20 Febbraio 1974 – Śiva è in tutti

20 Febbraio 1974

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Śiva è in tutti

[1] Śivoham, śivoham! Io sono Śiva, Śiva sono io! Era l’esclamazione
che s’innalzava dalle anime che arrivavano a conoscere la Verità in
un lampo d’illuminazione, dopo lunghi anni di austerità e di purificazione
della mente.
Sebbene sia rappresentato con numerosi nomi e forme, il Principio
Divino è Uno senza un secondo, è śivam (bontà, felicità) ed è latente
in ogni essere, compreso l’uomo. Innumerevoli giorni santi devono
essere trascorsi nella contemplazione di questa Verità e nella
pratica di discipline spirituali per acquisire piena consapevolezza
della propria Divinità.
Dio è il seme che si è espresso come ‘tutto questo’, ma tale realtà,
da secoli profondamente radicata nel cuore di ogni indiano, è stata
ricoperta dal velo del dubbio, e oggi l’uomo ha perso il coraggio e
la forza che per tanto tempo aveva ricevuto dalla fede. Tale realtà
era la vera essenza della cultura indiana, ma i figli dell’India hanno
perso quasi interamente questa preziosa eredità. L’attrazione
per le mode di stampo occidentale ha indebolito la fede nella pro-
pria religione, provocando l’abbandono di quelle discipline che
regolavano la vita quotidiana; ne è conseguito un deterioramento
del livello morale, che a sua volta ha generato l’infelicità, la discordia,
l’odio e il disonore. È ora di aprire gli occhi di fronte a
una simile tragedia e di tornare sui propri passi.
[2] I santi e i veggenti di questo Paese non parlavano mai inutilmente
né compivano azioni irrilevanti; essi avevano sempre in
mente il bene delle generazioni future. Quando indicavano un certo
luogo o un certo giorno come ‘santo’, essi prescrivevano anche
le regole e i rituali che i pellegrini e gli aspiranti spirituali avrebbero
dovuto osservare, affinché il tempo, l’impegno e le spese sostenute
risultassero utili all’espansione dell’amore e alla trasformazione
di istinti e impulsi. Lo scopo di tutte le regole era di rendere
accessibile la realizzazione dell’ātma come propria Realtà,
poiché l’ātma nell’individuo è l’ātma presente in tutti.
‘Śivoham – io sono Śiva’ è la Verità, e solo la Verità può rendere
l’uomo libero e pieno di gioia.
[3] Prendiamo in esame una di quelle pratiche prescritte: la venerazione
del serpente. Chi è affetto da sterilità, da gravi malattie o
da malattie virulente della pelle fa il voto di andare in pellegrinaggio
ai templi di Subrahmaṇya, raffigurato nella forma di un
serpente.
Molti ridono di questa pratica e affermano: “Gli indiani adorano i
serpenti perché hanno il veleno nei denti!” La verità, il significato
profondo della venerazione del serpente è totalmente diversa: la
colonna vertebrale, che nel cervello termina nel loto dai mille petali,
è simile a un serpente cobra eretto sulla coda, con il cappuccio
interamente allargato.
Nella scienza del kuṇḍalinī yoga, l’energia vitale che giace dormiente
come un serpente attorcigliato alla base della colonna ver-
tebrale nel mūlādhāra1 cakra, si risveglia e s’innalza sino ad attraversare
gli altri sei cakra e a raggiungere il sahasrāra2 cakra alla
sommità del cranio. La kuṇḍalinī fluisce attraverso il nervo
suṣumṇā sito nel centro della colonna. La venerazione del serpente,
derisa come superstizione, è la rappresentazione simbolica di questa
disciplina yogica che conferisce vigore e vitalità.
[4] Prendiamo ora in considerazione Tirupati3 come luogo santo di
pellegrinaggio. Il Signore Veṅkaṭēśvara4, la Divinità adorata in
quel tempio, è chiamato ‘Signore dei sette colli’ poiché occorre salire
e superare sette colli prima di raggiungere il tempio. Ovviamente,
i colli stanno a indicare i sei cakra e il sahasrāra cakra, poiché
nel rājayoga il Supremo si rivela solo quando l’individuo innalza la
propria energia vitale, la kuṇḍalinī śakti, fino a raggiungere il settimo
centro d’energia. Una delle colline è detta śeṣagiri o Colle del
Serpente, infatti vista dalla pianura, la fila delle colline fa pensare
a un serpente con la testa eretta.
Cosa significa poi il nome Subrahmaṇya? Pensateci su un attimo.
Significa ‘Chi ha raggiunto la realizzazione del Brahman’, l’Asso-
luto Universale, la Causa Prima, la Coscienza Cosmica. Ogni appellativo
di Dio ha una profonda valenza.
Nei Veda, per esempio, Viṣṇu è chiamato Parama, che indica paramāṇu,
l’atomo: Egli è onnipresente come l’atomo che costituisce
la sostanza e il substrato dell’universo. Viṣṇu è sia la causa sia l’effetto,
perché altro non c’era quando il tempo ebbe inizio. L’Uno
divenne i molti; i molti scompaiono, l’Uno rimane.
[5] Per insegnare l’unità, che sta dietro l’apparente molteplicità,
cioè per realizzare la natura non-duale dell’esistenza, Śaṅkara, il
maggiore esponente della scuola di pensiero advaita o del ‘Nondualismo’,
fondò quattro sedi di filosofia dette maṭh, in quattro regioni
dell’India. Il primissimo passo nel tentativo di realizzare tale
unità era, secondo Śaṅkara, l’upāsana o adorazione del simbolo
concreto di Dio, pratica che dona l’esperienza estatica dell’unione.
Un giorno, Śaṅkara era seduto in meditazione sulle rive del Gange
e improvvisamente esclamò: “Signore! Io sono tuo, ma Tu di certo
non sei mio!” Il suo allievo Thotakācārya, che gli era accanto, rimase
meravigliato da quell’affermazione che, a suo modo di vedere,
era incompatibile con la visione non-dualistica; gli chiese perciò
come avesse potuto fare una distinzione tra «io» e «tu». Śaṅkara
replicò: “Le onde appartengono all’oceano, ma l’oceano non
appartiene all’onda. L’onda è l’oceano, ma l’oceano non è l’onda.”
Il punto principale da realizzare è l’eliminazione dell’ego, ovvero
l’identificazione con il corpo e le sue necessità da soddisfare attraverso
i sensi; infatti, voi provate gioia quando tali bisogni vengono
soddisfatti, dolore quando non lo sono, ira quando qualcosa si
frappone, orgoglio quando riuscite a superare l’ostacolo.
Per eliminare l’ego, rafforzate la convinzione che tutti gli oggetti
appartengono a Dio e che voi li avete solo in affidamento; questo
previene l’orgoglio e, in ogni caso, è proprio la verità. Così, quando
perdete qualcosa, non ne sarete addolorati: Dio ha dato, Dio ha
tolto!
Naturalmente, avrete sentito molti parlare così e dare simili suggerimenti,
ma ben pochi mettono in pratica il loro stesso consiglio.
Di tutti i peccati, questo è il più grave: dire una cosa e fare esattamente
il contrario, negare nella pratica ciò che si asserisce nel precetto.
[6] Śiva è chiamato anche Īśvara, il depositario di tutte le risorse
essenziali per la prosperità. La risorsa più importante è jñāna, la
saggezza spirituale o suprema conoscenza.
Ci sono tre tipi di conoscenza: jīvaprajña, la conoscenza relativa
al Sé individuale; īśvaraprajña, la conoscenza relativa alla manifestazione
cosmica del Divino; ātmaprajña, la conoscenza relativa
all’Assoluto Universale di cui l’individuo è il ‘particolare’ temporaneo.
Īśvara conferisce aiśvarya, la padronanza di jñāna. Egli è conosciuto
anche con il nome di Śaṅkara, Colui che dona ogni bene; i saggi
hanno fatto esperienza di Śiva quale dispensatore di śaṁ, buoni
auspici, prosperità, felicità di ogni sorta. Śiva è eternamente propizio.
Egli non appare incarnato in altre forme o con altri nomi,
come fa spesso Viṣṇu. Pertanto, non viene definito Śrī5 Śiva, Śrī
Śaṅkara o Śrī Īśvara: tale prefisso onorifico è intrinseco alla Sua
Persona ed è quindi superfluo aggiungerlo al Suo Nome. Quando
realizzerete ‘śivoham – io sono Śiva’, avrete ogni genere di felicità e
prosperità.
Śiva non va cercato sulla cima di qualche lontana catena montuosa
o in altri luoghi particolari. Sapete bene che il peccato e il merito
sono insiti nelle azioni compiute dall’uomo; allo stesso modo Śiva
è insito in ogni pensiero, parola e azione poiché è l’energia, il potere,
l’intelligenza che vi sta dietro.
[7] Tutta l’energia, il potere e l’intelligenza sono in voi, non avete
bisogno di cercarli al di fuori. Dio si manifesta come tempo, spazio
e causalità, ed è in voi; perché allora sentirsi deboli e indifesi?
L’uomo è sballottato dalle proprie ambizioni e dalla brama di
soddisfarle, ma deve sapere, per prima cosa, dove si trova e dove
vuole arrivare. Attualmente i suoi sforzi sono immotivati e inutili;
è un esperto di matematica, ma incapace di effettuare una piccola
somma aritmetica. Sa tutto dell’algebra, ma non sa misurare l’area
di casa sua; conosce la botanica con tutti i nomi latini, ma non sa
rispondere se gli domandate come si usa la comunissima pianta
del tulsi (basilico) e le sue foglie. Compie perfettamente tutti gli
esercizi fisici che gli hanno insegnato, ma non sa sedersi nella posizione
del loto. Sa parlare dettagliatamente di mokṣa6, asserendo
che costituisce il traguardo finale, ma non sa di essere già libero
perché immagina di essere vincolato e si comporta come se lo
fosse.
L’attaccamento agli oggetti illusori lo lega, ma quando la natura
illusoria degli oggetti si rivela, l’attaccamento cade ed egli è libero.
Questi attaccamenti lo inducono a contaminare anche gli atti di
adorazione, infatti prega Dio perché gli conceda dei benefici banali.
Pregate Dio per Dio, non usate la Verità per raggiungere la falsi-
tà; abbiate la visione interiore, non quella esteriore, non lasciatevi
attrarre dal mondo oggettivo, concentratevi sul soggettivo.
Voi non spargete i semi in superficie, ma li piantate abbastanza
profondi perché le radici abbiano una presa sicura, e neppure li
affondate troppo nel terreno: seguite la via di mezzo. Non tendete
troppo le corde del violino o della vīṇā7, ma non lasciatele neppure
allentate. Non lasciatevi legare troppo dal mondo, ma non abbandonatelo
del tutto.
[8] La festività di śivarātrī, come si celebra qui, è un esempio per
tutti voi. Potreste dire: “Svāmī ha spesso dichiarato che tutti i
giorni sono sacri, che non c’è un rito speciale che debba essere osservato
in un giorno particolare, tuttavia Svāmī stesso sparge la
vibhūti8 sull’idolo e chiama questo rito abhiṣeka9.”
Svāmī fa così per insegnarvi qualcosa: l’abhiṣeka eseguito con la
vibhūti ha un potente significato interiore che Svāmī vuole farvi
comprendere. La vibhūti è la cosa più preziosa, nel vero senso spirituale.
Sapete che Śiva ridusse in cenere Kāma, il dio del desiderio,
chiamato anche Manmatha, perché agita la mente e fa aumentare
la confusione che già vi regna. Śiva si adornò con quella cenere
e rifulse in tutta la Sua gloria come ‘Conquistatore del desiderio’.
Quando kāma fu distrutto, il puro amore (prema) regnò su-
premo: quando non c’è il desiderio a corrompere la mente, l’amore
sarà vero e totale.
Che cosa potete offrire a Dio, per glorificarlo, che sia più grande
della cenere, che rappresenta il vostro trionfo sul desiderio seducente?
La cenere è la condizione ultima di ogni cosa, non può subire
alcun ulteriore mutamento. L’abhiṣeka con la vibhūti vi deve
ispirare ad abbandonare il desiderio e a offrire a Śiva la cenere della
sua distruzione, considerandola la cosa più preziosa che abbiate
conseguito.
La cenere non avvizzisce come i fiori in un paio di giorni, non si
asciuga e scompare, non si sporca e diventa imbevibile come fa
l’acqua; non perde il colore dopo qualche ora come le foglie, e non
marcisce come i frutti nel giro di qualche giorno. La cenere è cenere
per sempre. Dunque, bruciate i vostri tratti ignobili, i vizi, le
cattive abitudini; adorate Śiva purificandovi nei pensieri, nelle parole
e nelle azioni.
Śiva viene adorato con le foglie trilobate di bilva10 poiché Egli è
immanente nei tre mondi, nelle tre fasi del tempo, nei tre attributi
della natura, i guṇa. Egli rimuove i tre tipi di dolore, non ha altro
fondamento che Sé stesso, è la sorgente della beatitudine, è l’Incarnazione
della dolcezza e del nettare dell’immortalità. Poiché
ogni essere è della stessa essenza di Śiva, e senza Śiva sarebbe solo
un cadavere, l’uomo deve vivere all’altezza di quello stato divino.
[9] Gli studiosi delle sacre scritture e i paṇḍit, che diffondono il
dharma nel nostro Paese, rendono un pessimo servizio poiché mettono
in dubbio proprio la maestà del Divino. Svāmī Karunyānanda
ci ha parlato ora dell’episodio in cui Brahmā divenne geloso di
Kṛṣṇa e gli rubò le mucche e i mandriani per confonderlo e turbarlo,
ma Kṛṣṇa creò lo stesso numero di mucche e mandriani, perfettamente
identici a quelli scomparsi, neutralizzando così il complotto
di Brahmā.
La gente che ascolta queste storie è indotta a domandarsi come gli
Dei possano essere invidiosi l’uno dell’altro proprio come gli esseri
umani, e la loro fede nel Divino viene in tal modo compromessa.
Questo accade perché gli studiosi sono più intenti a esibire la
loro conoscenza dei sacri testi che a rivelare la gloria di Dio, e non
si rendono conto dei danni che provocano proprio a quella causa
che vorrebbero patrocinare.
[10] Alcuni anni fa, una donna anziana che abitava in un villaggio
mise in vendita un appezzamento di terra; con il ricavato si fece
fare quattro braccialetti d’oro, due per ogni braccio. Ogni giorno li
indossava con grande soddisfazione e girava per le strade del paese
tutta orgogliosa del suo nuovo acquisto; tuttavia era delusa
perché nessuno nel villaggio si fermava a guardare i suoi bracciali.
Anche se non li avesse indossati, i suoi compaesani non avrebbero
notato niente di diverso in lei; in vari modi tentò di attirare la loro
attenzione sui braccialetti, ma senza successo. Quell’indifferenza
le pesava così tanto che una notte non riuscì a dormire, finché le
venne un’idea brillante che, secondo lei, avrebbe indotto con successo
gli abitanti del villaggio ad accorgersi dei suoi gioielli.
La mattina seguente, dopo l’alba, appiccò il fuoco alla sua casa!
Vedendo le fiamme alte, ci fu un grande scompiglio e la gente corse
davanti alla casa in fiamme. La donna agitava pietosamente le
mani di fronte ai paesani spaventati, gridando: “Ahimè, la mia casa
sta bruciando! Oh che sventura! Dio, non vedi il mio dramma?”
E intanto faceva tintinnare i bracciali che splendevano alla luce
delle fiamme. A ogni esclamazione, tendeva le braccia enfatica-
mente verso qualcuno in modo che questi non potesse non vederli.
Che follia! Era così ansiosa di mostrare i suoi gioielli che non si
preoccupava dell’incendio. La casa era ormai in fiamme, ma la
donna era contenta che i suoi braccialetti venissero notati.
Analogamente, i paṇḍit che sono tutti presi dall’ammirazione per
la loro abilità sono stolti quanto quella donna.
[11] Non dite e non fate nulla che getti il discredito sulla cultura
indiana, o che comprometta la fede degli altri nella bontà e in Dio.
Non proclamatevi ortodossi mentre incoraggiate l’eresia o l’eterodossia.
Accantonate il desiderio di avere felicità e prosperità, e
non lamentatevi di non riuscire a ottenere il paradiso. Non importa
se siete oppressi dalle difficoltà, ergetevi coraggiosamente in difesa
dell’onore del vostro Paese: questo vi conferirà tutta la felicità,
la prosperità e la grazia a cui anelate.
La cultura indiana insegna che tutti gli esseri sono attivati dallo
stesso Potere divino, sono benedetti dalla stessa Grazia divina.
Dunque, amate tutti, non sviluppate la gelosia né l’odio. Molti
aspiranti spirituali godono di perfetta calma ed equanimità mentre
sono seduti in meditazione davanti all’altare della sala di preghiera,
ma appena si alzano ed escono si comportano come demoni.
La Gītā afferma: ‘…satataṁ…yoginaḥ’ – ovvero ‘Siate nello yoga,
sempre’. Siate immersi nell’amore senza traccia di orgoglio o invidia:
questa è la disciplina più elevata. Oggi, molti gruppi di persone
in tutto il mondo ricorrono alla violenza e all’odio per soddisfare
i loro desideri e le loro esigenze, provocando così paura, ansia,
terrore e rivoluzioni. I benefici che si ottengono con tali tattiche
sono di poco conto, invece saranno maggiori e più duraturi se
si segue la via dell’amore, della tolleranza e della pace. L’amore
riunisce la gente, l’odio la separa. Non potrete essere felici se causate
dolore agli altri.
Dio elargisce la Sua grazia quando si osservano i nove gradini della
devozione11. Anche i capi e i governanti possono essere persuasi
e conquistati con gli stessi mezzi: sacrificio, amore, devozione, dedizione
al dovere. Quando il successo è ottenuto per mezzo di disordini
e violenza, potrà essere mantenuto e prolungato solo con
ulteriori tumulti e agitazioni.
Pertanto, ecco la lezione di śivarātrī per voi: Śiva è in tutti gli esseri
e in tutte le cose: è l’Animatore interiore. Siatene sempre consapevoli;
non provocate dolore a nessuno, non fate del male, non offendete
nessuno e non ferite nessuno nel suo amor proprio. Amate
tutti allo stesso modo, coltivate la tolleranza e diffondete sentimenti
di fraternità.

Praśānti Nilayam, 20.02.1974