10 Marzo 1974
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La seconda visita
[1] Incarnazioni del divino ātma! Mi rivolgo a voi così, affinché
possiate richiamare alla mente, almeno occasionalmente, le nobili
verità custodite per voi dalla cultura di Bhārat; meditate sulla sua
vastità e profondità e traetene forza e conforto: tale è il vostro privilegio.
L’avatār è venuto a richiamare la vostra attenzione sulla profondità
e sull’utilità del dharma, che Bhārat ha sostenuto per secoli, ma che
ora viene trascurato e dimenticato proprio dai figli di questa terra.
Bhārat era il fulcro spirituale da cui il messaggio di pace eterna e
amore universale si era diffuso in tutto il mondo, ma oggi il Paese
è stretto nella morsa della paura e dell’ansia, dell’odio e dell’avidità.
Il modo in cui l’uomo vive i suoi giorni è assurdo; anela alla felicità
e ne va in cerca in ogni direzione, ma quando si rende conto
che la felicità, anche se raggiunta, è solo un lampo in mezzo a tanta
sofferenza, comincia a maledire sé stesso e gli altri.
Nonostante tutti i testi sacri, i santi di ogni Paese e fede, i maestri e
i predicatori abbiano proclamato che soltanto Dio è la fonte della
felicità duratura, l’uomo non presta ascolto a quell’ammonimento
e continua a percorrere il suo vicolo cieco.
[2] Una sera un ragazzo stava andando in bicicletta lungo una
strada affollata; un poliziotto gli fece segno di fermarsi perché la
bicicletta non aveva neppure un fanale, ma il ciclista, per contro,
gli gridò: “Spostati! Non ho la luce, ma sta attento, non ho neppure
i freni!” Oggi, questa è la pietosa condizione di tutti: nessuno ha
la luce della saggezza né i freni del controllo dei sensi; com’è possibile
quindi percorrere la via di ānanda, della beatitudine divina,
senza fare del male a sé stessi o agli altri?
Come il ciclista deve disporre di luce e freni, così anche l’uomo ha
bisogno della saggezza e dell’autocontrollo, altrimenti è certo di
sprecare quest’occasione di salvarsi.
L’uomo è stato mandato nel mondo affinché possa utilizzare
l’opportunità e il tempo per realizzare che non è un uomo, bensì
Dio. L’onda danza con il vento, si scalda al sole, si muove allegramente
sotto la pioggia e immagina di giocare sulla superficie
del mare, non sa di essere lei stessa il mare. Finché non realizzerà
quella verità, sarà sbattuta su e giù, ma quando lo capirà, potrà
stare calma e raccolta, in pace con sé stessa.
[3] Cibo, vestiario, riparo sono marginali; più ne possedete, più ne
derivano malattie, seccature, ansie, paure; in ogni caso, nulla potrà
salvarvi dalla morte, quando dovrete lasciare tutto e scomparire
dalla scena. Se sarete buoni, se avrete servito il prossimo al meglio
delle vostre capacità e donato amore a tutti, il vostro nome resterà
nella memoria degli uomini nonostante voi non ci siate più. Quello
è il monumento marmoreo a cui potrete legittimamente aspirare
e per cui lavorare, ma è vostro dovere servire il prossimo ed essere
buoni sia che veniate onorati o disprezzati.
Cosa dite al vostro maestro o guru? ‘Io voglio la liberazione!’ oppure
‘Io voglio la beatitudine!’ – non è vero? Bene, i mezzi per ottenerle
sono nelle vostre mani. La liberazione e la beatitudine sono
già vostre, imballate tra la copertura superiore della scatola (ovvero
‘io’) e quella inferiore (‘voglio’). «Io» significa l’ego, mentre
«Voglio» è il desiderio. Scartate i due involucri, l’ego e il desiderio,
e ciò che resta è la liberazione, la beatitudine. Per eliminare i due
involucri occorre l’intelligenza; ecco perché Gandhi girava per il
Paese recitando la preghiera ‘Oh Signore, dona a tutti una buona
intelligenza!’
L’intelligenza va indirizzata verso buoni fini, per scoprire modi e
mezzi di espandere il proprio amore e intensificare la propria
compassione; non deve degradarsi al cinismo, o a ricercare le colpe
altrui. Se si ha una rosa, il suo profumo darà gioia sia a chi la
tiene in mano sia a chi si trova vicino; allo stesso modo, se la vostra
intelligenza è satura del profumo della virtù e della carità ne
ricaverete soddisfazione e gioia, e anche chi vi sta vicino potrà
condividere la pace e l’armonia.
[4] Era il lontano 1949 quando venni per la prima volta a Sandur.
A quell’epoca non c’era la possibilità come oggi d’incontrarvi in
così vasto numero per parlarvi di elevati principi spirituali. Ma
ogni cosa a suo tempo, come si suol dire. Un fiore sboccia, ma passerà
molto tempo prima che diventi un frutto e si colmi di dolce
succo. Nasce un bimbo, ma ci vuole tempo prima che diventi un
componente della società, forte e intelligente. Sono contento di essere
venuto qui oggi e di aver potuto incontrare e benedire tante
migliaia di persone di Sandur.
Sandur, 10.03.1974