoccupato della pericolosità dell’impresa;
sapeva che Rāma gli avrebbe dato l’abilità e la forza necessarie
a svolgere l’incarico; infatti tutte le capacità e la forza di Hanumān
erano i Suoi doni. Temere di essere uno strumento debole e insicuro
era, secondo Hanumān, un insulto all’onniscienza e alla grazia
di Rāma.
Anche Lakṣmaṇa era un potente eroe perché traeva forza dal Divino
stesso: non possedeva altra forza. Una volta, durante il loro
esilio nella foresta, Rāma gli disse di scegliere un posto piacevole e
di costruirvi un riparo di frasche per Sītā e per Lui. Lakṣmaṇa fu
sconvolto da quelle parole e cadde a terra lamentandosi di aver
perso la grazia: “Ho forse io una volontà distinta dalla Tua? Come
hai potuto immaginare che possa esercitare il mio giudizio per
scegliere un luogo adatto? Dimmi Tu dove e come, e sarà fatto, ma
io non ho un giudizio mio: l’ho sacrificato tanto tempo fa.”
[3] Anche voi dichiarate di esservi abbandonati, ma è solo un’affermazione
verbale. Se siete seduti in un’automobile, vi muovete
insieme a quella, e così pure se siete su una bicicletta; se siete in
sella a un cavallo, andate ovunque il cavallo vi porti. Voi dite o
forse credete di esservi messi nelle Mie mani e che, quindi, state
percorrendo la via che ho tracciato, ma la vostra mente e il vostro
cuore non sono completamente in Me, quindi la vostra resa è puramente
nominale.
Come segno dell’atto di resa, e per convalidarlo, nulla è più raccomandabile
del ricordo costante del Nome divino. Non è prescritta
alcuna disciplina spirituale estenuante: è sufficiente il ricordo.
Dopo l’emissione dell’ātmaliṅgam, avete cantato per tutta la notte i
bhajan che lodano i Nomi di Dio e celebrano la Sua Gloria, ma ciò
è solo uno ‘stuzzichino’; i bhajan devono diventare un’ininterrotta
corrente di beatitudine sulla lingua e nel cuore, devono conferirvi
la continua consapevolezza del soham3, dell’unità di «Lui e io», di
«questo e Quello». Tale disciplina viene detta akhaṇḍa haṃsa japa,
continua recitazione del haṃsa mantra: soham, il quale libererà da
paura, ansia e dolore.
[4] La festività di mahāśivarātrī4 è dedicata all’annullamento delle
aberrazioni mentali e, quindi, della mente stessa, con l’offerta di sé
stessi a Śiva. La luna è la deità che presiede alla mente, ed entrambe
hanno sedici fasi. Nella notte di śivarātrī, quindici fasi sono
scomparse e in cielo si vede solo un piccolo spicchio di luna, mentre
nella successiva notte di Luna Nuova non sarà visibile neppure
quello.
Anche la mente va tenuta ogni giorno sotto stretto controllo finché,
il quindicesimo giorno, quindici fasi saranno annullate e ne
resterà solo una piccola parte che si dovrà eliminare con uno sforzo
finale. Questa è la disciplina spirituale che avete praticato durante
la notte: canto dei bhajan, veglia e digiuno. Quando la mente
se ne va, non c’è più moha, la fatua illusione, e l’annullamento di
moha significa mokṣa, liberazione.
La recitazione e il ricordo del Nome divino è il mezzo più sicuro
per controllare le astuzie della mente. Voi siete veramente benedetti
perché, tra miliardi di persone su questa Terra, solo voi siete
riusciti a unirvi a quest’assemblea, alla divina Presenza, in tale occasione.
[5] Per śivarātrī la gente si raduna in molti luoghi santi, ma voi siete
riusciti a trovarvi qui in questo giorno, tre volte santo, e ad assi-
stere all’emergere del ‘daśāṅgulam svarūpa5’. Le Upaniṣad dichiarano
che Dio è atyatiṣṭha daśāṅgulam, ovvero di dieci aṅgula6 più
esteso [dell’intero universo].
sa bhūmim viśvato vṛtvā atyatiṣṭha daśāṅgulam
Egli in tutta la Sua maestà pervade l’intero universo
e si estende oltre esso di dieci dita
(Puruṣa Sūktam)
Pertanto avete assistito all’emergere del simbolo Tempo-Spazio,
quale manifestazione della Divinità, come descritto dal grande
saggio Kapila7, che è l’incarnazione del Signore Nārāyaṇa.
Quando Kapila nacque (anch’Egli era l’incarnazione della dimensione
Tempo-Spazio), invitò gli dei a riunirsi alla Sua presenza per
avere il darśan; Sua madre, che convocò gli dei, venne chiamata
Devahūti (invocazione degli dei). Quando gli dei arrivarono, Kapila
domandò loro: “Non sapete chi sono?” Anche oggi tutti i
neonati, appena nati, chiedono la stessa cosa: “Koham? Chi sono?”
Avendo avuto l’immensa fortuna di assistere all’emergere dell’incarnazione
del Tempo-Spazio, nella forma del liṅgam, vi assicuro
che siete liberati dal vincolo della nascita e della morte. Ricordate
quel momento della manifestazione e meditate sull’importanza
della forma del liṅgam. Questa è un’opportunità che raramente si
ottiene con la celebrazione di elaborati riti sacrificali, o come risultato
di anni di ardua disciplina. Se vi chiedono cosa sia accaduto a
Praśānti Nilayam, rispondete che la vostra missione nella vita si è
compiuta, che avete potuto assistere al liṅgodbhāva, cioè che avete
visto il liṅgam emergere nell’ora propizia.
[6] Il liṅgam, come potete vedere, ha una circonferenza di daśāṅgulam,
di dieci dita, e in sé contiene il triśūla, il tridente di Śiva, che
risplende di luce propria ed è il simbolo delle tre fasi del Tempo:
passato, presente e futuro; e delle tre dimensioni dello Spazio: cielo,
terra e inferi.
Il Tempo viene misurato in unità di dieci e anche in questo liṅgam,
come potete vedere anche da dove siete seduti, il colore del triśūla,
all’interno del liṅgam stesso, cambia ogni dieci minuti e assume un
nuovo colore. L’impugnatura del tridente rappresenta l’Uno, di
cui i tre sono le manifestazioni. Questo è il grande mistero che vi è
stato rivelato!
Voi avete assistito alla divina creazione, avete visto il simbolo divino
[il liṅgam], avete condiviso la beatitudine. Tra i miliardi di persone
nel mondo, solo voi siete riusciti a ottenere una simile fortuna.
Le scritture declamano il puruṣa come splendore, come luce.
Voi avete visto lo splendore quando il liṅgam è emerso e avete visto
la triplice luce dentro il liṅgam stesso. Non c’è fortuna più
grande che possa capitare a un uomo. D’ora in poi vivete come si
conviene a chi abbia ricevuto questa rara grazia.
[7] Tyāgarāja8, il santo poeta, cantava il nome di Rāma che è composto
da due suoni vitali, Rā e Ma.
Rā è il suono vitale del mantra dedicato a Viṣṇu (Oṁ Namo
Nārāyaṇa) e Ma è il suono vitale del mantra di Śiva (Oṁ Namaśivāya).
I due suoni divennero Rāma, l’Uno che divenne Viṣṇu e
Śiva, così come il liṅgam è l’Uno da cui si manifestano tutte le forme,
è la Forma fondamentale che rappresenta la prima apparizione
della Volontà del Divino.
Ribadisco quindi che voi, che avete fatto esperienza della sublimità
e dello splendore di questo evento divino, avete acquisito
l’enorme merito sufficiente a salvarvi dal ciclo delle nascite e delle
morti.
Riflettete su questo straordinario momento, questa sacra ora che
avete avuto il privilegio di vivere qui; contemplate la maestà dell’evento
cui avete assistito. Santificate i vostri giorni con pensieri
sacri, con parole che esprimano amore, e con azioni che siano in
armonia con la grazia che avete ricevuto oggi.
State in guardia ogni volta vi sentiate inclini a deviare da tale responsabilità.
Siate sempre vigili in modo da non smarrirvi, scoraggiarvi
o vacillare.
Praśānti Nilayam, 21.02.1974