1 Aprile 1974
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La poesia dell’Amore
[1] In previsione delle piogge, al momento giusto, secondo le
esperienze proprie e dei suoi antenati, il contadino prepara i campi
con l’aratro e l’erpice; poi, quando le piogge arrivano e intridono
i solchi, egli semina affinché i semi possano germinare e spuntare
dal terreno.
Se ritarda o trascura di farlo, come può ottenere il raccolto? Quando
le messi sono pronte, se non prepara e lega insieme i covoni
per portarli a casa, come potrà riempire il granaio di provviste?
La pioggia è il dono di Dio; l’uomo può solo pregare per averla e
propiziarsi Dio con la retta condotta. Arare, seminare, sarchiare e
raccogliere sono le discipline che l’uomo deve seguire per meritare
la grazia e avere la forza di ringraziare Dio dei Suoi doni.
Senza Dio, la vita è come una scuola senza maestro, come un cavo
elettrico senza corrente, come un corpo senz’anima. Dio è in noi,
attorno a noi e al di fuori di noi; come l’aria è impercettibile in assenza
di brezza o di cose che essa possa muovere, così anche Dio
può essere riconosciuto solo attraverso la Sua manifestazione negli
uomini, animali, piante, uccelli, cose ed esseri che ci circondano.
Nessuno conosce ancora il mistero dell’energia elettrica, perché si
comporti così, quale sia esattamente la natura della sua origine e
del suo fluire, eppure essa viene impiegata in migliaia di applicazioni
e si manifesta attraverso mille dispositivi e strumenti.
[2] Anche Dio è presente ovunque, ma noi riusciamo a comprendere
solo quella parte di Lui che si manifesta alla nostra percezione.
La gente comune crede che la terra non si muova affatto, infatti,
poeticamente, essa è presa a simbolo della stabilità; invece, ha due
movimenti, entrambi incredibilmente veloci: ruota sul proprio asse
a una velocità superiore a mille miglia l’ora e, mentre ruota così,
gira attorno al Sole a una velocità impressionante senza che noi
lo notiamo.
Anche Dio è una realtà sempre presente in noi e in ogni essere, ma
noi non lo notiamo, così come non ci accorgiamo del movimento
della terra. Dobbiamo intuire Dio attraverso le prove e le evidenze
della Sua provvidenza, della Sua grazia, maestà e gloria, così come
dobbiamo dedurre i movimenti della terra, della luna e delle stelle
osservando il cielo, le stagioni e il preciso susseguirsi del giorno e
della notte.
Non possiamo descrivere Dio con il vocabolario appreso in questo
mondo; dobbiamo fare esperienza della beatitudine che deriva dal
realizzare che Egli è il nucleo, l’essenza del nostro essere.
L’uomo è dotato di un senso di meraviglia e di timore reverenziale
che lo induce a diventare un karma yogi, uno jñāna yogi o un bhakti
yogi1. Se sopprime, ignora o trascura tale senso di meraviglia, rimane
coinvolto nel mondo materiale, nelle necessità fisiche, nelle
occupazioni materiali e comincia ad adorare il denaro allontanandosi
dal buono, dal giusto e dal bello. Così baratta il calice della
beatitudine per una manciata di polvere.
[3] Oggi abbiamo qui alcuni poeti che ci presentano le loro poesie,
perciò sono tentato di dire loro qualcosa sulla loro arte. I poeti
moderni sono in prima fila tra coloro che considerano Dio morto,
o alla stregua di un oggetto decorativo, se non addirittura un intralcio
o un fastidio. Propinano ai loro estimatori dei dolci versi
avvolti in slogan alla moda e frasi accattivanti; non s’interessano
mai ai supremi valori della vita o agli ideali permanenti. La loro
poesia si occupa di oggetti esteriori, emozioni sensuali e di banali
inutilità; è solo superficiale e vacua.
La vera poesia scaturisce dalla chiamata del Dio interiore per
esprimersi in un linguaggio sublime, e dona continua gioia sia al
poeta sia al lettore; non fa diminuire la propria stima del mondo e
del suo Creatore. I lettori devono sentirsi attratti a rileggere la
poesia più volte e, ogni volta che la scorrono e riflettono sui suoi
versi, nuove prospettive di significati devono affacciarsi alla loro
mente. Solo così la poesia potrà essere valida per tutti i tempi e
per tutti gli uomini.
I poeti devono per prima cosa scoprire Dio, poi diffondere la loro
estasi tra coloro che hanno sete di quella beatitudine. Chi non
prova quella sete nel profondo del proprio essere? Tutti si trovano
in esilio e si struggono per tornare alla propria dimora in Dio.
Il pellegrinaggio verso Dio può avvenire senza incidenti, veloce e
sicuro, grazie alla presenza di ‘poeti giusti’. Un cieco o uno storpio
non possono guadare un fiume da soli; lo storpio può montare
sulle spalle del cieco e guidarlo nella traversata poiché dispone
dell’occhio, mentre l’altro ha la capacità e la forza. Il poeta dispone
dell’occhio ricco di esperienza, conosce il percorso, sa evitare le
insidie e può aiutare gli altri incoraggiandoli e stimolandoli.
[4] Analogamente, una persona non può, da sola, acquisire la conoscenza
e la saggezza spirituale o scoprire la via per realizzare lo
spirito in sé stessa. Il poeta è il guru per gli aspiranti sinceri, deve
essere consapevole del suo nobile ruolo, così come lo erano i saggi
veggenti dell’antichità, e deve prepararsi a ricoprire quell’elevata
posizione.
Quando vi parlo, Io non mi fermo a esaminare se stia rispettando
le vostre regole di grammatica: le parole sgorgano dal cuore piene
d’amore divino; il cuore rende dolci e leggiadre tutte le parole. Parole
e modi dolci inducono ad azioni e a reazioni dolci.
Riempite il cuore d’amore, e le parole che ne usciranno saranno
colme di vitalità e forza. Non c’è potere più efficace dell’amore! La
grammatica dell’amore fa sì che le parole entrino nel cuore di chi
le ascolta e induca all’accettazione, all’apprezzamento e all’azione.
I balbettii di un bimbo non seguono la grammatica, ma conquistano
l’amore della madre. Rāmakṛṣṇa Paramahaṃsa non conosceva
la parola ‘pensione’; una volta, egli disse ‘pens’ invece di ‘pensione’
e Svāmī Vivekānanda intervenne dicendo la parola corretta,
ma Rāmakṛṣṇa ribatté che la parola non era importante: era sufficiente
che fosse compreso quello che s’intendeva comunicare.
L’idea che s’intende comunicare è il vero valore; il linguaggio che
la riveste ha un interesse solo superficiale. Io voglio che assorbiate
l’idea, perciò voglio che i poeti trasmettano la pura essenza, non
solo belle parole.
Se voi comprendete la sostanza di ciò che trasmetto, allora potrete
diventare autentici devoti e aspiranti spirituali e progredire lungo
la via della realizzazione del Sé.
Oggi, ci sono devoti a milioni e ogni giorno aumentano di numero;
avrete forse notato che anche i ‘Sai Baba’ sono diventati molto
numerosi, come pure quelli che pretendono di avere relazioni particolari
con Me, che sostengono che Io li abbia benedetti a profusione
e li abbia autorizzati ad andare fra i devoti per la raccolta di
fondi e donazioni!
I veri devoti non avanzeranno mai simili pretese assurde né daranno
ascolto a quelle fatte da altri. Un vero devoto sarà costante
nella fede, indipendentemente dagli alti e bassi della fortuna, e
pregherà il Signore, non per ottenere oggetti materiali o per soddisfare
i suoi desideri secolari, ma per conseguire la felicità ultraterrena.
I Pāṇdava erano autentici devoti, tanto che Kṛṣṇa dichiarò
che Egli risiedeva nel cuore dei cinque fratelli e della loro regina
Draupadī. Essi sono un vero esempio per l’umanità, in questo Kali
Yuga.
Invito tutti a coltivare il puro amore poiché Io sono prema, Amore
divino, e quando voi manifestate amore, state solo esprimendo
Me: Colui che risiede nel vostro cuore.
Hyderabad, 01.04.1974