[1] Il rito sacrificale inaugurato oggi è prescritto dal Karma Kānda dei Veda per santificare il tempo e realizzare l’obiettivo dell’uomo che si è incarnato nel mondo. La pratica di rinuncia e dedicazione che caratterizza tutto il rito promuove la felicità terrena come pure il progresso spirituale, favorisce la carità e la coesione sociale. Il sacrificio rituale compiace gli Dèi che presiedono alle forze della natura, pertanto fa scendere la pioggia che aiuta le messi a crescere e produce il cibo per uomini e animali. Le azioni disgiunte dagli obiettivi spirituali, prive di riverenza e umiltà, conducono alla presunzione e all’autoritarismo e rendono l’uomo arrogante e crudele; ma i saggi dell’India stabilirono che tutte le attività devono essere svolte come sacrificio, come offerta alla gloria di Dio, in un clima di gratitudine e timore reverenziale, di umiltà e santità. Lo scopo di tutte le azioni era di raggiungere la felicità e la pace di tutta l’umanità, anzi di tutti gli esseri viventi. L’esaltazione personale era bandita e condannata. Proprio grazie all’importanza attribuita alla santità ed al servizio, per secoli l’India ha acquisito la stima di tutto il mondo. I Veda dichiarano: “L’immortalità non si conquista con azioni ardite, con progenie di grande talento, con vaste ricchezze, ma solo con la rinuncia e con la condivisione.” Lo scopo di riunire qui molti che ripongano fede nei Veda è per attirare la vostra attenzione su tali verità e su questi riti essenziali; oggi la cultura indiana è ridotta ad un confuso miscuglio di mezze verità, a causa della cinica trascuratezza che la gente riserva a tali insegnamenti e discipline.
[2] Il Mahābhārata è l’opera che presenta i grandi ideali del passato in modo chiaro ed inequivocabile. I cinque fratelli Pāndava trionfarono superando ostacoli impossibili per effetto della grazia divina che essi conquistarono praticando il Dharma. La rettitudine è ben rappresentata nella persona del primogenito Dharmarāja, assistito dalla forza della dedizione espressa dal secondogenito Bhīma e dalla forza della purezza del terzo fratello Arjuna. Oggi abbiamo abbondanza di Dharma nei libri ed anche nelle parole che pronunciamo, ma senza quella forza che nasce dalla dedizione e dalla fede, dalla purezza del carattere e della condotta, il Dharma è privo di potere e non è in grado di ottenere la grazia di Dio. Questa è la situazione attuale, ma non c’è motivo di perdersi d’animo. Quando il sole tramonta, la gente si lamenta perché se ne è andato, ma il sole non tramonta mai: è la terra che gira e continua a ruotare per ricevere luce e calore. Quando l’ignoranza che lo avvolge sarà rimossa, il Dharma brillerà ancora e reggerà il mondo; il Veda Purusha Jñāna Yajña è un mezzo per far risplendere il Dharma.
[3] Cinque tipi di riti sacrificali sono stati stabiliti per l’uomo onde permettergli di avvicinarsi a Dio; per eseguirli non è necessario avere i preti come intermediari o materiali costosi, né cerimonie elaborate. Ogni capofamiglia può compierli e ottenerne i frutti.
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Daivayajña, rito sacrificale dedicato al Divino: significa la resa di tutte le azioni ai piedi di Dio; vuol dire dedicare i pensieri, le parole e le azioni alla glorificazione di Dio.
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Pitruyajña, rito sacrificale dedicato agli antenati: contempla l’offerta di cibo e di acqua consacrata in nome dei genitori, dei nonni e bisnonni. Qualcuno ironizza su questo rito dicendo che tali offerte non possono raggiungerli, ma i mantra pronunciati durante l’oblazione rivelano che ci si rivolge ai defunti identificandoli con le Divinità, così il rito viene completamente sublimato. In tal modo esprimiamo gratitudine alle persone che ci hanno portato in questo mondo e ci hanno dotato di tutto il necessario per svolgere i nostri ruoli. Offrire un tributo di riconoscenza è quindi l’essenza di questo rituale.
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Brahmayajña, rito sacrificale dedicato ai saggi e alla tradizione spirituale: si compie con lo studio delle Scritture e dei testi sacri che hanno fatto sorgere in noi il desiderio della liberazione.
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Manushyayajña, rito sacrificale dedicato all’umanità: viene soddisfatto offrendo ospitalità e fornendo assistenza ai malati, agli afflitti ed ai poveri.
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Bhūtayajña, rito sacrificale dedicato agli esseri viventi: implica la benevola attenzione nei confronti degli animali, specialmente quelli domestici che danno il latte e faticano per noi nei campi come animali da tiro; comprende anche gli animali da compagnia, cani, gatti, pecore e tutti gli esseri che strisciano e si arrampicano, comprese le formiche; si spargono dei semi sopra i formicai per nutrirle e per espiare l’uccisione di quelle formiche che abbiano cercato riparo nel combustibile che viene bruciato.
[4] Il Veda Purusha Jñāna Yajña è l’essenza dei cinque rituali suddetti e ne è un’elaborata interpretazione. Oltre al sacrificio stesso, ogni pomeriggio avranno luogo i discorsi esplicativi tenuti da alcuni studiosi vedici sui principi fondamentali del Sanātana Dharma, con particolare attenzione ai riti eseguiti. Otto anni fa, numerosi letterati e studiosi vedici si sono riuniti in un’organizzazione detta ‘All India Prashānti Vidvan Mahāsabhā’ per diffondere il modello di vita vedico tra la popolazione di questa nazione ed all’estero. La lezione fondamentale che i Veda cercano d’introdurre è che c’è solo UNO, non due; ciò che appare come due è solo l’Uno visto due volte, o visto come due. Perfino il cento non può esserci senza l’uno. Uno per cento volte fa cento. L’Uno è la base. Il bimbo continua a persistere nel ragazzo, nel giovane, nell’adulto, nell’anziano e nel vecchio. L’Uno persiste attraverso tutte le modificazioni e le addizioni. Oggi è l’anniversario di tale organizzazione che si sforza di divulgare questa verità tra la gente affinché ottenga Luce, Amore e Gioia.
Prashānti Nilayam, Festività di Dasara, 03.10.1970