[1] «Ogniqualvolta il Dharma, Rettitudine, è in declino e l’ingiu- stizia è in aumento, Io creo Me stesso, poiché la protezione della struttura spirituale dell’Universo fa parte del Sankalpa, Volontà Primordiale. Metto in disparte la mia essenza priva di forma ed assumo un nome ed una forma adatti al proposito per il quale vengo. Ogniqualvolta il male minaccia di distruggere il bene, Io devo venire per salvarlo dal declino».
[2] Il Signore non pretende che tutti gli uomini seguano un solo sentiero ed accettino una sola disciplina; ci sono molte porte per entrare nella Sua casa. La porta principale è comunque moha-kshaya, distruzione degli attaccamenti. Krishna esortò Arjuna a raggiungere ciò. Arjuna, tuttavia, si perse d’animo e si lasciò sfuggire dalle mani l’arco, in preda ad un attaccamento ingannevole. Krishna dovette dimostrargli che i parenti che egli aborriva uccidere, i precettori che desiderava vivessero, coloro che amava ed odiava, non erano altro che strumenti della Sua volontà, burattini mossi dalla Sua mano. Ciò alla fine distrusse ogni attaccamento ed egli riprese l’incarico senza più alcun attaccamento alle conseguenze. Tale episodio fece di lui il depositario della più gran lezione della storia, di valore incalcolabile sia per i teisti sia per gli atei, essendo entrambi attaccati alle conseguenze delle loro azioni. Tale attaccamento, in caso d’insuccesso, colorisce la loro ansia e raddoppia il disappunto. La distruzione degli attaccamenti è necessaria per i teisti e per gli atei, per poter ottenere gioia duratura. Entrambi non portano via di qui la benché minima parte delle loro acquisizioni, e possono guadagnarsi la gratitudine degli uomini solo attraverso il sacrificio e l’amore.
[3] Mohammed di Ghazni, che accumulò immensi tesori con le sue campagne contro l’India, morì di febbre. Egli diede istruzioni al suo ministro di trasportare il cadavere al luogo di sepoltura con ambo le mani sollevate, affinché tutti potessero vedere che l’imperatore, che aveva accumulato una ricchezza straordinaria, se ne andava all’altro mondo con le mani vuote. “Tutti devono sapere quanto è passeggero lo splendore che deriva dai possessi materiali” – disse negli ultimi istanti della sua vita.
[4] Quando l’albero della vita affonda le sue radici nella Realtà Atmica, l’immutabile, eterna, universale, immanente Entità della quale l’individuo è una scintilla, esso fiorirà rigoglioso producendo fragranti fiori di servizio amorevole, dolci frutti capaci di dare nutrimento e gioia a tutti, nonché la dolcezza della virtù, che renderà ogni boccone delizioso. Tutto ciò non significa che dovete rinunciare al focolare e alla famiglia per rifugiarvi nella foresta; non è certo che questi non vi seguano nel silenzio e nella solitudine della foresta, perché se la vostra mente mira a desideri mondani, non potete sfuggire loro solo allontanandovene. Potete essere nella giungla, ma la vostra mente può vagare per la piazza del mercato; oppure potete trovarvi al mercato, ma grazie alla disciplina spirituale, siete in grado di conservare un angolo di pace nel cuore anche in mezzo alla strada più affollata.
[5] La mente può costruire per voi un rifugio silenzioso oppure può aggrovigliarvi in complessi nodi. Essa lega, essa scioglie i legami. Potete navigare sicuri sul mare della vita, Samsâra, se la vostra barca non ha falle; ma attraverso le falle della lussuria, ira, avidità, illusione, orgoglio ed invidia le acque del Samsâra invaderanno la barca ed essa s’inabisserà, affogandovi senza possibilità di scampo. Non lasciate entrare acqua nella barca, fate in modo che tutte le falle siano ben chiuse. In tal caso non ci sarà motivo di aver paura del Samsâra: potrete trarre beneficio da tutte le possibilità che vi offre per addestrare i sensi, ampliare gli affetti, approfondire le esperienze e rinforzare il distacco.
[6] Se leggete il giornale potete vedere quanto pazzo sia il mondo, quanto futile sia l’eroismo, quanto momentanea sia la gloria; dopo averlo letto attentamente, lo gettate via e diventa carta straccia. Analogamente, vivete, ma che sia una sola volta; vivete, ma fate in modo di nascere una volta sola. Non innamoratevi del mondo al punto che le false infatuazioni vi portino nuovamente in quest’amalgama illusorio di gioia e dolore. Se non vi trattenete un po’ dall’invischiarvi nel mondo, sapendo che tutto è una commedia, di cui Dio è il regista, correte il pericolo di rimanerne coinvolti troppo pesantemente. Usate il mondo come un terreno d’addestramento per il sacrificio, il servizio, l’espansione del cuore e la purificazione delle emozioni. Ecco il suo unico valore.
[7] Quando cantate i bhajan soffermatevi sul loro significato e sul messaggio intrinseco di ogni Nome e Forma di Dio: Râma – il Nome dovrebbe evocare in voi il Dharma, che Egli incarnò e rivelò. Râdhâ (la pastorella più devota a Krishna) – il Nome dovrebbe evocare in voi l’Amore sovramentale e soprannaturale, che Ella ebbe come la più grande fra le Gopî. Shiva – il Nome dovrebbe ricordarvi il supremo sacrificio fatto per il bene del mondo, nel bere il mortale veleno Hâlâhala; la Grazia rinfrescante emessa dalla caduta del Gange ed il chiarore della luna crescente. Non perdete tempo inutilmente; fate che ogni momento diventi un canto dedicato a Dio. Tenete sempre ben presente lo scopo dei bhajan e della recitazione del Nome Divino e dedicatevi loro con tutto il cuore; traete il massimo beneficio dagli anni, che vi sono stati assegnati.
(Bhavanagar, 28 Marzo 1967.)