[1] L’ascesa alla condizione di essere umano è stata accordata a tutti voi ma, tra tutti gli animali, voi dovete meritare un tale elevato stato e alla fine dovrete unirvi al Divino; questo è l’obiettivo previsto dal pellegrinaggio evolutivo sin da quando, sulla terra, la vita ha avuto inizio con l’ameba nell’acqua. La fede in quel traguardo e l’avanzamento risoluto sono i segni della consapevolezza e della responsabilità di essere uomo. La chiamata del Divino echeggia in tutti i cuori e provoca reazioni di timore, riverenza, affetto, amore e sacrificio, tutti ingredienti della devozione, la quale si manifesta in atti di adorazione e di lode, nonché in rituali che evochino la maestà di Dio. In tal modo la mente si saturerà di pensieri divini e ritroverà il modello divino, finché il flusso della beatitudine diverrà costante. La preghiera è il vero respiro della religione perché unisce l’uomo a Dio e, ad ogni sospiro, li avvicina sempre più. La meditazione è il processo di ascolto della canzone celeste, il flauto di Krishna, durante il quale le orecchie e la mente devono essere ben attente alla melodia. Yoga è fondere la mente nell’estasi dell’abnegazione di sé, mentre la musica riempie la coscienza. Parole come queste non comunicano completamente quell’estasi inesprimibile che si prova tornando a casa dopo il lungo esilio.
[2] Chandromouli Shāstri ha parlato dei mantra, le potenti formule mistiche cariche d’illuminazione spirituale; il suono e le vibrazioni prodotti dai mantra riescono ad influenzare le emozioni e gli impulsi dell’individuo, a ripulirli, accelerarli, stimolarli e scuoterli, operando su di essi con metodi sottili conosciuti solo ai Maestri. Potete pronunciare la parola ‘vieni’ in vari modi; ciò produrrà reazioni diverse nelle persone a cui essa è rivolta. Il suono ha origine dalla gola, dalla lingua, dalla cavità toracica, dall’ombelico, dal cuore, dall’esperienza silenziosa di energie yogiche risvegliate; ma più che la ripetizione dei mantra e la diffusione delle loro vibrazioni attraverso la melodia, il ritmo e il sentimento, sforzatevi di assorbirne il significato e gustarne la dolcezza. La dolcezza del mantra non è alla portata di dilettanti e principianti, mentre la dolcezza del canto devozionale cattura tutti già alla prima sessione.
[3] La civiltà moderna si basa sul progresso tecnologico, ma c’è una tecnologia superiore: comprendere la coscienza e, grazie a tale comprensione, trasformare la coscienza in una fonte di potere; questa è Sujñāna, la conoscenza spirituale basata sulla propria esperienza, ben distinta da Vijñāna, che è la scienza. C’è poi Prajñāna, la somma sapienza, che trascende perfino la coscienza e porta l’uomo nel regno dell’Uno, del Principio onnipervadente e onnicomprensivo che è Dio. Questa è l’Advaita Jñāna, la Conoscenza non-duale integrale, l’apice del viaggio dello spirito. Si afferma che i Veda siano il respiro di Dio, poiché la parola o la voce sono il respiro. I Veda sono Akshara, che significa ‘indistruttibile’, la lettera, il simbolo della vibrazione che si diffonde nell’universo esercitando la sua influenza per sempre. Il Verbo è valido per tutti i tempi, è divenuto Akshara, OM, il simbolo visibile. Sullo schermo di asti-bhāti-priyam (essere-illuminazione-beatitudine) viene proiettato il film ‘Nome-Forma’, ma voi ignorate lo schermo e vi concentrate su quell’avvincente film; così prendete l’effimero per vero e trattate come inesistente ciò che è permanente. Distaccatevi dal complesso Nome-Forma e fissate la mente sullo schermo che costituisce la verità. Mantra significa ‘ciò che salva meditando su di esso’. Il Nome di Dio, uno qualsiasi dei Suoi innumerevoli Nomi, può servire a tale scopo. Il Nome è come il pungolo che controlla l’elefante in calore e lo costringe ad inginocchiarsi e a sollevare un tronco sulle zanne.
[4] Arjuna scese sul campo di battaglia ben equipaggiato ed estremamente deciso a sterminare i suoi nemici ma, quando si trovò tra le due schiere opposte sul carro condotto dal Signore Krishna, egli vide i ‘miei maestri’, ‘mio nonno’, ‘i miei parenti’, ‘i miei cugini’, e rimase così turbato da tale senso di ‘io’ e ‘mio’ che lasciò cadere l’arco e desiderò andarsene, misero e sconfitto. Disse che avrebbe preferito indossare la veste ocra dei rinuncianti ed elemosinare per vivere, piuttosto che sedersi su un trono conquistato con un massacro! L’«Io» che non ha davvero nulla a che fare con le proprietà terrene lo ingannava e lo induceva ad identificarsi con cose irrilevanti. Questa è l’illusione da cui egli venne salvato grazie alla Bhagavad Gītā. Imparate quindi la lezione: rimanete impassibili, non lasciatevi influenzare dalla dualità, non permettete al successo o alla sconfitta di turbare la vostra calma e la vostra gioia interiore. Considerate il vostro ‘Sé’ come voi stessi, indipendente, esente da qualsiasi relazione con gli altri o con il mondo oggettivo. Quando riconoscerete il vostro ‘Sé’ come voi stessi, sarete liberati: quella è Moksha, la liberazione! Moksha non è un albergo a cinque stelle o un alloggio turistico di lusso; è la consapevolezza della vostra Realtà, è la negazione di tutte le concezioni opposte. Riuscirete a riconoscere voi stessi rapidamente e con chiarezza se purificherete il cuore con i mantra o cantando la gloria di Dio; entrambe le pratiche vi conferiranno questa benedizione.
[5] Il canto è stato il motivo ricorrente dei Veda, l’arte di Sarasvatī, la Dea delle Scritture, il flauto di Krishna, l’OM emesso dalla conchiglia di Vishnu, il suono del tamburello di Shiva. Nārada, il saggio sempre immerso nella beatitudine del canto, si trovò un giorno ad affrontare un grande dilemma: “Dove devo recarmi per avere un colloquio con Dio? Devo andare a Tirupati, a Bhadhrāchalam, Kāshi, Badhri, Puttaparti o a Pandharpur? O dove altrimenti?” Il Signore Nārāyana gli rispose: “Non preoccuparti di andare in un luogo specifico. Ovunque i Miei devoti cantino, là Io risiedo!” Perciò, cantate con il cuore, consapevoli dei vari livelli di significato che ogni parola riveste; in tal modo Dio si stabilirà nel vostro cuore. Come v’impegnate ogni giorno a fare esercizio fisico e a calcolare l’assunzione di calorie e vitamine dedicando meticolosa attenzione al valore nutritivo del cibo, allo stesso modo state attenti all’acquisizione di impressioni nella mente: chiedetevi se siano debilitanti o energetiche e se migliorino la capacità mentale di resistere ai virus dell’avidità, invidia, odio, orgoglio, malizia, ecc. Prestate attenzione che il vostro cibo sia composto da buoni atti di servizio e da pensieri divini, bevete poi il succo dell’Amore per deglutirli e digerirli bene. Allora risplenderete di salute mentale, felicità e benessere.
Prashānti Nilayam, Dasara, 06.10.1970