[1] Kārunyānanda ha parlato di Arjuna che si sentiva perso in un mare di dubbi e di paure, disperato, come un vascello privo di timone nel mezzo della tempesta. Lo sconforto che lo assalì quando si trovò sul campo di battaglia fu un preliminare necessario per raggiungere la liberazione. Dopo aver ascoltato la Gītā ed aver visto la manifestazione del Signore nella Sua forma cosmica, Arjuna confermò che l’illusione era svanita. La dissoluzione dell’illusione è la liberazione a cui tutti aspirano. La liberazione (Moksha) è la scomparsa (kshaya) dell’illusione (moha). Il rito sacrificale avrà termine oggi ma, ricordate, lo spirito di rinuncia che vi ha insegnato deve continuare ad ispirare la vostra vita per sempre. In questi sette giorni è stato letto il Rāmāyana; anche i suoi insegnamenti devono imprimersi nella vostra mente, ed il più importante è che kāma, il desiderio, porta alla rovina, mentre Rāma garantisce il successo.
[2] Dasharatha, sovrano di Ayodhyā e padre dell’Avatār Rāma, mandò il proprio figlio prediletto in esilio cedendo ai raggiri della moglie favorita. Rāma, a Sua volta, mandò in esilio la propria moglie Sītā poiché riteneva che il Dharma lo imponesse, anche se per salvarla dalle grinfie di Rāvana aveva passato anni di ricerca e di lotta! Rāvana stesso apprese l’amara lezione che il desiderio indebolisce, mentre il Dharma rinvigorisce; imparò anche che Rāma era l’Incarnazione del Dharma, e che quindi nulla avrebbe potuto ostacolare i Suoi piani. Tali sono le fondamenta sulle quali è sorta la cultura di questo Paese e della sua gente; oggi invece, quelli che hanno il compito di governare la nazione elaborano solo progetti per la costruzione di strade, dighe, fabbriche e aziende agricole mentre ignorano le vie dello spirito, i campi dove coltivare l’amore e l’umiltà, il servizio ed il sacrificio. Essi danno grande importanza ai programmi che si possono misurare, osservare e inserire in tabelle statistiche d’effetto, ma non danno alcun peso alle motivazioni immateriali che spingono l’individuo a vivere in pace e fraternità.
[3] Oggi l’uomo sa volare nello spazio e raggiungere la luna; la terra ed il cielo sono per lui aree di gioco ma, anche se è abbastanza intelligente per navigare nello spazio, nella profondità dei mari e per lanciare bombe sui vari continenti, non ha sufficiente moralità per vivere in pace con il suo vicino! Pochi bocconi possono soddisfare la sua fame, pochi metri di stoffa ricoprire la sua nudità, qualche metro quadrato di tetto bastano per ripararlo dal sole e dalla pioggia, eppure, per questo egli massacra fratelli e sorelle, ruba, complotta crimini, mente senza ritegno e non rispetta la legge, così distrugge la pace del suo cuore e della società. Scuole e istituti superiori si moltiplicano, ma gli ‘eruditi’ rappresentano un pericolo per sé stessi e per il Paese. Gli ospedali, le ricerche mediche, i farmaci e le misure di prevenzione sono in continuo aumento, ma di pari passo aumenta anche la percentuale di pazzia, infermità e malattia. Ovunque predomina un’oscura nube di ansia, paura, insoddisfazione e sofferenza che colpisce le nazioni ricche come pure quelle povere di tutto il mondo.
[4] Secondo i Veda, la base per la pace vera è la qualità di Maitrī che significa amabilità, amicizia, compassione, gentilezza. Si può anche pensare che significhi ‘I miei Tre’, vale a dire che il mio pensiero, la mia parola e la mia azione devono essere in accordo con il tuo pensiero, la tua parola e la tua azione; ciò significa che penseremo, parleremo ed agiremo insieme senza contrasti né rivalità, in un’atmosfera di amore e comprensione, ovvero quello che oggi occorre nel mondo: Maitrī. L’amore tra padre e figlio, marito e moglie, amico ed amico è oggi artificiale, non proviene dal cuore. Il figlio cita il padre in tribunale, l’attaccamento tra marito e moglie dura poco, gli amici litigano quando l’interesse egoistico prevale, l’uomo non può fidarsi dell’uomo, paura e sospetto guastano le relazioni umane.
[5] Immaginate una coppia appena sposata a passeggio in un parco. Lungo il sentiero il marito vede una spina sulla quale la moglie potrebbe posare il piede, perciò si precipita verso di essa e l’allontana dicendo: “Grazie a Dio l’ho vista in tempo!” Tre mesi dopo, mentre passeggiano, l’uomo vede ancora una spina e le dice: “C’è una spina proprio lì; non metterci sopra i piedi!” Passano altri tre mesi, e un’altra spina si trova sul loro cammino; il marito grida alla moglie: “Ma non vedi quella spina? Perché cammini così sbadatamente, come se tutta la strada fosse tua?” Ecco com’è la storia dell’amore che viene mitizzato così clamorosamente! L’amore che Dio ha per voi o che voi nutrite per Dio non è così instabile o egoista. Dio non vi abbandonerà mai, e voi non dovrete mai negare il vostro attaccamento per Lui.
[6] Il rito che si conclude oggi è una dimostrazione dell’energia e delle vibrazioni che i mantra possono diffondere. Ci sono mantra potenti che possono trasformare la personalità dell’aspirante e concedergli la grazia. OM è uno di questi. I bambini imparano a camminare mediante un girello a tre ruote che spingono davanti a loro. OM è un sostegno analogo a tre ruote costituite dalle tre lettere A, U e M. Imparate quindi a camminare sicuri e veloci lungo la via del progresso spirituale con l’ausilio di AUM.
Rāma è un altro mantra che possiede le stesse vibrazioni numerologiche: A=0, U=2 e M=5, quindi AUM equivale a 7; nel secondo caso, R=2, A=0 e M=5, per cui il totale è 7 anche per Rāma, un numero determinante, dalle importanti vibrazioni spirituali.
[7] Ogni individuo nasce con la domanda ‘Koham?’ sulle labbra. ‘Chi sono io?’ è il quesito che opprime ogni petto, ma la risposta risuona a ogni respiro: ‘Soham, Io sono Lui!’; l’inspirazione sussurra So, l’espirazione mormora Ham! Tuttavia tale interrogativo viene spazzato via dalla mente, impaziente di dilettarsi nel mondo che essa dipinge come un ‘paese dei balocchi’; a sua volta l’ego, che ne trae un temporaneo piacere, non consente che la risposta venga ammessa alla comprensione. Rendetevi conto che il vostro respiro risponde correttamente a quella domanda, quindi siate coscienti di essere un’onda di ‘Lui’, cioè della Consapevolezza Infinita che è Dio. Potreste affermare che non crederete in Dio finché non ne avrete una precisa esperienza personale. Bene, voi credete che la vostra data di nascita cada in un certo mese di un certo anno, ma l’avete accettato sulla fiducia come tante altre cose; è impossibile pretendere di fare un’esperienza personale di tutto ciò a cui prestiamo fede, se vogliamo che la vita scorra via liscia. Fidatevi allora anche di questo poiché numerosi saggi, santi, scienziati l’hanno accettato e ne hanno fatto esperienza; infatti essi sono Maestri della cui integrità e validità non potete dubitare, perché insegnano e trasmettono la vera conoscenza che hanno conseguito attraverso un’autentica disciplina spirituale.
[8] Il saggio Gautama radunò un giorno i suoi discepoli e disse: “La siccità che affligge quest’area sta peggiorando, non mostra alcun segno di cedimento e si allarga velocemente. Il bestiame dell’eremitaggio soffre la fame e la sete; io non posso vedere tutti quegli animali muti soffrire e svolgere tranquillamente il mio lavoro d’insegnare ed apprendere. Qualcuno di voi deve condurli in una regione dove ci siano abbondanti pascoli e riportarli qui quando la calamità sarà terminata.” Molti studenti rabbrividirono all’idea di tale compito, abbassarono il capo e si nascosero dietro gli altri per non attirare l’attenzione, ma Sathyakāma si fece avanti e, felice dell’opportunità, si offrì di condurre via il bestiame. Gli altri discepoli si radunarono attorno a lui per esprimere la loro solidarietà, ma Sathyakāma non ne voleva affatto. Gli dissero che si sarebbe trovato da solo in zone selvagge, lontano dalle comodità degli eremitaggi e dalla possibilità di reperire del buon cibo per chissà quanto tempo. Egli replicò che i buoni auspici e la benedizione del guru gli avrebbero dato sufficiente sicurezza e sostentamento, perché il maestro era il suo miglior compagno. Rifiutò l’offerta di qualche amico di accompagnarlo poiché il maestro non aveva parlato di tale necessità. Mentre si apprestava a partire con 500 capi di bestiame, Sathyakāma pregò il guru di dargli la sua benedizione e gli domandò quando avrebbe potuto ritornare; il maestro rispose che avrebbe potuto fare ritorno non appena la mandria avesse raggiunto i 1000 capi. Il ragazzo era all’altezza del suo nome, Sathyakāma: colui che desidera solo proteggere e diffondere la verità. Condusse gli animali in una bella valle e si accampò lì con loro; si alzava con la stella del mattino, recitava le preghiere, si prostrava al Sole nascente e trascorreva il tempo immerso nella recitazione del Nome divino e nella meditazione, senza trascurare la cura degli animali. Non mostrava alcun’ansia di tornare a casa ed attendeva pazientemente il momento opportuno. Un giorno, dopo i riti mattutini, Indra, il Signore degli Dèi, gli apparve poiché gli Dèi tenevano d’occhio quel mandriano solitario. Indra gli disse che il conteggio del bestiame era arrivato a 1000 capi e che quindi avrebbe potuto prendere la via del ritorno. Indra si offrì di accompagnarlo e di riportarlo all’eremo sano e salvo. Lungo il percorso si fermarono quattro volte a pernottare in quattro villaggi diversi, ed ogni notte Indra gli insegnò un Veda, così quando arrivò all’eremo, Sathyakāma conosceva a fondo i quattro Veda; il suo volto brillava di un insolito splendore poiché l’illuminazione vedica gli era stata impartita nientemeno che dal Signore degli Dèi.
[9] Il Rig Veda è una raccolta di preghiere a Dio per la realizzazione degli scopi della vita, lo Yajur Veda descrive l’aspetto cerimoniale e rituale dell’adorazione, il Sāma Veda rende lode agli Dèi con la poesia ed il canto, l’Atharva Veda riporta le formule segrete per preservare la salute e la sicurezza del corpo e della comunità. In tal modo Sathyakāma acquisì la conoscenza dei quattro Veda. Quella fu la ricompensa per l’umiltà e la riverenza, qualità che stanno rapidamente scomparendo nelle città grandi e piccole; questa piaga si espande velocemente, anche se non è ancora in grado d’intaccare la semplicità e la sincerità della vita dei villaggi, ed è proprio per questo che i villaggi mi piacciono tanto. Non abbandonerò Puttaparti per andare a vivere altrove o in una città. In un paese, chiunque andrebbe a soccorrere un uomo la cui casa sia andata in fiamme o il cui pozzo sia stato danneggiato da una frana. Nelle città vedete la gente divertirsi rumorosamente mentre qualcuno muore nella casa accanto; invece il rispetto per gli anziani e la fede nel Divino sono ancora presenti e vivi nei villaggi. Solo queste qualità possono contribuire a ripristinare il Dharma, la missione per cui sono venuto.
Prashānti Nilayam, Dasara, 10.10.1970