Aprile 1973
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Tutti sono prigionieri
[1] Gli uomini, ovunque siano, sprecano gli anni preziosi loro concessi
sulla terra in tre attività sterili e vane: vantarsi, incrementare
i propri interessi e cercare il prestigio a tutti i costi. Inoltre si compiacciono
di diffamare gli altri e macchiarne la reputazione, dare
cattivo esempio ai buoni e adulare i cattivi, parlare in modo frivolo
e irresponsabile, alimentare le fiamme dell’odio e gettare fango
indistintamente, senza curarsi del male fatto.
Gli uomini cercano di sapere tutto di tutti, ma non si sforzano di
conoscere sé stessi. Lo sforzo per riconoscere ‘Colui che sa e conosce‘
è definito sādhanā o disciplina spirituale, e tale conoscenza è
detta ātma vidyā, la Conoscenza del Sé. L’uomo può vivere in pace
ovunque solo attraverso quella conoscenza perché, se sapete di
non essere altro che una scintilla del Divino e che tutti gli altri sono
le stesse scintille divine, allora guarderete tutti con riverenza e
vero amore, e il vostro cuore si riempirà di gioia suprema; in tal
modo le rivendicazioni dell’ego diverranno inefficaci.
L’uomo cerca la gioia in luoghi lontani e la pace in posti tranquilli,
ma la fonte della gioia è nel suo cuore, il paradiso della pace è in
lui stesso. Anche se cammina sulla luna, l’uomo porta con sé le
proprie paure, le ansie, i pregiudizi e le avversioni più forti. Abbiate
fede in Dio e nella correttezza di un vivere morale, allora
avrete pace e gioia, indipendentemente dalle vicende che il destino
vi presenterà.
[2] Bontà, compassione, tolleranza: attraverso queste tre vie si può
arrivare a vedere la Divinità in sé stessi e negli altri. Oggi la tenerezza
di cuore è biasimata da molti perché è considerata un segno
di debolezza, di viltà e stupidità; il cuore va indurito, costoro affermano,
per contrapporlo alla pietà e alla carità; ma su quella
strada incontrerete guerra, distruzione, rovina. Solo l’amore conferisce
felicità e pace durevoli. Solo il condividere può ridurre il
dolore e accrescere la gioia. L’uomo è nato per condividere, servire,
dare, non per arraffare.
Se sull’altare del vostro cuore deponete la fede in Dio come una
preziosa verità, saprete accettare con equanimità sia i duri colpi
del destino sia la buona sorte. L’uomo può acquisire la gioia più
grande e condividerla con gli altri, ma ora ha solo dolore e può
condividere con il suo prossimo solo quel dolore.
Un re donò a un boscaiolo una vasta piantagione di alberi di sandalo
per ringraziarlo dell’ospitalità che aveva ricevuto. L’uomo
non capì il valore di quel legno prezioso né si curò del profumo
che emanava dalle piante; in breve tempo abbatté tutti gli alberi e
li bruciò per vendere il carbone. La maggior parte della gente
spreca la propria vita, riduce il legno di sandalo in carbone e si rallegra
di quei pochi centesimi che ne ricava!
[3] Con la preghiera potete ottenere la grazia di Dio; la preghiera
vi salva dalla schiavitù dei sensi. Quando lodate Dio e sentite di
essere attivati dalla Sua Volontà, vi libererete da ira, ansia, invidia
e pregiudizi: tali passioni rovinano la salute fisica e mentale. Ogni
volta che avvertite in voi bramosia o risentimento, cercate di controllare
quell’emozione, trattatela come se fosse una malattia, trovate
la cura e dominatela.
Un monaco camminava lungo un sentiero nella giungla quando
venne raggiunto da una banda di uomini rozzi e primitivi che lo
coprirono di insulti. Prima di raggiungere il limitare della foresta,
egli si sedette su un masso e li incoraggiò a tirar fuori le cose peggiori
perché, disse, ad attenderlo c’era un gruppo di suoi devoti
che, infuriati per il loro comportamento, li avrebbero malmenati.
L’uomo è fondamentalmente amore, pace, gioia e verità. Egli è
l’incarnazione di tali valori, ovvero della Divinità, e deve comportarsi
solo secondo queste sue tendenze innate; invece vi sovrappone
i falsi tratti di «io» e «mio» macchiando così la sua personalità.
Come liberarsi di quelle macchie è il problema affrontato da
tutte le religioni, ovunque.
Il canto devozionale e la recitazione del Nome di Dio sono due eccellenti
metodi di purificazione. La mente deve concentrarsi sulla
dolcezza del Nome e addolcirsi di conseguenza. Queste pratiche
devono essere svolte con regolarità, come una vera e propria disciplina,
con la certezza che daranno dei buoni risultati; non devono
degenerare in una consuetudine meccanica inserita in un
programma quotidiano già intenso.
[4] La disciplina è la caratteristica peculiare del vivere intelligente.
I genitori non devono permettere che i figli sfuggano al loro controllo
e vaghino senza bussola né ancora.
Molti genitori viziano i loro figli e poi, in nome della libertà, lasciano
che essi scelgano i loro amici e gli svaghi; alcuni portano i
figli al cinema senza pensare alle impressioni che i film lasciano
sulle loro tenere menti. I genitori accolgono gli amici dei figli ma
non s’informano sui loro precedenti o sulle loro abitudini. Taluni,
addirittura, incoraggiano i figli a fumare e a bere, senza sapere che
un giorno dovranno pentirsene. In tal modo, essi esprimono con i
fatti di essere i nemici dei propri figli!
Amo i bambini; mi prendo cura di loro e dedico loro grande attenzione.
Do loro l’indicazione giusta al momento giusto e consiglio i
genitori di fare altrettanto. Insisto che osservino la disciplina, che
ubbidiscano ai genitori con riverenza, che siano moderati nel cibo
e nel gioco, che rispettino orari precisi per lo studio, il canto dei
bhajan, la meditazione, ecc. Raccomando anche alcuni atti di servizio,
per esempio, la cura dei malati.
[5] Condanno le chiacchiere inutili, una vita spesa nel lusso, le abitudini
nocive, le manie per i film e i fumetti dell’orrore, le amicizie
epistolari, un abbigliamento bizzarro e insolito, le acconciature
stravaganti concepite per attrarre su di sé l’attenzione, ecc. Con
queste usanze, i ragazzi e le ragazze scivolano gradualmente verso
condotte inique e immorali.
La disciplina vi addestra a far fronte alle delusioni; sapete che il
cammino della vita presenta alti e bassi, che ogni rosa ha le sue
spine. Oggi la gente vuole le rose senza le spine; la vita dovrebbe
essere una saga di piaceri sensuali, un picnic continuo ma, se questo
non si verifica, si arrabbia e accusa gli altri.
Se tutti si preoccupano solo dei loro piaceri, come può progredire
la società? Come possono sopravvivere i più deboli? “È mio, non
tuo!”- un tale senso di avidità è la radice di tutti i mali, e una simile
distinzione viene applicata persino a Dio! “Il mio Dio, non il
tuo! Il tuo Dio, non il mio!”
[6] Sono davvero molto felice oggi di aver potuto passare un po’
di tempo con voi, ragazzi della Casa di Correzione1. Trascorrere
qualche ora alla Presenza Divina è una fortuna ed è la ricompensa
dei meriti passati.
Qui state scontando le condanne per i reati commessi; in realtà,
tutti gli uomini stanno scontando delle condanne per lunghi o
brevi periodi, con lavori semplici o più duri, per espiare gli illeciti
e i crimini commessi nelle loro vite passate. Ogni caduta lascia un
segno, ogni errore dev’essere corretto, ogni peccato va purificato.
Tutti sono prigionieri perché, ovunque vadano, sono sempre accompagnati
da due poliziotti che osservano ogni azione. Solo chi
può muoversi da solo può dichiararsi libero, ma gli sbirri «io» e
«mio» non lasciano solo l’uomo; camminano al suo fianco, da ambo
i lati, ed esercitano la loro influenza sottile a ogni passo.
L’«io» afferma che voi siete il corpo, la mente, i sensi e l’intelligenza;
vi suggerisce di curare il corpo per aumentarne la forza e la
bellezza, di soddisfare le fantasie che attraggono la mente, di rincorrere
i piaceri evanescenti della lingua e degli occhi, vi dice che
la ragione è l’unico strumento per valutare la verità e sminuisce
l’intuizione e l’esperienza.
La mente v’insegna ad afferrare, acquisire e possedere, semplicemente
per la gioia del possesso e per la gioia di privare gli altri
delle loro cose di valore; ma la mente può essere anche usata per
liberarsi dai due ceppi «io» e «mio». Tenetela fissa su Dio, e quei
due scompariranno.
[7] Dovete esaminare ogni vostra azione per scoprire e accertarvi
se causerà dolore ad altri; se lo fa, astenetevi! Non fate agli altri
quello che non volete sia fatto a voi: questa è la ‘Regola d’oro’. Sì,
è il miglior esame per distinguere il bene dal male.
Se qualcuno possiede ciò che vi piacerebbe avere, non rendetelo
infelice rubandoglielo; sareste contenti se qualcuno vi portasse via
quello a cui tenete?
Imparate a servire il prossimo al meglio delle vostre capacità, a riverire
i genitori, gli insegnanti e gli anziani; essi si preoccupano
sempre del vostro progresso. Quando tornerete ai vostri villaggi,
entrate a far parte delle associazioni di servizio locali, impegnatevi
nel canto dei bhajan, nei programmi di servizio sociale e di studio
insieme agli altri membri dell’organizzazione.
Hyderabad, Carcere minorile, aprile 1973