[1] La pace o il turbamento, la calma o l’ansia che l’uomo sperimenta sono il risultato dei suoi pensieri e delle sue azioni, e tutto ciò dipende dall’attitudine e dal comportamento verso sé stessi e verso gli altri. Molti intraprendono la disciplina di meditare con regolarità sul Nome e sulla Forma del Signore; molti sanno placare le agitazioni della mente e si aprono la strada verso la Realizzazione interiore. La meditazione, però, non deve vacillare né ondeggiare da un’ideologia all’altra, non deve ridursi ad una semplice formula meccanica, a una rigida tabella di respirazioni a narici alterne o a fissare lo sguardo sulla punta del naso. La meditazione è un rigoroso controllo dei sensi, della corrente nervosa e dei voli dell’immaginazione; ecco perché si dice che è come una valle di pace che si trova al di là di un’imponente catena montuosa le cui cime sono chiamate ‘i sei nemici’, vale a dire: lussuria, ira, avidità, attaccamento, orgoglio e gelosia. L’individuo deve scalare e superare quella catena montuosa e raggiungere la valle di pace che si trova oltre; deve lacerare, squarciare i veli affinché la luce illumini il sentiero; deve eliminare la cataratta dall’occhio per poter vedere la Verità. Māyā è la nebbia dell’ignoranza che tormenta la mente quando si sforza d’immergersi nelle profondità del Sé.
[2] Questa bruma è un insieme dei guna, le tre qualità o attributi che disorientano e disturbano l’originale equilibrio dell’Universo – il bianco, il rosso e il nero – ovvero le qualità sattviche, rajasiche e tamasiche che corrispondono rispettivamente all’imperturbabilità, all’attività ed all’inerzia, ovvero al distacco, alla passionalità ed alla pigrizia. Affinché la Realtà possa manifestarsi, il velo dell’illusione composto da questi tre attributi deve essere ignorato, lacerato o sollevato. La via della devozione innalza il velo poiché Dio, che l’aveva fatto scendere, ha la compassione di sollevarlo per voi. La via della retta azione squarcia il velo grazie all’attività finalizzata a strapparne i fili. La via della suprema conoscenza lo ignora come se in realtà non esistesse, essendo una creazione dell’immaginazione! Così l’illusione scompare convalidando l’efficacia di queste discipline! Alcuni negano l’esistenza di Dio poiché non sono in grado di percepire la Sua presenza a causa della miopia dalla quale sono afflitti. Se un bravo specialista eliminasse questo difetto, essi riuscirebbero a vedere da soli l’onnipresente segno della Sua Grazia e Maestà. Quando la combinazione dei tre guna impedisce una chiara visione, l’uomo è indotto a brancolare nel buio e a credere che una cosa sia apparentemente un’altra; i tre guna inoltre mascherano la verità attribuendole i colori o la ripugnanza della falsità!
[3] La mente è lo strumento interiore utilizzato da Māyā per defraudare e confondere. Sotto il suo influsso illusorio, la mente salta da un capriccio all’altro e non ha mai pace su qualunque cosa si soffermi; l’illusione tiene la mente sempre concentrata sugli oggetti esteriori e contrasta il viaggio interiore dell’intelletto, il processo d’introspezione e di auto-disciplina. Tuttavia, quando attraverso la meditazione l’individuo riesce a liberare anche in minima parte la mente dalla presa di Māyā, la strada si apre per conseguire l’illuminazione finale. La meditazione è quella disciplina che allena la mente all’analisi interiore ed alla sintesi. L’obiettivo della meditazione è l’Uno nel quale tutti gli ‘io’ sono sintetizzati nella loro forma più pura. Nella Bhagavad Gītā, l’Uno è descritto con otto attributi: consapevole del passato, presente e futuro (Kavi), antico (Purānam), Colui che stabilisce le regole (Anushāsitaram), più sottile del sottile (Anoranīyā), il fondamento di tutto (Sarvasya dhata), di forma indescrivibile (Acintyarūpa), dello splendore del Sole (Āditya varna), al di là dell’ignoranza e dell’oscurità (Tamasah parastāt). L’obiettivo può essere raggiunto solo praticando un’incessante meditazione.
[4] Ribadisco che la meditazione ed il controllo dei sensi devono procedere parallelamente. I sensi bloccano la via che conduce al Paradiso, perciò non è possibile allentare le briglie a nessun organo sensoriale. Oggi ci sono dei ‘maestri’ di Yoga che annacquano le discipline e predicano la completa libertà dei sensi in parallelo con la meditazione perché temono di perdere i loro clienti ed i relativi introiti se dovessero insistere su compiti troppo ardui! Lo Yoga è definito Citta vritti nirodhah, estinzione delle agitazioni della coscienza. Com’è possibile praticare lo Yoga se alla mente è consentito procedere a ruota libera e mettere in atto tutte le sue bizzarrie ed i suoi trucchi? La mente trascina l’uomo nella giungla dei desideri e lo getta nell’affannosa ricerca del piacere al di fuori di sé stesso. La primissima lezione dello Yoga è la conquista del desiderio. La volontà deve essere plasmata in uno strumento adatto ad eseguire attività benefiche, l’azione deve servire come mezzo per conseguire la Saggezza, e quest’ultima in un lampo conferirà la consapevolezza della Realtà. La madre non può svolgere le sue mansioni quotidiane come pulire, lavare, cucinare e muoversi liberamente per la casa finché il bambino piange con insistenza nella culla. Prima di tutto deve farlo addormentare in modo da poter poi svolgere lavori più importanti. Analogamente, voi dovete rendere la mente inattiva prima di poter intraprendere il viaggio verso il reame oltre la dualità.
[5] Tenete il Nome del Signore sempre radioso sulla lingua e nella mente; questo riuscirà a tenere sotto controllo le stramberie della mente. Se la lampada è accesa, l’oscurità non oserà esalare i suoi fumi attorno a voi. Nella Bhagavad Gītā si afferma che quando il sacro suono OM, la sillaba che sta ad indicare il Brahman, è pronunciato dal morituro mentre sta esalando l’ultimo respiro, egli raggiungerà Dio. Tuttavia ciò può accadere solo se avrete meditato sul mantra OM tutta la vita. La semplice esclamazione ‘OM’ al momento della dipartita non salverà; l’ultimo OM deve essere come il fiore che sboccia sulla pianta rampicante di un’esistenza che è sempre stata avvinghiata a Dio. Nella Gītā, questo coronamento è definito Rājavidyā, la Conoscenza Regia, ovvero la via reale che porta al successo spirituale; viene anche detto Rājaguhyam, il Mistero Regale, un insegnamento che dopo lunghi esercizi preparatori viene impartito dal Maestro al discepolo in un’atmosfera di sincerità e serietà. In passato tale insegnamento non era recitato in versi, ma era presentato in prosa, come una lezione. Fu il saggio Vyāsa che in seguito lo enunciò in versi.
[6] Con una formula molto chiara, la Gītā spiega come meditare:
Mām anusmara yudhya cha
Fissa la tua mente su di Me e combatti
(B.G. 8.7)
L’ammonimento significa combattere la battaglia della vita avendo Dio nella coscienza come nocchiere. Non è un’indicazione impartita unicamente ad Arjuna: è un’ingiunzione valida per tutta l’umanità. “Fissa la tua mente su di Me e combatti! Io sarò la Volontà dietro la tua volontà, l’Occhio dietro il tuo occhio, l’Intelligenza della tua intelligenza, il Respiro del tuo respiro. La battaglia è Mia, la potenza è Mia, le tribolazioni e i trionfi sono Miei, i frutti della vittoria sono Miei, l’umiliazione della sconfitta è Mia; tu sei Me ed Io sono te.” Ecco il compimento della meditazione: l’identità, la negazione di ogni differenza.
[7] Mām anusmara – Pensa sempre a Me!
Non fate distinzione tra cantare inni sacri, mangiare o rendere culto a Dio; tutte le azioni sono atti di adorazione, poiché il cibo è dato da Lui, mangiato da Lui, per amor Suo, affinché dia energia al Suo lavoro. Ogni momento è prezioso poiché Egli lo dona, lo utilizza, lo satura, lo plasma, lo adempie. Quando Dio si è fuso con ogni respiro, potrete realizzare l’obiettivo supremo di fondervi in Lui. Voi avete la forza ed il potere di farlo. Il Sé non può essere realizzato dal debole. Finché la fonte della forza non è in voi, non è voi stessi, finché sarete irresoluti e fragili, inadatti all’avventura suprema, non riuscirete nell’intento.
[8] Mām anusmara – Pensa sempre a Me!
Smarana, il ricordo di Dio, potrà stabilirsi costantemente in voi solo quando sarete liberi dalle catene del dispetto, della ripicca e dell’invidia. Anasūya, senza traccia di orgoglio, gelosia, malizia, odio, egoismo o presunzione, ecco il modo per mantenere il cuore pulito affinché Dio possa insediarvisi. Il dolore vi affligge poiché voi pensate di meritare la gioia e invece non l’avete; ma c’è un Dispensatore imparziale della gioia e del dolore, che vi dà quello di cui avete bisogno invece di quello che desiderate. Potreste necessitare il tonico della tribolazione per procedere sulla strada del miglioramento e della ripresa. Il Dio Misericordioso, Eterno, Onnisciente sa cosa è meglio per voi! Accettate di buon grado le disgrazie e le tragedie, combattete per trovarne la via d’uscita avendo come armatura il ricordo del Divino. Come tutti i fiumi scorrono veloci verso il mare, lasciate che tutte le vostre fantasie ed immaginazioni siano dirette verso Dio. Il dramma è Suo, il ruolo svolto è il Suo dono ed il copione è scritto da Lui; Egli decide i costumi e le decorazioni, i gesti e la tonalità, l’entrata e l’uscita. Voi dovete recitare bene la vostra parte e ricevere la Sua approvazione quando il sipario calerà. Con l’efficienza e l’entusiasmo conquistate il diritto ad interpretare ruoli sempre più elevati. Questo è il significato e lo scopo dell’esistenza.
[9] Non attaccatevi troppo al mondo e non lasciatevi coinvolgere da tutte le sue intricate complessità. Tenete le vostre emozioni sempre sotto stretto controllo. Le onde agitano solo la superficie del mare; più sotto, tutto è perfettamente calmo. Analogamente, quando v’immergete nella profondità dell’Essere, liberatevi dell’agitazione delle onde. Sapere tante cose non è un valore permanente e quindi può essere tralasciato; aggrappatevi soltanto all’essenza vera. Utilizzate il vostro discernimento per distinguere quali cose sono solo cianfrusaglie e quali sono beni preziosi.
La ripetizione e la contemplazione della sacra sillaba OM vi aiuteranno a calmare le tempestose onde mentali. OM è la somma di tutti gli insegnamenti su Dio e dei riti per adorarlo contenuti nei Veda.
Aum iti ekāksharam Brahma
Il monosillabo OM è Dio stesso
OM è una combinazione di tre suoni: ‘A’ che emerge dalla regione dell’ombelico, ‘U’ che fluisce attraverso la gola e la lingua e ‘M’ che termina a labbra chiuse; va pronunciato in crescendo il più lentamente possibile e poi in decrescendo finché ci sarà l’eco del silenzio che risuona nella cavità del cuore. Non recitatelo in due tempi sostenendo che il vostro respiro non terrà così a lungo. Perseverate finché non vi commuoverete per quel crescendo e decrescendo, seguito dal silenzio. Questi stadi rappresentano lo stato di veglia, di sogno e di sonno profondo, nonché il quarto stato di coscienza che trascende i primi tre. OM rappresenta anche il fiore della propria individualità che matura in frutto, si satura di dolce nettare ricavandolo dalla propria essenza interiore, e infine raggiunge il distacco finale dall’albero.
Prashānti Nilayam, 09.06.1970