[1] Da questo giorno detto Makara Shankrānti, la traiettoria del Sole va spostandosi da Sud verso Nord, e per tale ragione questo giorno è celebrato da secoli come una festività di buon auspicio. Dovreste però essere più interessati al vostro viaggio che, ad ogni nuova alba, si avvicina alla fine; infatti siete impegnati in un’incessante lotta con il Sole per sopravvivere agli assalti del tempo che l’astro misura con le sue fasi. Voi desiderate intensamente sfuggire alle conseguenze della nascita ed a ciò che segue la morte, desiderate pace e gioia, ma per ottenere tutto ciò dovete purificare la mente a tal punto da quasi sopprimerla. Questo è possibile solo se v’identificherete con l’Ātma invece che con il corpo; quest’ultimo è lo scrigno del Sé, conseguito come ricompensa per le attività della mente e del corpo. Se vivete nella consapevolezza dell’onnipresente Ātma, vivrete immersi nell’amore, un amore che scorre e che inonda voi e tutti.
[2] Ogni mattina, appena vi alzate, fatevi questa domanda: “Per quale ragione sono venuto al mondo? Quale compito mi è stato assegnato? Qual è il trionfo che questa lotta mi riserva? Qual è la grandiosa vittoria per la quale mi devo battere?” Avrete certamente assistito alle feste dei carri nei luoghi di pellegrinaggio più famosi. I grandi carri dei templi sono magnificamente decorati con bandiere e festoni; squadre di uomini robusti li tirano lungo le strade principali al suono di trombe e conchiglie, preceduti da acrobati, gruppi di danzatori, cantori e musici che esaltano la gioia dell’occasione. Migliaia di persone si affollano attorno ai carri o assistono ai lati della strada; la loro attenzione è rivolta naturalmente all’insolita animazione, ma si sentono più felici solo quando congiungono le mani e s’inchinano davanti all’idolo collocato sul carro. Il resto è secondario, anzi, per molti è irrilevante. Anche nello scorrere della vita, il corpo costituisce il carro e l’Ātma è l’idolo che vi risiede. Guadagnare e spendere, ridere e piangere, ferirsi e guarire, le mille acrobazie della vita quotidiana sono solo cose secondarie rispetto all’adorazione di Dio, al conseguimento dell’Ātma. Il corpo è il cocchio, l’intelletto è l’auriga, i desideri sono le strade lungo le quali il cocchio è trascinato dalla fune degli attaccamenti sensoriali; la liberazione è la Meta ed il Divino primevo ed onnipervasivo è il Padrone del cocchio. Il carro, o corpo, che vi portate appresso va considerato in quest’ottica. Invece, gli uomini non fanno che girare in tondo vagando disordinatamente dalla nascita alla morte, trascinati dai desideri o spinti dai bisogni. Nessuna pietra miliare viene superata lungo il pellegrinaggio, nessun ponte attraversato, non si registra alcun progresso, s’ignora perfino il viaggio stesso.
[3] Voi dite che solo la Mia grazia può rendere possibile il progresso, ma sebbene il Mio cuore sia tenero come il burro, esso si scioglie solo se c’è del calore nelle vostre preghiere. Finché non v’impegnate in uno sforzo disciplinato, in una pratica spirituale costante, la grazia non può discendere su di voi. L’anelito ardente, l’angoscia della meta non ancora raggiunta sciolgono il Mio cuore. È il tormento che conquista la grazia. Per quanti Navarātrī e Shivarātrī trascorriate in questo luogo, finché non illuminerete il vostro cuore e non lo farete risplendere limpido e puro, esso resterà avvolto nelle tenebre, immerso solo nel buio della notte (rātrī). La disciplina spirituale deve rendervi calmi, sereni, equilibrati e stabili. Rendete la vostra mente fresca e confortante come la luce della luna, poiché la luna è la Divinità che influenza la mente. Siate calmi nel parlare come pure nel rispondere alla malizia, alle critiche e all’elogio. Vi lamentate che gli altri turbano la vostra equanimità, ma sappiate che, anche se la lingua è silenziosa, i vostri pensieri possono sconvolgere la serenità di chi vi sta vicino.
[4] Distacco, Fede ed Amore sono i pilastri sui quali si regge la Pace. Di questi, la fede è fondamentale perché senza di essa la disciplina spirituale si riduce ad essere un rito vacuo. Il distacco invece la rende efficace, mentre l’amore conduce velocemente verso Dio. La fede alimenta lo struggimento per la separazione da Dio, il distacco indirizza quel sentimento sul sentiero verso Dio, e l’amore rischiara il percorso. Dio vi fornirà ciò di cui avete bisogno e che meritate senza necessità di chiedere né motivo per lamentarvi. Siate contenti; nulla può accadere contro la Sua volontà.
[5] Mi viene in mente Karna che, nei suoi ultimi istanti, chiese al Signore solo una grazia: “Non ho niente in contrario se mi condanni a rinascere e ad affrontare la morte in un ciclo senza fine. Ti chiedo solo di concedermi che in tutte le mie vite io non sia costretto a tendere la mano e a supplicare: ‘Datemi…’ né a respingere con un ‘No!’ alcun supplicante. Che queste due parole non escano mai dalla mia bocca!” Chi è concentrato nel distacco e nell’autocontrollo non dirà mai ‘datemi’ e non risponderà mai ‘no’ perché sarà sempre contento e soddisfatto. Un giorno uno scettico chiese a Vivekānanda perché mai facesse mostra di rinuncia indossando la veste color ocra, ed egli rispose: “Non è uno sfoggio, bensì una protezione. Porto questa tunica perché, vedendola, nessuno verrà a chiedermi l’elemosina o un aiuto in denaro. Così non ho bisogno di dire ‘No’, parola che non intendo pronunciare. Vedendo questa veste, solo persone che cercano la salvezza si avvicineranno, e per loro ho di che dare a sufficienza. Sono turbato quando incontro persone bisognose, ma io non ho soldi da dare loro. Questa veste mi permette di sfuggire a tali penose situazioni.” Dovete regolarvi in modo tale da non utilizzare quelle due parole nel corso della vostra vita.
[6] Non addoloratevi e non provocate dolore. L’autentica Incarnazione della beatitudine, Dio, è in voi, negli altri ed in tutto. Nonostante la molteplicità dei contenitori, il contenuto è lo stesso: il principio di Sat-Cit-Ānanda, Essere-Consapevolezza-Beatitudine. Il più piccolo atomo come pure la stella più grandiosa sono fondamentalmente Uno; invero, tutti sono il Brahman, il Supremo. Nelle Scritture potete leggere che Vishnu ha come veicolo l’aquila Garuda, Shiva ha il toro Nandi, il creatore Brahmā si muove su un cigno, Subrahmanyam (il comandante dell’esercito divino) cavalca un pavone, Shani (il Dio che emana influssi cupi e saturnini) ha un corvo per veicolo, e Ganesha viaggia su un topo sebbene sia così corpulento ed abbia la testa d’elefante. Tutto ciò non significa che gli Dei siano in difficoltà senza questi animali come mezzi di locomozione; significa soltanto che nessun animale va disprezzato, perché il Divino lo utilizza come veicolo. Se vengono visti come corpi, tutti sono distinti, ma visti come incarnazioni del Brahman, tutti sono Uno.
[7] Con la pratica spirituale tale identità vi sarà rivelata, ma state attenti: orgoglio ed invidia possono manifestarsi come conseguenza del vostro progresso. Voi calcolate per quanto tempo e con quanta intensità avete praticato la disciplina spirituale e siete tentati di guardare con sufficienza chi non possa vantare la stessa perseveranza. Siete orgogliosi di avere scritto il Nome di Sai dieci milioni di volte e ne parlate ogni qual volta ne abbiate occasione, affinché gli altri ammirino la vostra fede e tenacia; ma non sono i milioni che contano, bensì la purezza mentale che deriva dalla vostra concentrazione sul Nome. La pratica spirituale non è come raccogliere l’acqua dal pozzo con un canestro di giunco che, per quante volte lo immergiate e lo tiriate su, di acqua non ne raccoglierà di certo: ogni vizio è un buco nel secchio! Mantenete quindi il cuore puro e integro. Tutte le religioni esortano l’uomo a ripulire il cuore da malizia, avidità, odio ed ira, ed offrono il dono della grazia come ricompensa per il successo ottenuto in questo processo di purificazione. Le idee di superiorità ed inferiorità sorgono solo nei cuori corrotti dall’egoismo. Se qualcuno si sente superiore o pretende che la sua religione sia più santa, dimostra solo di aver frainteso l’essenza del proprio credo. Foglie, fiori e frutti possono essere tipici di una varietà, ma osservate il tronco e vi accorgerete che ci sono molte affinità. Analogamente, la pratica spirituale vi rivelerà l’unità degli insegnamenti di fondo di ogni religione. Certamente si tratta di un percorso difficile, ma è un cammino che tutti devono intraprendere, prima o poi. Le scorciatoie non portano da nessuna parte in campo spirituale!
[8] Un tale pretendeva la liberazione in modo facile, perciò si rivolse ad un guru e gli chiese quale fosse il metodo più veloce. “Conosci te stesso!” disse il guru. “Oh, lo so! Da questo momento sono il tuo discepolo. Allora, ho la liberazione che desidero?” Il guru rispose che la faccenda non era affatto così semplice e gli spiegò che egli era al di là del corpo, che manovrava i sensi, l’intelletto e l’ego, che era l’Ātma, il Sé al centro dei cinque involucri: fisico, vitale, mentale, intellettuale e di beatitudine. Il guru gli diede anche una ricetta assai sintetica: “Ripeti il Nome di Dio con tutto il cuore e con il fervore di vederlo. Se ti ricorderai continuamente di Dio, che è il tuo Essere più intimo, tale consapevolezza ti giungerà in un lampo per Sua grazia.” L’aspirante si spaventò di fronte a tanto impegno e domandò se potesse impiegare qualcuno che eseguisse la ripetizione in sua vece. Il guru ribatté: “Impieghi qualcun altro per mangiare o dormire per conto tuo? Se ti ammali, chiedi ad un altro di assumere il farmaco o di farsi l’iniezione?”
[9] Dopo i bhajan della sera vi sedete in meditazione per dieci minuti, e fin qui tutto bene; ma ditemi, quando vi alzate dopo quei dieci minuti e ve ne andate, vedete tutti in una luce più chiara, cioè colmi di Divinità? Se non è così, la meditazione è una perdita di tempo. Amate di più? Parlate di meno? Servite il prossimo con più impegno? Questi sono i segni del successo nella meditazione; il progresso deve essere convalidato dal carattere e dal comportamento. La meditazione deve trasformare la vostra attitudine verso gli esseri e verso le cose, altrimenti è una montatura, una burla. Perfino un macigno si disintegra per azione del sole e della pioggia, del caldo e del freddo, e diventa terriccio capace di fornire nutrimento ad un albero; così, perfino il cuore più duro può essere ammorbidito in modo che il Divino vi possa sbocciare. Voi venite a Prashānti Nilayam come se foste delle automobili che vanno in officina. Dovete uscirne verniciati a nuovo, con pezzi nuovi che sostituiscano quelli danneggiati, con nuovi bulloni al posto di quelli allentati, col motore pulito e rimesso a nuovo, con ogni parte in perfetto ordine, pronti a procedere speditamente nel viaggio che vi attende. Ogni cattiva abitudine va sostituita da una buona, nessuna traccia di vizio va tollerata ed il cuore deve essere svuotato di tutto l’egoismo. Ecco il frutto che dovete acquisire con questo pellegrinaggio. Sia questa la vostra risoluzione in occasione della festività di Uttarāyanam.
Prashānti Nilayam, 13.01.1969