Un uomo molto angosciato faceva un gran clamore per avere un biglietto allo sportello della stazione ferroviaria, ma l’impiegato non poteva darglielo perché l’uomo non sapeva dove andare. Era soltanto ansioso di andar via da quel posto che non sopportava più. Tutti gli uomini, prima o poi, si comportano così; se uno vive cent’anni, non ha il desiderio di continuare perché constata che tutti i suoi parenti e amici sono caduti per strada e lui è stato dimenticato dalla morte. La vita non è un puro piacere; nessuno è contento se è immerso nella vita terrena. L’uomo viene sballottato dalle onde della gioia e del dolore, tormentato dalla fortuna buona o cattiva, ed è il bersaglio di pietre o mazzi di fiori; il male attorno a lui disturba la sua pace e l’ansia gli toglie il sonno e la quiete. È come se uno tentasse di dormire su una branda infestata dalle cimici. Quindi l’uomo tenta di sfuggire a tutto questo cercando un’altra situazione, un altro posto, senza sapere che cosa e dove! Il maestro spirituale può indicarvi dove andare, quale luogo cercare, ma non può farvelo raggiungere: dovete arrancare voi stessi per quella strada. L’insegnante può tenere delle lezioni speciali e dare ripetizioni, ma è l’allievo che deve apprendere. Ci sono due tipi di apprendimento: aprâpta prâpti e prâpta prâpti. L’acquisizione di qualcosa che non avevate è aprâpta prâpti. Se non avete un microfono, andate a comprarlo o a prenderlo a nolo. Il diventare coscienti di una cosa che avevate già senza saperlo è prâpta prâpti. Un amico vi chiede dieci rupie in prestito e voi siete dispiaciuti di non avere un centesimo e di non poterlo aiutare proprio quando ne ha davvero bisogno. Un’ora dopo, quando vi sedete e aprite la Gîtâ, scoprite un biglietto da dieci rupie che avevate riposto lì molto tempo addietro dimenticandolo tra le sue pagine. Come siete contenti! È come se le aveste appena guadagnate. Il guru vi chiede di cercare tra le pagine del libro del cuore ed ecco il tesoro lì pronto a rendervi incomparabilmente ricchi.
Scopo dello sforzo umano Krishna non decise di rimuovere l’illusione di Arjuna in un lampo, cosa che avrebbe indubbiamente potuto fare. Egli gli fece sperimentare tutte le fasi dell’udire, del riflettere e del concentrarsi. È il paziente che deve prendere la medicina, non il medico; questi prescrive e persuade soltanto. Un’altra cosa va detta: il discepolo deve già avere una vaga idea della Verità, altrimenti non può padroneggiare il segreto. Il telegramma si spedisce con il codice Morse, per cui l’uomo che lo spedisce e quello che lo riceve devono conoscerlo. Il dottore (un oratore precedente – N.d.T.) ha parlato della gente che viene da Me per scopi vari; sì, ma alcuni, quando non ottengono esattamente ciò che vogliono, incolpano Me e non se stessi di volere cose che non portano al loro progresso o di non meritare di ottenerle da Me. Perché accusare il Sole di non illuminare la vostra stanza? Aprite la porta, e il Sole, che sulla soglia aspettava proprio quel momento, la riempie di luce. Dovete usare l’intelligenza per meritare la grazia di Dio; questo è lo scopo dello sforzo umano. All’eremitaggio, il discepolo aveva lavato gli indumenti del guru e li aveva appesi a un filo ad asciugare. Il guru li voleva subito asciutti, ma il discepolo non poteva evitare il ritardo! Egli li aveva appesi piegati in quattro; l’intelligenza umana avrebbe dovuto suggerirgli di appenderli ben stesi in modo che asciugassero prima. Allo stesso modo, in campo spirituale, si dovrebbe usare l’intelligenza eseguendo la propria pratica spirituale integralmente. Dopo tutto, il modo più veloce per asciugare i vestiti, il modo migliore per preparare un piatto saporito sono conoscenze secondarie; quella primaria è la capacità di superare le tentazioni dei sensi, la capacità di viaggiare all’interno nella regione degli impulsi e dar loro uno scopo più elevato. A che serve pulire e lucidare l’esterno di un boccale? Pulitene invece l’interno.
Usate il bastone dell’intelligenza Il ricordo continuo del Nome di Dio è il detergente migliore per la mente e il mezzo per attraversare il mare. Il Nome è la zattera che vi porterà senza pericolo dall’altra parte; il Nome toglierà il velo dell’illusione che ora nasconde l’Universale all’Individuo. Quando quel velo cade, l’uomo si trova davanti a se stesso, e vede l’Universo che egli è. L’uomo ha potere infinito e infinite potenzialità perché è un’onda dell’Oceano dell’Infinità. Potete rendervi conto di questo se appena osate ragionarci un po’. Il frutto non cadrà se mormorerete dei mantra: dovete prendere un grosso bastone e colpire il grappolo; usate il bastone dell’intelligenza e colpite il problema di “voi e il mondo”: ciò darà frutto. Questa è la ragione per cui Io raccomando di cercare e rimanere in buona compagnia, tra persone sante; in mezzo a simili eroi spirituali, voi potete combattere il male con maggiori possibilità di successo. Una volta, quando Garuda (l’uccello celeste veicolo del Signore Vishnu – N.d.T.), nemico giurato dei serpenti, andò a Kailâsa (la dimora del Signore Shiva – N.d.T.), vide i serpenti che Shiva portava intorno al collo, alle braccia, al tronco e ai piedi; essi erano al sicuro e soffiarono con i cappucci gonfi al volatile celeste che non poteva far loro niente di male perché erano in compagnia del Divino. Garuda disse: “Bene! Scendete da quel Corpo e vi ucciderò tutti!” Questa è l’importanza di essere in buona compagnia per chi fa pratica spirituale; anche per colui che ha raggiunto il successo, la compagnia santa è preziosa perché è come tenere una brocca d’acqua in un serbatoio d’acqua: non ci saranno mai perdite per evaporazione. Se la persona avanzata spiritualmente (yogin) vive tra la gente mondana, le probabilità che la sua unione con Dio (yoga) evapori nel godimento (bhoga) sono molto grandi.
Valore della buona compagnia Stare in compagnia dei santi è come il morso e la briglia per lo sfrenato stallone, la chiusa e i canali per la piena impetuosa. L’importanza dei luoghi sacri consiste proprio in questo: spiriti affini vi si riuniscono e contribuiscono a che l’anelito spirituale divenga più profondo. In quei posti, potete trovare un consiglio dolce e confortante, e rinforzare la fede e la devozione. Evitate il luogo ove non trovate un’atmosfera di questo tipo e andate avanti fino a scovarlo. Dovete stare attenti anche al cibo che assumete perché la lingua (jihvâ) e l’organo riproduttivo (guhya) sono i due grandi nemici dell’uomo. La brama di cibo e di sesso vi portano alla perdizione. Smettete di soddisfare la lingua e la sua avidità; non siate vittime della concupiscenza o del palato. Mangiate cibo puro e fatelo in compagnia dei puri. Siate moderati nel mangiare e tenete i sensi strettamente sotto controllo. Tenete d’occhio anche il numero e la misura dei desideri, discriminate e abbandonate le acquisizioni e gli attaccamenti superflui. Un uomo santo (fakir) è uno che non ha preoccupazioni (fikr). Qual è la causa delle preoccupazioni? Le esigenze, gli sforzi per soddisfarle e la paura di non raggiungere il livello desiderato. Riducete le esigenze e ridurrete le preoccupazioni. Sperando in un colloquio personale con Me, voi vi riunite qui sotto la veranda del Nilayam con un carico di desideri nel cuore, desideri che volete che Io soddisfi. Perché portare tutto il gravame? Portate un solo carico, il desiderio di ottenere la grazia di Dio. Egli vi darà ciò che è meglio per voi; lasciate a Lui tutto il resto.
Dovete scegliere tra Dio e la Natura Una volta un nipote era seduto sulle ginocchia di suo nonno e gli fece la semplicissima domanda: “Mi vuoi bene, nonno?” Al che l’anziano rispose subito: “Certo!” Il bambino chiese ancora: “Vuoi bene a Dio?” Senza esitazione, l’uomo rispose di nuovo: “Certo!” Ma il nipote replicò: “Se tu vuoi bene anche a Dio, non puoi volerne a me e, se vuoi bene a me, non puoi voler bene a Dio nello stesso tempo o altrettanto.” Questo è vero. Voi dovete scegliere: se amate la Natura dovete ignorare Dio; amate Dio e vi accorgerete che la Natura non è che la Sua Veste. Fate l’azione, ma non anelate al suo risultato; non lamentatevi di non aver ottenuto riconoscimenti ufficiali per le donazioni che avete fatto a qualche Fondazione. I frutti, sia buoni sia cattivi, dovete consumarli voi stessi, per cui il modo migliore per liberarvi delle conseguenze è di ignorarli e fare l’azione soltanto per l’azione; se agirete così, non sarete gravati da colpa né da merito. Se anelate al profitto, dovete essere pronti ad accettare anche la perdita; se scavate un pozzo all’incrocio di quattro strade aspettandovi di essere lodati per aver alleviato la sete di uomini e animali, non potete evitare la colpa che vi verrà addossata se qualcuno vi cadrà e affogherà. Se fate vento a una persona per amore, potete smettere quando volete, ma un servitore che accetta un compenso per sventolare il suo datore di lavoro deve continuare, che gli piaccia o meno. Abbandonate il desiderio del compenso e sarete liberi; accettatelo o chiedetelo e sarete legati. Questo è il segreto di “rinuncia al frutto dell’azione” (karmaphala-tyâga).
La vita è irreale come un sogno Soprattutto convincetevi del fatto che la vita è irreale come un sogno; non vi ci attaccate oltre un limite ragionevole. Una volta, un uomo abbandonò la vita famigliare e scappò dal villaggio perché era troppo povero per mantenere la moglie e i figli. Quando se ne andò, le cose andarono ancora peggio e la povera donna dovette assistere alla morte d’inedia del loro bambino. Il giorno dopo, il marito tornò a casa e, quando la moglie gli dette la triste notizia, egli disse: “Mia cara, la notte scorsa ho dormito in un fienile e ho fatto un sogno: ero un uomo molto ricco con una bella casa e una famiglia felice di sei bei figli; avevo belle altalene ed eleganti sedie in giardino e molti servitori al mio comando. Quando mi sono svegliato, avevo perduto tutto. Per chi devo piangere ora? Per i sei figli che ho perso al mattino o per il bimbo perduto ieri? Quei sei non giocheranno più e anche questo non potrà più correre in giro. Mentre sognavo, il bimbo non esisteva e, quando mi sono svegliato, quei sei non esistevano; ciò che esiste è soltanto colui che percepisce sia il sogno sia lo stato di veglia: l’Io.” Prendete coscienza di quell’Io, rendetevi conto del fatto che “Io” è lo stesso di “Lui”. Lo potete conoscere soltanto tramite un’intensa disciplina spirituale non guastata dall’ira, dall’invidia e dall’avidità, vizi che scaturiscono dall’ego. Quando vi arrabbiate, agite come se foste posseduti da uno spirito maligno: la vostra faccia diventa brutta e spaventosa; in effetti, gli occhi e la faccia diventano rossi come un avviso di pericolo, come la lampadina rossa che si accende e si spenge quando il pericolo si avvicina. Tenete conto di quel segnale e ritiratevi in un luogo solitario e quieto senza dar fiato a un vocabolario volgare. Anche l’invidia e l’avidità provengono dall’ego e devono essere controllate e tenute a freno. Come la coda del girino, l’ego cade quando si cresce in saggezza. Deve cadere da sé; se la tagliate, il povero girino morirà. Quindi non preoccupatevi dell’ego, acquisite saggezza, discriminate, prendete coscienza della natura effimera di tutte le cose proprie del mondo e allora la coda non si vedrà più.
Prashânti Nilayam, 14 gennaio 1965
(Tradotto dal testo inglese pubblicato da: www.sathyasai.org)
Ognuno nasce dall’ego e muore vestito di ego, viene e va, dà e riceve, guadagna e spende, si comporta mentendo o dice la verità sempre nell’ego. Coloro che si liberano dell’ego si salvano. Estirpate le radici dell’egoismo dal campo del vostro cuore; questo basta… – Baba