[1] Da tempo immemore, le scritture e le esperienze dei Santi e dei ricercatori concordano nel dichiarare che esiste un unico Supremo Residente in tutti gli esseri, Uno soltanto. Solo al raggiungimento di tale realizzazione si possono ritenere concluse tutte le distinzioni tra devoto, oggetto della devozione e strumenti della stessa. Prahlâda, il più gran devoto della Divinità Suprema, dichiarò nel Bhâgavata “Perché dubitare e discutere se Egli sia qui o là? Cercatelo in ogni luogo, e proprio lì lo troverete.” Egli è vicino e lontano, davanti, dietro, di fianco ed in ogni cosa del mondo conosciuto e sconosciuto. Alcuni si azzardano a descriverlo in questo o quel modo, il che rivela soltanto la loro facoltà d’immaginazione; nessuna descrizione può pienamente esaurirlo o definirlo. Simili descrizioni si basano, infatti, su esperienze relative al mondo esterno e transitorio, e verranno superate, quando si conquisterà la diretta realizzazione della più alta Beatitudine.
[2] Comprendere l’Intero ed Eterno è al di là dell’intelligenza e dell’immaginazione umana; proporzionalmente allo sviluppo di tali facoltà, l’uomo tenta di dipingere la Grande Magnificenza e di localizzarla in Ayodhyâ o Dvârakâ o in altro luogo, attribuendole nome e forma, in modo da poterla avvicinare ed adorare. L’uomo può anche venerarla come Intero, ma come può una frazione essere l’Intero? Come può una sola sfaccettatura essere l’intero Diamante? Considerate ogni frazione degna di pregio e di stima: non deridetela in quanto incompleta. È impossibile esperire il Completo ed esprimere tale esperienza. Anche le frazioni costituiscono dei fatti; condividono lo splendore e la gloria e sono sostenute dalla stessa fonte.
[3] Quando l’intero è visto come una parte, l’interezza non subisce diminuzioni. Râma, Krishna, Vishnu, Shiva sono Nomi e Forme dell’Uno dai molti volti; quando vi concentrate su una manifestazione, le altre non sono trascurate o negate. Quando il devoto s’immerge nella corrente di beatitudine, che gli deriva da una particolare Divinità, si tuffa nel medesimo oceano di beatitudine che è l’Intero stesso. Le acque dell’oceano non sono divise da linee, che delimitano la regione di questo o quel Dio. Tuffatevi in qualsiasi punto e v’immergerete nella stessa Beatitudine.
[4] Tutta la diversità è data dal gioco del Nome e della Forma. Se non ci fosse la molteplicità dei nomi, che differenziano gli uni dagli altri e la vasta fantasmagoria di forme, che identificano, la conoscenza dei molti sarebbe impossibile; se così fosse, tutto verrebbe visto, sentito e sperimentato come Uno, come effettivamente è. Per ricordare all’uomo tale fondamentale Unità e per evitare che si perda nei conflitti e nella complessità della molteplicità, l’Uno assume Nome e Forma e viene tra gli uomini come Avatâr (Divinità incarnata in forma umana). L’uomo è attratto dall’Avatâr mediante la Grazia e l’Amore ed è condotto sul sentiero, che gli conferirà la visione dell’Intero, dell’Uno.
[5] L’Uno può essere meglio definito come Prema, Amore Divino, giacché la Natura è immersa nell’Amore, tutti gli esseri sono legati dall’Amore, sono attratti dall’Amore, che è in tutto; l’Amore è di tutti, l’Amore è tutto. Esso si esprime come affetto, comprensione, attaccamento, fratellanza, lealtà, venerazione, adorazione e patriottismo. Advaita (non dualismo) afferma che l’Uno è inseparabile ed unico; Dvaita (dualismo) si focalizza sull’eccellenza dei suoi Nomi e delle sue Forme. Visishtâdvaita (dualismo qualificato) considera i Nomi e le Forme come parte integrante dell’Uno. Tutto rivela la Sua Gloria.
[6] Il metodo per raggiungere l’Uno e fondersi nella Sua Gloria è l’adorazione, che sorge quando si è raggiunta la consapevolezza di quella gloria; poi segue un processo continuo chiamato Sâdhana, disciplina spirituale. All’inizio l’adorato e l’adoratore sono diversi e lontani, ma in seguito essi si fondono e diventano sempre più integrati, poiché l’Individuale e l’Universale sono fondamentalmente Uno. L’onda deve sentire l’ardente struggimento di perdersi nel mare, senza altro desiderio di natura inferiore o altro obiettivo. La fusione conferisce piena soddisfazione; l’ego sarà dissolto, tutti i segni ed i simboli di particolarità quali nome, forma, casta, colore, credo, nazionalità, chiesa, setta, con tutti i diritti e doveri pertinenti, svaniranno.
[7] Per gli individui così liberati, che hanno dissolto il loro ego, l’unico impegno possibile sarà l’elevazione dell’umanità e la prosperità del mondo. Il loro stato di beatitudine influirà beneficamente il mondo, senza consapevole sforzo da parte loro. Essi diventano Amrtasvarûpa, Incarnazioni dell’Immortalità, cioè della più dolce beatitudine. Sforzatevi di raggiungere simile obiettivo e di svolgere tale servizio per il mondo.
(Giugno 1967.Messaggio all’Associazione Divyajîvana)