[1] Nella cultura indiana, tutte le religioni sono integrate armoniosamente poiché si dà valore al retto vivere, all’amore puro ed al servizio, e non c’è disciplina spirituale che possa superare queste virtù. Tuttavia la società è sorda a tale appello, e quelli che hanno il dovere di richiamare l’attenzione della gente sull’errore commesso, sono resi esitanti e titubanti a causa dell’influenza esercitata dalle mentalità straniere. Sin dai tempi antichi, l’India ha esortato i suoi figli ad essere fedeli ai quattro obiettivi dell’esistenza umana: Dharma (rettitudine), Artha (ricchezza), Kāma (desiderio), Moksha (liberazione), o meglio agli ideali di prosperità e adempimento dei desideri da realizzare secondo i limiti stabiliti dalla Legge morale da un lato, e dall’obiettivo della Liberazione dall’altro; la prosperità deve essere acquisita solo attraverso la rettitudine, mentre l’unico desiderio degno d’incoraggiamento è l’anelito per la liberazione.
[2] L’Amore è lo slancio, la Verità è la vittoria: queste sono le due ruote del carro della vita.
Ahimsā paramo Dharma
La non-violenza è il Dharma supremo, la più meritevole regola di condotta
Da millenni questi assiomi sono il respiro vitale del Paese e sono il patrimonio comune a ogni uomo, donna e bambino. La critica situazione attualmente in corso in cui la violenza dilaga in tutta la nazione ed il fratello è ai ferri corti con il fratello, è una grave calamità per tutti. Il termine Hin significa himsa (violenza) e dhu sta per dhura (distante), perciò ‘Hindu’ (Indù) indica una persona priva di violenza, che ama ed ha solidarietà, che soccorre e serve; non è certo uno che bastona e percuote, che fa del male e sparge sangue. Lo stesso cielo è sopra la testa di tutti; la medesima terra sorregge i piedi di tutti; la stessa aria viene immessa in tutti i polmoni! Lo stesso Dio ha dato vita a tutti, nutre e cresce tutti, e provoca la fine di questa vita terrena. Perché allora esiste un tale atteggiamento disumano, ostile e fanatico, contrassegnato da lotte e contrasti?
Nella Bhagavad Gītā il Signore Krishna ha dichiarato:
Bījam mām sarva bhūtānām
In tutti gli esseri viventi Io sono il seme
(B.G. 7.10)
L’albero ha una gran chioma di foglie, fiori, frutti ed è composto dal tronco, dai rami e ramoscelli! Tutti si sono sviluppati da un solo piccolo seme, ed ogni frutto contiene in sé i semi della stessa natura. Soffermatevi quindi a contemplare la stupefacente molteplicità della vita con la sua ricca varietà di forti e deboli, di prede e cacciatori, di afflitti e felici, di esseri rampicanti, striscianti, che volano, galleggiano, camminano, nuotano, ecc. Quest’immensa varietà di creature è scaturita dal Seme, il Signore, ed ogni essere ha come proprio nucleo centrale quello stesso Seme, ovvero il Signore. Cercate d’immaginare, di vedere questa Divinità immanente, così diverrete umili, saggi e pieni d’amore.
[3] Dio, che è l’origine e la meta, può essere conosciuto solo da una coscienza pura, dopo aver conseguito citta shuddhi, la purificazione della coscienza e della mente, e per ottenerla bisogna iniziare molto presto. La gara sarà vinta da chi parte presto e procede lentamente; in tal modo arriverà al traguardo sano e salvo: non può essere altrimenti. Posate i piedi sul sentiero che conduce a Dio e la gioia dei primi passi vi farà avanzare. In India noi vediamo Dio negli alberi, nelle piante, negli uccelli e nelle bestie, lo adoriamo ovunque, in ogni cosa. La gente vi deride se adorate un’immagine e alcuni dalla mente influenzabile si vergognano di farlo, ma noi consideriamo l‘immagine come Dio stesso, non Dio come un’immagine. Adorate l’idolo di pietra come Dio, ma non considerate Dio come una pietra! Gli scettici credono solo se vedono. Negheranno forse il sole in cielo quando le nuvole lo celano alla vista? La cortina confusionale che nasconde Dio alla coscienza umana è la nube di Māyā. Chi ha l’occhio affetto dalla cataratta giura che non c’è una lampada nella stanza, perciò è indispensabile che si sottoponga ad un intervento per rimuovere la cataratta e rendersi conto della presenza della luce. L’intervento è la disciplina spirituale che si deve praticare per ottenere la visione di Dio.
[4] L’uomo va sulla luna, sonda le profondità dei mari, ma non sa vivere sulla terra con i propri simili, in amore e in pace. Va sulla luna per paura che qualcuno possa arrivarci prima; esplora i mari e semina il terrore, perché egli stesso è terrorizzato dal suo prossimo! Come vivere senza avere paura o incutere terrore è indicato nella Gītā proprio nel primo versetto in cui viene citato il Dharmakshetra, il campo della Rettitudine! Questo verso si riferisce a una domanda posta da Dhritarāshtra. Chi è Dhritarāshtra? Il termine significa ‘chi è attaccato al regno’, che non lo vuole cedere perché vi è aggrappato in modo esasperato. Che cos’è il ‘regno’ per un uomo? Tutto quello che non è lui stesso, vale a dire il suo corpo, i sensi, la conoscenza, i suoi sentimenti ed emozioni, la sua casa, l’auto, i terreni, eccetera. Dhritarāshtra significa un uomo che tratta le cose come se fossero lui stesso, cioè che s’identifica con il corpo. Dhritarāshtra chiese al suo attendente Sañjaya che cosa stesse accadendo sul campo del Kurukshetra e del Dharmakshetra, i campi dell’azione e della virtù.
[5] Sañjaya significa chi ha conseguito la vittoria sui sensi e sulle altre forze che limitano e fuorviano le facoltà più nobili che conducono l’uomo verso Dio. Dhritarāshtra chiese quindi a Sañjaya come si stesse svolgendo la battaglia in corso sul campo del Kurukshetra, che è anche Dharmakshetra. La sua risposta è riepilogata nel settecentesimo verso della Bhagavad Gītā, proprio l’ultimo:
Dov’è Krishna, il Signore dello Yoga [Yogeshvara],
dov’è Arjuna, l’arciere, là sicuramente regnano
prosperità, vittoria, grande potere e moralità.
Questa è la mia opinione.
Chi si fonde in Yogeshvara, il Signore di coloro che cercano di fondere la loro identità in Lui, di dissolvere i loro nomi e forme in Lui, il Signore Krishna, ebbene, quelli otterranno la vittoria. Nel verso iniziale della Bhagavad Gītā c’è la domanda, e nell’ultimo c’è la risposta! Il resto del testo è l’elaborazione di questo tema.
[6] Molti si sono specializzati in varie manifestazioni di culto per adorare Dio, infatti esistono innumerevoli riti, cerimoniali, inni, festività, voti e pellegrinaggi, ma la migliore forma di adorazione che elargirà la grazia di Dio in vasta misura è obbedire a Suoi comandi. L’adulazione è un’adorazione meschina! Collocare Dio a grande distanza, lontano da voi e lodarlo come Onnisciente, Onnipotente e Onnipresente non lo compiacerà. Coltivate la vicinanza, il contatto, una relazione di affinità e di parentela con Lui. Conquistatelo con l’obbedienza, la fedeltà e la dedizione, l’umiltà e la purezza. Rendete la vostra vita semplice, inondate il vostro lavoro quotidiano di amore e di collaborazione reciproca; siate tolleranti verso gli errori e le manchevolezze altrui, considerateli con compassione e comprensione; in ogni circostanza siate calmi, non siate in preda all’agitazione. In tal modo sarete felici e anche il Paese lo sarà; i vostri sentimenti saranno altruistici e le vostre emozioni dolci e affettuose. L’invidia, l’odio e la vendetta non potranno introdursi nella roccaforte della vostra mente dove la misericordia, la benevolenza e la tolleranza stanno di guardia!
[7] Dio non premia né punisce. Egli rimanda solo il riflesso, l’eco e la reazione, è l’Eterno Testimone, immutabile ed imperturbabile. Voi stessi decidete il vostro fato. Fate il bene, siate buoni e riceverete di ritorno il bene; se siete malvagi e commettete cattive azioni, raccoglierete risultati negativi. Non ringraziate né biasimate il Signore per questo: ringraziate voi stessi, biasimate voi stessi! Egli non interviene neppure con la Sua volontà affinché la creazione, la protezione e la distruzione avvengano; queste seguono la medesima legge, la legge intrinseca all’universo dominato da Māyā. La corrente elettrica, per esempio, può essere usata per far funzionare i ventilatori e darci un po’ di fresco in questo caldo afoso; può essere usata per illuminare, per ampliare il suono e portarlo più vicino a noi, o per produrre più copie di una stampa. In questi casi, la corrente crea, ma se vi lasciate entusiasmare da tutte le cose utili che riesce a fornire e se la vostra ammirazione si spinge troppo in là ed afferrate il cavo elettrico, rimarrete uccisi. Quindi la corrente crea, protegge e distrugge: dipende da come la utilizzate.
[8] Lasciate che i desideri insignificanti per i quali ora vi accostate a Dio siano esauditi oppure no, che le richieste di promozione e avanzamento che ponete davanti a Dio siano soddisfatte oppure no; non sono così importanti, dopo tutto. L’obiettivo primario deve essere quello di diventare padroni di voi stessi, di mantenere un’intima e costante comunione con il Divino, il quale è in voi come pure nell’universo di cui siete parte. Accogliete di buon grado le delusioni e gli insuccessi poiché vi rafforzano e verificano la vostra fermezza e forza d’animo. L’oro che stava fondendo nel fuoco disse all’orafo: “Non esultare quando mi getti nel fuoco per fondermi e per estrarre la lega. Ricorda che in tal modo divento più puro e più prezioso, mentre tutto quello che tu ottieni per la tua fatica è fumo in faccia e fuliggine sulle mani!”
[9] La lezione che viene insegnata nel poema epico Mahābhārata è che non dovete mai abbandonare Dio, ritenendolo responsabile delle vostre malattie; piuttosto pensate che le malattie vi avvicinano a Lui e v’inducono ad invocarlo quando siete in difficoltà. Voi soffrite di mal di stomaco, ed il dottore vi sottoporrà al dolore di un’operazione al fine di ridurre la vostra sofferenza e darvi sollievo. Poi direte di essere contenti! La gioia non è altro che l’intervallo tra due momenti di dolore, e la sofferenza è l’intervallo fra due momenti di gioia. Rāmakrishna Paramahamsa aveva una pustola in gola e non riusciva ad ingerire cibo né bevande senza provare un dolore acuto. Il suo discepolo Vivekānanda supplicò il Maestro d’invocare la grazia della Madre Divina in modo da poter assumere almeno del cibo liquido. Rāmakrishna replicò che aveva già pregato la Madre, la quale aveva risposto: “Non assumi già abbastanza cibo attraverso tutti questi miliardi di bocche, le bocche di tutti gli esseri viventi del mondo? Perché ti preoccupi tanto se non puoi ingerire il cibo attraverso una di queste?” Lo stesso Sé pervade ogni cosa, ovunque: questa è la lezione impartita dalla Madre Divina. Ognuno di noi è soltanto un’onda, un frammento dell’Universale, del Sé Supremo. Questa è la Verità!
Satyān nāsti paro dharmah
Non c’è Dharma superiore alla Verità
Siate veritieri e sinceri, questo è il punto culminante della rettitudine, è l’essenza della moralità. La Verità dell’unitarietà di tutto implica amore, servizio e pace, ed è quindi la base di un vivere morale. Tutte le distinzioni sono solo muri temporanei eretti dall’ambizione o dall’odio. Il Dharma deve scaturire dal cuore come la fresca acqua dell’amore e della pace. Potete apprendere che cos’è esattamente il Dharma dal Rāmāyana, infatti Rāma è la vera personificazione della Rettitudine ed ogni Sua parola e gesto risuona del messaggio della Legge morale. Lakshmana, il fratello di Rāma che seguì sempre le Sue orme per tutta la vita, è il simbolo della mente; seguendo le orme del Dharma, la mente non perderà mai la via e, trionfante, otterrà la vittoria. Il Rāmāyana è un testo che serve per applicare il Dharma in ogni casa, affinché venga messo in pratica dal padre, dalla madre, dal figlio e anche dai componenti di una famiglia allargata, sia uomini sia donne.
[10] Gandhi sognava di realizzare in India il regno di Rāma, desiderava che la popolazione vivesse come facevano i sudditi di Rāma ad Ayodhyā; ma guardate ora che triste differenza! A quell’epoca i due fratelli Rāma e Lakshmana raggiunsero il supremo stato d’identità grazie all’amore che li univa. Oggi i fratelli raggiungono la Corte Suprema sperando di risolvere le loro controversie per meschine proprietà; queste non sono affatto delle relazioni corrette! La gente sale sul podio ed a gran voce proclama ‘Fratelli e sorelle!’, ma questa frase fatta è solo una meschina banalità, perché appena discende dal palco, tale sentimento fraterno svanisce nel nulla. La fratellanza da coltivare è la disponibilità a donare amore in cambio d’amore, il cuore per il cuore, la vita per la vita. La cultura indiana condanna la violenza e la considera bestiale o anche peggio. Sebbene le epiche e le antiche leggende del nostro Paese parlino di demoni, uomini e dèi considerandoli diversi, in realtà sono solo dei nomi per descrivere determinate caratteristiche che tutti più o meno condividono in buona misura. L’umanità deve liberarsi dei tratti demoniaci e rivestirsi dello splendore della Divinità. Come esempio, prendete la storia di Krishna nel Bhāgavata. Kamsa ha caratteristiche demoniache mentre sua sorella, Devakī, è umana. Ella diede alla luce Krishna, il Divino, che s’incarnò per salvare il mondo dalla perdizione. L’uomo che sposò Devakī ed ebbe l’onore di essere il padre della Divina Incarnazione fu Vasudeva. Il figlio di sua sorella, Shishupāla, era un essere demoniaco che riuscì quasi a sposare Rukminī, la futura regina di Krishna; ma Krishna la rapì poco prima delle nozze e la salvò dall’unirsi in matrimonio con una personalità demoniaca come Shishupāla. È quindi evidente che le inclinazioni ed il comportamento delle persone determinano la loro categoria di appartenenza: demoniaca, umana o divina. Siate quindi molto vigili affinché le vostre attività non vi trascinino in abissi satanici, ma fate in modo che vi elevino alle altezze della Divinità. È davvero encomiabile che in questa città molti di voi s’impegnino nel canto dei bhajan, nelle processioni mattutine e nella recitazione del Nome di Dio. Fate in modo che il Nome del Signore proceda dal cuore, non dalle labbra; in un paese che è malato per la presenza di troppi Hiranyakashipu, esseri demoniaci, comportatevi come Prahlāda! Il Nome del Signore è come Narasimha che vi salverà e vi sosterrà. Purificate voi stessi e purificate l’atmosfera in cui vivete e di cui dovete vivere. Questo è il Mio consiglio e la Mia benedizione.
Bombay, 12.05.1970