[1] L’esperto delle sacre Scritture vi ha spiegato il potere e l’influenza che il tempo esercita sulle vicende umane traendo esempi dai poemi epici e dalla storia. Ciò che va bene oggi potrebbe andare male domani, quello che è praticabile oggi potrebbe essere impraticabile domani. Il tempo ha la caratteristica di rendere abitudini ed usanze anacronistiche, antiquate. Quello che ci fa soffrire oggi può donarci gioia domani. Andare a scuola è un compito spiacevole per il bambino, ma in seguito sarà contento di averlo fatto da giovane! Sītā aveva rinunciato agli sfarzi della capitale di Ayodhyā, ai palazzi reali ed ai sogni di felicità che nutriva, per seguire Rāma nella foresta quando fu esiliato, ma la vista di un cerbiatto dal manto dorato fece riemergere i suoi desideri latenti, così subì molte sventure a causa del suo attaccamento agli oggetti materiali. Il tempo aveva tramato per mantenere vive nel suo cuore le radici del desiderio. Il Rāmāyana insegna anche un’altra lezione. La ricerca di Sītā simboleggia il segreto dell’auto-realizzazione, naturalmente attraverso la propria esperienza. Quando Sītā fu ritrovata, Rāma riacquistò la saggezza della realizzazione del Sé convalidata dall’esperienza. La conoscenza era diventata Anubhava-jñāna, la Conoscenza Suprema ottenuta grazie alla propria esperienza, la sola che può giovare alla liberazione. Il Rāmāyana insegna che quando un individuo desidera ardentemente conseguire il prezioso obiettivo dell’auto-realizzazione, le forze della natura e tutto il creato l’aiuteranno e gli daranno l’assistenza necessaria. Infatti, scimmie, uccelli, scoiattoli e persino le rocce divennero alleati di Rāma nel compimento dell’eroica impresa. Mirate in alto, decidete d’imbarcarvi nell’avventura suprema e tutto s’aggiusterà per condurvi verso l’obiettivo.
[2] Di fatto, voi venite spinti verso tale traguardo dal vostro stesso respiro che ripete 21.600 volte al giorno: ‘Soham’ (Quello io sono), il mantra che rivela l’identità del Residente interiore con il Principio Divino immanente nell’universo. Con la lingua potrete anche dichiarare ‘Dio non esiste’, ma il vostro respiro ripete ‘So’ (Quello) quando inspirate e ‘Ham’ (Io) quando espirate, rendendo evidente che «Quello» – il Principio Divino – è lo stesso «Io» che risiede in voi! Le regole e le restrizioni imposte dai saggi dell’India per la vita quotidiana, le disposizioni per controllare e dirigere gli impulsi e le attitudini raccomandate, sono ingredienti preziosi che devono essere custoditi e messi in pratica. Il mondo è un insieme dei tre guna o attributi: sattvico, rajasico e tamasico, vale a dire equanime, passionale ed ottuso. Le Upanishad insegnano una triplice lezione a coloro che sono intrappolati nei tre guna: Dama, Dayā e Dharma. Consigliano Dama (auto-controllo) agli individui sattvici che aspirano a conseguire la beatitudine; Dharma (retta condotta, rettitudine) ai rajasici che mirano all’avventura, all’eroismo ed all’attività; Dayā (compassione, fondata sull’Amore, che sublima l’attaccamento e l’avidità) a coloro che sono dominati dalle qualità tamasiche, ovvero dal desiderio per i piaceri oggettivi a causa dell’attaccamento ai sensi.
[3] I saggi scoprirono la verità di ‘Tat Tvam Asi’ (Quello tu sei). ‘Tat’ è la Divinità da cui tutto questo [universo] emerse e in cui tutto questo si fonde. Tale verità può essere conosciuta seguendo il Bhakti-marga, la via della devozione, della dedizione e resa di sé. Tvam ‘tu’ può essere compreso attraverso il Karma-marga, la via dell’attività disinteressata, della rinuncia ai frutti ed ai risultati delle azioni che devono essere compiute con spirito di adorazione e con sincerità come fossero atti di culto. Allora ‘Asi’, il processo d’identificazione di ‘Tat’ (Quello) e ‘Tvam’ (tu), vale a dire l’identità del Sé Supremo con il Sé individuale, può essere realizzato attraverso lo Jñāna-marga, la via della Conoscenza e del discernimento acuto e inflessibile. Quando la via della devozione (Bhakti) e quella dell’azione (Karma) si uniscono, ne consegue Jñāna, la Conoscenza Suprema o Saggezza. La devozione vede tutto come Tat; l’azione annulla la separazione di Tvam. In tal modo ‘Asi’, ossia il processo d’identificazione, diventa facile. Sebbene questa disciplina sia semplice e sia spiegata in vari testi, che ogni giorno vengono esposti da eminenti maestri, non si fa esperienza di tale verità e l’identificazione non è assaporata; quindi tutto si riduce ad una recita teatrale. Le parole non provengono dal cuore, seguono l’imbeccata del copione che qualcuno ha scritto. Tutto viene fatto solo per conquistare l’applauso del pubblico e per l’utile che s’incasserà allo sportello! Che beneficio trarrete da un bell’acquazzone se tenete i vostri secchi capovolti? In questo modo potrete forse raccogliere l’acqua? Quando ascoltate dei discorsi sulla religione, se la vostra mente non è ricettiva, non ne trarrete alcun beneficio!
[4] Il Dr. Mistry ci ha parlato del lavoro di volontariato ‘Sevā-dal’ svolto a Bombay, delle donazioni di sangue, delle visite ai reparti dell’ospedale e del servizio reso ai pazienti poveri. In verità, questo è un lavoro che rimuove l’ego e conferisce vera beatitudine. Il Dr. Mistry è un Parsi, ma notate quale padronanza possiede anche delle Scritture indù; infatti vi ha appena spiegato che Shiva, Pārvatī e Ganapati possono essere interpretati come simboli dei sentieri di Karma, Bhakti e Jñāna per giungere alla Meta. Il servizio reso con la convinzione che tutti siano forme dell’unico Dio è il più elevato tipo di Karma. Dovete stare attenti che l’ispirazione a rendere servizio provenga dal cuore e non dalla testa. Qualche tempo fa ho parlato ai professori ed agli studenti dell’Istituto di Arti e Scienze di Whitefield ed ho detto loro che riverire gli adulti e gli anziani è molto importante. Oggi gli studenti salutano i professori con un solo cenno della testa. Ho spiegato che un cenno della testa rivela distanza, ostilità e discordia; rende palese il fatto che studenti e insegnanti sono impegnati in campi opposti e si comportano come degli sconosciuti. Ho voluto che i ragazzi abbandonassero tali idee ed accettassero i professori come amici, come guide impegnate a rendere loro servizio. Desidero che i sentimenti d’amore e di rispetto ritornino a fluire fra di loro.
[5] Ora devo recarmi dai bambini della scuola di studi vedici, i quali metteranno in scena una recita colma di dolcezza spirituale. Dio è descritto da coloro che l’hanno assaporato come ‘Raso vai sah’ (Egli è puro Nettare), infatti la Sua storia possiede una dolcezza inspiegabile a parole. L’Universo è amabile e dona gioia grazie a Lui, ma voi non sapete come cogliere quella gioia e tenerla salda, perciò continuate a passare dal piacere al dolore. Conquistatela nella sua pienezza e per sempre; allora non ci sarà più nascita né morte. Voi siete immortali, siete Beatitudine, Potere, Saggezza. In questa recita che i ragazzi rappresenteranno, ho descritto alcuni episodi accaduti nella vita di Miei vecchi devoti, delle Gopī, di Akrūra, Devakī, Vasudeva e Nanda. Questi ragazzi sono stati molto fortunati perché ho passato con loro numerosi pomeriggi, cantando e ripetendo i versi, in modo che potessero apprendere queste grandi verità e potessero recitare le loro parti davanti a voi, trarne soddisfazione ed elargirvi gioia. Probabilmente i ragazzi non riusciranno ad interpretare i loro ruoli alla perfezione, ma voi potrete assorbirne l’estasi e le lezioni spirituali che intendono trasmettere.
[6] La storia comincia con Kamsa che complotta per portare nella città di Mathurā Krishna, il suo pronosticato uccisore che allora aveva solo sette anni, con Suo fratello Balarāma, per ucciderlo con l’aiuto dell’elefante reale o dei lottatori di corte. Le scene successive dipingono l’angoscia delle pastorelle del Gokulam per la separazione dal divino Fanciullo, il dilemma che agita i Suoi genitori adottivi e la partenza dei due fratelli per Mathurā, dove Kamsa li attende. Krishna accetta l’ospitalità di un povero devoto, invece di quella del monarca che l’aveva invitato. Il Suo arrivo a Mathurā crea grande felicità fra il popolo. Nel contempo, i genitori naturali di Krishna, rinchiusi in prigione, sono al colmo della felicità al pensiero di rivedere il loro divino figlio dopo anni di separazione. I guardiani del carcere li informano di quello che sta accadendo, dei trionfi che riecheggiano nella capitale per le gesta eroiche di Krishna e di Suo fratello, dell’uccisione dell’elefante e dei lottatori e alla fine dell’umiliazione e distruzione del re Kamsa! Dopo questi eventi, Krishna e Balarāma entrano nella prigione e liberano i genitori. A questo punto la recita ha termine. Non badate alla tenera età degli attori; le parole che pronunciano sono sagge e balsamiche, sono gli insegnamenti dei Veda e delle Scritture. Fatene tesoro, conservateli nei vostri cuori e partite da qui per tornare alle vostre case con la determinazione di mettere in pratica nella vostra vita quotidiana almeno alcuni di questi insegnamenti.
Prashānti Nilayam, 17.10.1969