1 Marzo 1974
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Cellule del corpo di Dio
[1] La sociologia o le scienze sociali che cosa hanno a che fare con
la scienza dello spirito o con l’indagine sullo spirito umano? È una
domanda che viene posta di frequente. Inoltre molti chiedono: “Lo
studente e l’aspirante spirituale che cosa hanno a che fare con la
società e i suoi problemi?” Devo dire che entrambi gli atteggiamenti
sono sbagliati.
Nessuna società può trovare il suo compimento, nessun ideale sociale
può dare frutto, se lo spirito dell’uomo non fiorisce. L’umanità
non potrà realizzare la Divinità, di cui è espressione, se non dedica
costante attenzione all’educazione dello spirito. Come può la
Divinità esprimersi se non attraverso gli individui?
Noi riusciamo a comprendere solo il mondo, questo frutto della
fantasia mutevole e impermanente; non riusciamo a vedere, udire,
annusare, assaporare o toccare il Regista della fantasia, Dio. Allo
stesso modo, riusciamo a capire l’individuo ma non l’entità chiamata
società, che non è un complesso separato e distinto formato
dai componenti degli elementi: la società è l’emanazione divina
prodotta dalla Volontà Suprema.
[2] L’uomo è mortale, è polvere e in polvere ritornerà, ma in lui
risplende l’ātma, la scintilla della fiamma immortale; non si tratta
di un’adulazione inventata dagli studiosi del vedānta: l’ātma è la
sorgente, il sostegno di ogni essere e di ogni associazione di esseri.
È l’unica e sola sorgente, sostanza e supporto. L’ātma è Dio, il particolare
è l’universale, niente di meno!
Pertanto, riconoscete in ogni essere e in ogni uomo, un fratello, un
figlio di Dio, e ignorate tutti i pensieri e i pregiudizi restrittivi che
si basano sulla condizione sociale, colore, classe, nascita e casta.
Sai è sempre impegnato ad ammonirvi e a guidarvi affinché possiate
pensare, parlare e agire con un’attitudine d’amore.
La società non è giustificata se pianifica di spartire, in parti uguali
o diverse, il bottino defraudato alla Natura. L’obiettivo che deve
ispirare la società, in ogni sua iniziativa, è la conoscenza del Sé,
uno e universale, nonché la gioia che tale conoscenza può conferire.
Sai non dà istruzioni come: “L’ātma non ha morte, quindi potete
uccidere gli involucri fisici, i corpi.” No, Sai non incoraggia le
guerre, v’insegna a riconoscere l’ātma come il vostro parente più
stretto, ancor più vicino di ogni familiare, dei consanguinei e dei
discendenti più cari. Se lo fate, non devierete più dal sentiero della
rettitudine che è l’unico in grado di preservare quella stretta parentela.
[3] L’attaccamento alla famiglia può impedire persino il corretto
svolgimento del proprio dovere, mentre l’attaccamento a Dio colma
quel dovere di una nuova dedizione che assicura gioia e successo;
inoltre attiva l’uomo come nient’altro può fare e, mentre
compie il suo dovere, gli conferisce la più alta saggezza. Da qui
deriva il consiglio: ‘Non immergetevi in prakṛti, nel mondo fenomenico
e oggettivo, nella speranza di realizzare l’ātma; entrate nel
mondo solo dopo aver acquisito la consapevolezza dell’ātma, perché
allora vedrete la creazione in una nuova luce, e la vostra vita
diverrà un ininterrotto festival d’amore.
Molti usano l’intelligenza e l’erudizione, anche quella vedica, per
confrontarsi in dibattiti noiosi e competitivi; sono così innamorati
dei loro meschini trionfi che ritengono la società un’arena ove
conquistare simili successi. Ma Sai v’invita a realizzare e a rafforzare
un altro tipo di società, in cui non vi sia spazio per queste frivole
ambizioni.
I cavillosi paṇḍit vedici ambiscono a ottenere i frutti dei loro sforzi
attraverso i riti. La Natura invece non fa così; le nubi portano la
pioggia come omaggio a Dio che è il loro Signore, ma alcuni studiosi
l’attribuiscono all’efficacia dei loro riti e se ne servono per
gonfiare l’ego; così si trastullano in mezzo ai lunghi rami dell’albero
del desiderio, e s’ingarbugliano nell’intrico dei tre ‘lacci’: tamasico,
rajasico e sattvico.
Voi dovete andare oltre i tre guṇa, le tre catene; dovete essere sempre
saldi nell’immutabile, eterna Verità e stabilirvi nell’Uno, dovete
essere come l’Uno, senza traccia né sfumatura del due. Guadagnare
e accumulare non devono interessarvi, non dovete lasciarvi
catturare dalla ricerca del benessere, poiché voi siete già pieni,
completi e non avete bisogni.
[4] L’obiettivo di raggiungere un alto tenore di vita, invece di una
vita di alto livello, ha provocato confusione e caos nella società.
Un alto livello di vita si basa sulla moralità, l’umiltà, il distacco e
la compassione; l’avidità competitiva per il lusso e il consumismo
non viene quindi incoraggiata, anzi viene soppressa.
Oggi, l’uomo è schiavo dei propri desideri, è incapace di placare la
sua sete per il piacere e per il lusso, è troppo debole per tenere sotto
controllo i suoi impulsi e non sa come risvegliare la coscienza
divina latente in lui.
Semplici regole e insegnamenti morali non vi aiuteranno a raggiungere
tale obiettivo, sarà possibile solo con la disciplina spirituale;
infatti si tratta di una trasformazione di base che implica
l’eliminazione della mente, che rappresenta il maggiore ostacolo
lungo il percorso. La grazia di Dio, se la invocate e la conquistate,
può conferirvi tale potere perché è dentro di voi, in attesa della
vostra chiamata.
L’uomo deve smettere di affidarsi ai bizzarri capricci della mente,
deve agire sempre nella consapevolezza della propria innata Divinità;
se lo farà, la sua triplice natura, composta dai tre guṇa o attributi,
si esprimerà automaticamente solo attraverso canali nobili
e degni.
[5] Si potrebbe sollevare un’altra obiezione: se occorre abbandonare
il desiderio per le comodità, il lusso e i piaceri, perché impegolarsi
nella società? Ciò presuppone che la società trovi una giustificazione
solo se fornisce tali piaceri materiali; ma che società si
può costruire su fondamenta così fragili? Sarebbe comunque una
società solo di nome, non unita dal reciproco amore e dalla cooperazione:
il forte soffocherebbe il debole, le relazioni sociali sarebbero
guastate dall’insoddisfazione, e se anche si cercasse di dividere
equamente tra tutti le risorse naturali, la cordialità sarebbe
solo superficiale e non spontanea.
Possiamo controllare le risorse disponibili, ma non riusciamo a ridurre
l’avidità, il desiderio, la brama; il desiderio induce a cercare
oltre i limiti del possibile. Pertanto è necessario strappare il desiderio
alle radici, abbandonare il desiderio per i piaceri oggettivi,
basati sull’illusione che il mondo sia costituito dai ‘molti’, sia molteplice,
multicolore, e non sia fondato sulla Verità che mondo,
natura, manifestazione sono Uno. Se si è consapevoli solo dell’Uno,
chi può desiderare qualcos’altro? Cosa può essere acquisito
o goduto da una seconda persona? La visione atmica distrugge il
desiderio per le gioie oggettive perché non c’è oggetto distinto dal
soggetto.
[6] Ecco qual è la vera funzione della società: permettere a ogni
suo componente di realizzare la visione atmica. Uomini e donne
legati da mutui interessi in una società non sono solo delle famiglie,
classi o gruppi: sono un solo Sé, sono uniti dal più stretto legame
familiare. Non solo la società a cui si sentono legati, ma tutta
l’umanità è Uno. Le sacre scritture dichiarano che l’intero mondo è
una sola famiglia, e tale unità deve diventare l’esperienza di tutti.
Le risorse naturali e la ricchezza vengono oggi utilizzate per l’accrescimento
del proprio ego, ma se si realizza l’unità atmica, promuoveranno
un nuovo modo di vivere attraverso l’amore.
Ciò che oggi è carità o mutuo soccorso verrà trasformato in amore
divino che purificherà efficacemente sia il beneficiario sia il donatore.
Questo coronamento va al di là della politica, dell’etica e dell’economia,
che non sanno trasformare il beneficiario né entusiasmare
il donatore, per quanti sforzi facciano per creare parità. Sul
rapporto di uguaglianza che può stabilirsi, graverà comunque
l’ombra dell’ego che scomparirà soltanto se si comprende e si percepisce
l’identità come Uno.
Si potrebbe affermare che non tutti i desideri siano fuori luogo;
quelli rajasici che fanno del male o sfruttano gli altri devono essere
condannati. Ma si deve rinunciare anche ai desideri sattvici? Il desiderio
è in ogni caso un desiderio, anche se l’oggetto agognato
può essere benefico e puro. Il frutto dello sforzo, la mente che lo
persegue, la vitalità che attiva la mente, la vita stessa, tutto deve
essere offerto al Signore con quella devozione che scaturisce dalla
visione dell’Uno.
[7] Chi asserisce che la via spirituale riguarda solo l’individuo, e
che la società non deve esservi coinvolta, commette un grave errore;
è come dire che deve esserci luce dentro casa, e che non importa
che fuori sia buio. La devozione per il Signore non va d’accordo
con l’odio per il prossimo. Il prossimo e il mondo vanno sempre
visti nello specchio di sat-cit-ānanda. Solo una relazione di parentela
fondata su tale riconoscimento sarà duratura, e questo è il legame
di parentela con Sai. Se voi approfondite un tale sentimento
di appartenenza, la costante presenza di Sathya Sai sarà sempre
con voi. Non lasciatevi fuorviare dalle vostre fantasie e non perdetevi
in una giungla di parole e sensazioni; siate fermi, fedeli alla
vostra natura interiore.
Il bene e il male si basano sulle reazioni degli individui, non sono
insiti nelle cose o negli eventi. Il vedānta o l’ateismo sono accettati
o respinti a seconda che si provi simpatia o antipatia, ma non si
tratta di un’accettazione o di un rifiuto logici e coerenti. Solo
l’esperienza può stabilirne la validità. Chi può affermare che Dio
sia così e così? Chi lo fa indugia in una pratica sciocca e inutile,
senza avere l’autorità di fare dichiarazioni; se ne rivendica il diritto,
allora si tratta di qualche presuntuoso che si affida al suo limitato
intelletto.
La Divinità è pienamente immanente in tutti, e si palesa agli occhi
che vedono con amore e con profondità. Chi la nega inganna semplicemente
sé stesso circa la propria Realtà, che non può rifiutare
con una semplice negazione, sua o di altri.
[8] È dunque inevitabile la conclusione che è dovere dell’uomo
vedere nella società l’espressione della Divinità; egli deve usare
tutti i suoi talenti per promuovere il benessere e la prosperità della
società. L’uomo deve coltivare un sentimento di espansione, un
pensiero onnicomprensivo [il tutto nell’Uno], una visione intuitiva.
Se non possiede queste tre qualità, è solo un essere inerte e, se le
deride, perde il diritto di essere chiamato uomo.
Spirito di rinuncia, aderenza alle virtù, volontà di cooperare, sentimento
di affinità: questi sono i segni caratteristici dell’uomo. Se
in una vita questi segni sono visti come oneri, non può essere considerata
vita. La fraternità tra gli uomini può essere applicata alla
propria vita solo se si ha una visione atmica.
Tutti gli uomini hanno sete di pace, felicità, beatitudine; è la preziosa
eredità che spetta loro di diritto poiché fa parte del tesoro di
Dio, e può essere acquisita solo riconoscendo il legame che unisce
l’uomo all’uomo.
Tutti appartengono a un unico lignaggio: il lignaggio divino. Tutti
sono cellule dell’unico organismo divino, il Corpo di Dio. Questa
deve essere la vostra fede, la vostra fortuna, la forza, la pienezza.
Soltanto tale consapevolezza vi darà il diritto di chiamarvi uomini:
imparate quindi a vivere come uomini! Questa è la disciplina
spirituale, è il messaggio di Sai!
Bṛndavan, 01.03.1974