[1] Gli abitanti di Bhārat sanno come stabilire obblighi e divieti per ogni attività e per ogni responsabilità verso sé stessi e verso gli altri; sono ben disposti a seguire la disciplina e l’autocontrollo poiché conoscono la gioia che si può conseguire dalle limitazioni. Sono desiderosi di ‘fare esperienza‘ più che di ‘esporre’ le verità spirituali. Sin dall’inizio dell’era vedica, hanno attribuito più importanza a ‘quanto hanno ottenuto’ piuttosto che a ‘quanto hanno appreso’. Essi sanno che la beatitudine è inspiegabile e che certe condizioni al di là dei sensi, dell’intelletto, delle emozioni e persino oltre l’ego, conferiscono l’estasi suprema. I saggi hanno stabilito tre categorie che costituiscono il mondo conoscibile: Dio, la Natura e l’Io (Īshvara, Prakriti, Jīva). Quando Dio è visto attraverso lo specchio della natura appare come «Io». Rimuovete lo specchio e ci sarà solo Dio: l’immagine tornerà a fondersi nell’Originale. L’uomo non è che l’immagine di Dio. Anche la Natura non è che il Suo riflesso: solo Dio è la Realtà. L’ingannevole principio dell’apparire, per cui sembrano esserci manifestazioni molteplici, è dovuto a Māyā, l’illusione, la quale non è esterna a Dio ma è connaturata in Lui, così come tutti i poteri sono insiti in Lui.
[2] Quando l’immagine «Io» è percepita come distinta o separata si ha il dualismo, dvaita. Quando invece viene individuata come immagine non reale, ma le si dà una qualche importanza poiché è in relazione con l’Originale, allora avremo il Vishishta advaita, il Monismo qualificato. Quando sia l’immagine «Io» sia lo specchio vengono riconosciuti come illusori e scartati in quanto tali, rimane solo l’Uno; in tal caso avremo Advaita Darshanam, la visione dell’Uno senza un secondo. In India, la ricerca dell’Uno senza un secondo è portata avanti da secoli. Lo sforzo è diretto a scoprire l’Uno conosciuto il quale tutto il resto è conosciuto. La conoscenza che è utile, proficua e fruttuosa è la conoscenza dell’Unità, non della diversità. Quest’ultima infatti è sinonimo di dubbio, dissenso e scoraggiamento. Il ‘visto’ è differente da Colui che vede o ‘Vedente’, mentre il ‘Vedente’ è il medesimo in tutti.
[3] Ci sono quattro livelli nella disciplina spirituale: il primo stadio vi conduce a Sālokya, ovvero siete nel ‘Regno di Dio’; voi dovete ubbidire ai Suoi ordini, essergli fedeli, rispettare ogni Suo più piccolo desiderio e servirlo sinceramente, arrendendovi a Lui senza riserve. Lo stadio successivo è Sāmīpya, e voi siete nel ‘Palazzo’ nelle vesti di uno dei Suoi messaggeri, cortigiani, ciambellani o servitori. In questo caso gli siete più vicini e sviluppate qualità divine. Il terzo stadio è Sārūpya, in cui l’aspirante assorbe in sé la Forma del Divino, ovvero è come il fratello o un congiunto del Re, con il diritto d’indossare le vesti regali, con tutti gli annessi e connessi. Lo stadio finale è Sāyujya, in cui il principe ereditario succede al trono e diventa egli stesso monarca. Il suddito è come l’arto, il Re è come il cuore. La mente che non conosce l’Uno è come una foglia secca che si solleva ad ogni folata di vento e ricade quando il vento si calma; mentre la mente concentrata sulla consapevolezza dell’Uno è come una roccia, non toccata dal dubbio, stabile e sicura.
[4] Il Divino, verso il quale rivolgere adorazione e contemplazione, è detto Hiranyagarbha: il Grembo d’oro, l’Origine della creazione, il Principio Immanente che ha voluto divenire manifesto e multiforme. Il termine ‘oro’ è appropriato poiché è dall’oro che l’orefice forgia molteplici gioielli per soddisfare i bisogni ed i gusti di chi li indosserà. Anche Dio è raffigurato dall’immaginazione umana e dalle sue inclinazioni in varie forme: grandiose o grottesche, terrificanti o affascinanti. L’individuo crea queste immagini e vi riversa sopra le sue paure, le sue fantasie, i desideri, i timori, i sogni; considera queste figure come suoi maestri, amici o re, secondo l’ispirazione del momento; ma indipendentemente da tutto ciò, Dio non ne rimane influenzato: Egli è l’oro che esiste in tutti i gioielli. Dio è in voi, ed è Lui che vi ha sollecitato a proiettarlo nel mondo esteriore nella forma di quell’idolo o quell’immagine per permettervi di dare libero sfogo ai vostri sentimenti e concedervi la pace. Senza l’ispirazione, il conforto e la gioia che Egli vi conferisce dall’interno, voi diventereste pazzi come chi ha perso gli ormeggi ed è sballottato, senza timone, nel mare in tempesta.
[5] Aggrappatevi a Lui nel profondo del vostro cuore, ascoltatelo mentre vi sussurra silenti parole di consiglio e consolazione. Conversate con Lui, dirigete i vostri passi dove Egli vi indica, così raggiungerete la Meta con sicurezza e rapidità. L’immagine davanti alla quale vi sedete, i fiori con cui l’adornate, gli inni che recitate, i voti che v’impegnate ad osservare e le veglie che intraprendete, sono tutte attività che purificano e rimuovono quegli ostacoli che vi impediscono di prendere coscienza del Dio interiore. In verità, voi siete Lui e non il corpo che vi portate appresso come la lumaca gravata dal suo stesso guscio! Quando l’infatuazione per il vostro corpo se ne andrà, la luce del Dio interiore rifulgerà ed illuminerà i vostri pensieri, parole ed azioni. Krishna proclama nella Gītā che vi libererà dalla schiavitù nel momento in cui rinuncerete ad ogni sentimento di obbligo e responsabilità, di diritto e dovere, che v’inducono a dire: ‘da me’ e ‘a me’; in altre parole Egli vuole che l’uomo rinunci a identificarsi con il proprio corpo. Questo è il Dharma, il Dovere Supremo, che Krishna è venuto ad insegnare. L’uomo ha un dovere verso sé stesso: riconoscere di essere divino, nient’altro! Quando se ne dimentica e si smarrisce in percorsi secondari, Dio s’incarna per ricondurlo sulla retta via.
[6] Prima viene il bisogno, poi l’insegnamento che sia adatto al bisogno, ed infine la Forma per impartire l’insegnamento. Si dice che Nārada, il Saggio divino, soffrisse di agitazioni mentali, perciò l’eternamente giovane Saggio Sanatkumāra gli insegnò i Veda per ridargli la pace della mente. I Veda quindi non possono dirsi senza inizio; ci sono molti nomi di saggi e poeti menzionati negli inni vedici, perciò tali inni sono successivi alla nascita di queste personalità. Si afferma che Vālmīki compose il Rāmāyana e lo insegnò prima ai due figli gemelli di Rāma, i quali in seguito recitarono l’intero poema epico davanti al loro genitore, l’Eroe Divino, ed alla pubblica corte. Se ponete l’accento sul contenitore, sul corpo, sulla lampadina, e non sul contenuto, cioè sull’anima, sulla corrente, allora parlerete di questo o di quel Dio: del Creatore Brahmā, del Protettore Vishnu, del Distruttore Shiva; in realtà, il Mio corpo ed i corpi che sono qui di fronte a Me sono tutti uguali: solo la quantità di corrente immessa varia da uno all’altro, sebbene la corrente sia la medesima. I sei demoni: kāma (desiderio, lussuria), krodha (rabbia), lobha (avidità), moha (infatuazione, attaccamento), madha (orgoglio) e mātsarya (gelosia, invidia) v’inseguono e vi fanno prendere sentieri sbagliati, vi rendono servili, ottusi e tristi. Lottate contro di loro in modo risoluto, è la battaglia che dovrete combattere per tutta la vita. Non è una guerra di sette o trent’anni: può diventare una guerra di cent’anni se vivrete così a lungo; la lotta non conosce tregua! Si tratta di una guerra civile nella quale solo la vigilanza ed il controllo possono dare buoni frutti. Arjuna pregò Krishna: “La mia mente è infestata da questi demoni che non mi danno un solo momento di pace.” Krishna gli rispose: “Dai la mente a Me!” Facile, no? Come l’ape che ronza finché non trova un fiore e comincia a succhiarne il nettare, così anche la mente schiamazzerà finché non si stabilirà ai Piedi di loto del Signore; poi diverrà silente perché sarà impegnata ad assaporare il nettare divino! Una volta che avrà gustato quel nettare, non svolazzerà più e non si agiterà più.
[7] Offrite voi stessi a Dio. Il Signore Krishna chiese a Sudāma: “Di che cosa hai bisogno?” Quest’ultimo rispose: “Ho bisogno di Te, solo di Te.” Infatti in questo è compreso tutto! Un bambino chiede a suo padre un libro, una maglietta, un pallone o una penna. Se solo riuscisse a guadagnarsi l’amore del padre non avrebbe bisogno neanche di pensare alle cose che gli servono. Il padre anticiperebbe le sue necessità e gli darebbe tutto. Questa considerazione indusse i monarchi dell’antica India a chiedere consiglio ai saggi che non avevano vincoli, legami o pregiudizi e che quindi, nei momenti di crisi, sapevano cosa fosse meglio fare; infatti erano uomini pieni d’amore per l’umanità, colmi di compassione per i sofferenti e di comprensione persino per le motivazioni dei malfattori. Questi saggi appartenevano a cinque livelli di spiritualità: Pandit (dotto, studioso delle Scritture), Rishi (saggio veggente, asceta), Rājarishi (saggio veggente di stirpe reale), Mahārishi (grande saggio) e Brahmarishi (saggio veggente di discendenza sacerdotale). Essi erano privi di ogni traccia di ambizione o avidità e non avevano alcun desiderio di ammassare terre, ricchezze o fama. Il saggio Vashishta, precettore e consigliere del re Dasharatha, iniziò Rāma ai segreti dell’adorazione del sole mediante un mantra chiamato ‘Āditya hrudayam’ (il cuore del sole), suggerendogli di recitarlo ogni qualvolta la vittoria sembrava sfuggirgli di mano! Questi consiglieri garantivano la sicurezza del regno. C’era bisogno di una pioggia per spegnere l’incendio attizzato dai malvagi cugini Kaurava, alimentato dall’olio rappresentato da Karna e dal vento impersonato da Shakuni, quindi Krishna stabilì la pioggia di frecce della battaglia del Kurukshetra. Se chi esercita il comando fonda il suo governo sulla fede che Dio risiede in tutti e che ogni individuo deve essere rispettato come tale, allora lo scontento e il disaccordo non troveranno spazio. Queste sono le basi vedantiche sulle quali devono essere fondati i vari aspetti della vita. Anche il Buddha fondò la Sua religione sul Vedānta, anche se può non avere dichiarato apertamente l’origine perché era data per certa e non era mai stata contestata. Solo ciò che è spirituale può conferire felicità, gioia e fama durature. Avete acquisito i vostri corpi per realizzare Dio, per dedicarvi alla ricerca di Dio, per servire il Divino e sostenere il Divino: questo soltanto potrà placare i vostri aneliti più profondi e rimuovere l’insoddisfazione che vi rode e tormenta.
Prashānti Nilayam, 21.10.1969