Discorsi Divini
5 Febbraio 1963 – Alla ricerca di Sītā
5 Febbraio 1963
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Alla ricerca di Sītā
[1] Per tre giorni i pandit che hanno tenuto qui i loro discorsi vi hanno parlato del Rāmāyana. Nel caso di un esperto in materia come Dikshit, questo è comprensibile, ma anche l’altro letterato ha tralasciato i soliti temi per parlare di questo poema epico. Certo, il Rāmāyana è un oceano sconfinato dal quale si possono scavare innumerevoli canali ove attingere acqua. Mi chiedevo però se almeno oggi qualcuno facesse riferimento alla Realtà di Krishna! Non intendo dire che ci si stanchi della Realtà di Rāma. La Realtà del Signore è sempre attuale e nuova! Ogni esistenza è un’opportunità inedita, una nuova possibilità per realizzare la Verità. Ieri è già passato, l’oggi è la nuova opportunità, l’occasione unica è ora, poiché del domani non c’è certezza. Ogni minuto deve essere accolto come irripetibile e prezioso. Non tormentatevi per tutto il tempo che avete sprecato; afferrate il momento che avete a disposizione. Cercate il Signore come Hanuman ha cercato Sītā. Egli non l’aveva mai vista, gli era stata solamente descritta ma poteva ben immaginarla, visto che Rāma anelava a lei così profondamente: il Suo era come l’attaccamento dell’Essere Supremo per la Creazione, null’altro. Seguendo l’esempio di Hanuman, anche l’uomo deve cercare l’imperscrutabile Ādi Shakti, l’Energia Primordiale dell’Universo, in mezzo alle molteplici attrazioni e distrazioni di ‘Lankā’. Poiché questa Entità è sconosciuta, la si deve scoprire attraverso le caratteristiche che si ritiene debba possedere. L’esperienza dei saggi è l’unica guida, la sola mappa. La mappa è fornita dal Bhāgavata, dal Rāmāyana e dai Purāna. Custodite la Madre Universale nei vostri cuori, con i Suoi lineamenti chiari e puri, poi avanzate con coraggio nella terra dei demoni, e ne uscirete vittoriosi. Impegnatevi totalmente nella ricerca, abbiate fede salda; in tal modo vi colmerete di beatitudine.
[2] Chi può descrivere le caratteristiche della Sītā che state cercando? Solo Rāma può farlo, perché è il Signore. Prendetelo come la guida più veritiera, così come lo sono i Veda. Lakshmana, Sugrīva e gli altri sono come le Scritture che espongono una questione per deduzione, non per padronanza dell’argomento; infatti non hanno descritto Sītā: non potevano farlo perché non l’avevano vista. Quando Rāma si recò all’eremitaggio di Citrakūta, i saggi, i santi e gli studiosi vedici si strinsero attorno a Lui; la loro gratitudine per avere avuto la Sua visione divina era come una ghirlanda di fiori posta sul Suo petto, fiori di molti colori ma tutti legati con un unico filo di devozione profonda. Essi erano consapevoli che Rāma fosse il ‘Visto’ ed il ‘Non visto’, venuto a ripristinare il Dharma ed il Karma, poiché l’uomo può essere certo di conseguire la pace e la salvezza solo attraverso la rettitudine e l’azione compiuta secondo una retta linea di condotta. Gli Avatār insistono sulla pratica del Dharma. Si dichiara che l’obiettivo degli Avatār sia il ripristino del Dharma e la costituzione di una società orientata alle virtù ed a Dio; ma a cosa serve il Dharma se non a liberare dalla schiavitù dell’ignoranza? [3] Un aeroplano deve atterrare in luoghi specifici per prendere a bordo chi ha il diritto di volare in quanto ha acquistato il biglietto. Analogamente, il Signore deve scendere in modo che tutti quelli che hanno acquisito il diritto di essere liberati, possano essere salvati. Può capitare anche che altri vengano a sapere del Signore, della Sua grazia, dei modi per conquistarla e della gioia della liberazione. Ci sono alcuni che ancor oggi rifiutano la possibilità di viaggiare in aereo; maledicono questi congegni e li criticano. Allo stesso modo ci sono molti che hanno da ridire sull’Avatār che è venuto a portare salvezza. Dikshit ha parlato di Kabandha1 che imprecava contro Rāma e lo voleva mangiare vivo. Rāma invece lo liberò dalla sua maledizione e lo riportò alla sua gloria iniziale.
Parashurāma, l’inveterato nemico della casta dei guerrieri, apparve davanti a Rāma mentre Egli stava ritornando ad Ayodhyā dopo il Suo matrimonio. Parashurāma, terribile a vedersi, faceva fuoco e fiamme perché aveva sentito il rumore metallico dell’arco di Shiva quando Rāma lo aveva spezzato in due, perciò sfidò Rāma a tendere l’arco di suo padre ed a combattere in duello; ma Rāma gli disse: “Tu sei degno di rispetto; sei un bramino e sei imparentato con il saggio Vishvāmitra.” Ogni passo della carriera di un Avatār è predeterminato. Rāma sapeva bene che la venuta di Shūrpanakhā2 era il preludio dell’arrivo di Rāvana. Rāma aveva chiesto a Sītā di entrare nel fuoco e di rimanerci solo per una dimostrazione esteriore. Ancora prima della Sua manifestazione umana, il Signore aveva deciso che la Shakti, l’Energia Divina Creatrice, avrebbe dovuto accompagnarlo, poiché le austerità praticate da Rāvana erano così potenti che solo uno dei peccati capitali avrebbe potuto annullare completamente tutte le benedizioni che aveva ottenuto dagli Dei. La prova del fuoco cui Sītā fu sottoposta, non fu affatto una prova. Fu organizzata solo per recuperare Sītā dal fuoco in cui si era rifugiata in preparazione dell’episodio di Lankā. Questo è il modo in cui si manifesta l’Avatār. Non andrà in giro ad annunciare la Sua natura, ma si annuncerà con i fatti.
[4] Jatāyu3 riconobbe la divinità di Rāma e disse: “Rāma! Sono contento; questo corpo ha realizzato l’apice della gioia; ti ho visto e Tu mi hai toccato; ti ho parlato ed ho ascoltato la Tua voce.” Solo Rāma conosce l’importanza di ogni Suo passo ed il significato di quello successivo. Egli cesella la propria carriera. Vi è stato detto che Rāma ha dimostrato all’uomo come sopportare il dolore, mentre Krishna ha insegnato come superarlo. Questo non è corretto, perché Rāma interiormente era solo beatitudine, sebbene esteriormente soffrisse per Sītā. La divina Realtà di Rāma è conosciuta solo a Lui. Cosa possono sapere gli altri? Al massimo possono avere un barlume della Sua grazia, ed anche questo accade solo se sono immersi in un’intensa e profonda preghiera a Dio. Pensatelo, chiamatelo, Egli si scioglierà! In qualunque forma possa risplendere, l’intensità della vostra preghiera ve lo farà riconoscere. Potrebbe essere un pastore che sta sotto un albero con il flauto alle labbra. Lo vedrete, lo adorerete e lo collocherete nel vostro cuore. Voi lodate il Signore come amore, misericordia e grazia, ma ambite davvero conquistare queste cose? Credete di poterle ottenere? Vi sforzate di farne tesoro? Prendete ad esempio Shūrpanakhā, la sorella di Rāvana; fu mutilata da Lakshmana, rifiutata da Rāma e ridicolizzata da Sītā, insomma fu umiliata oltre misura. Pertanto fuggì terrorizzata da suo fratello, e cosa gli chiese di fare? Descrisse l’incantevole fascino, la grazia divina di Rāma e gli consigliò di saturare il suo cuore con la dolcezza che Rāma effondeva attorno a Sé! Rāma venne ad alimentare le radici di Satya e Dharma, Verità e Rettitudine, e quindi Sītā si unì a Lui seguendo i corretti riti ortodossi. In realtà, non ci fu nessun rapimento di Sītā.
[5] Nel caso dell’Avatār Krishna, il compito era quello di promuovere la Pace e l’Amore. Ora, tutti e quattro i Valori sono minacciati di inaridirsi. Il Dharma, fuggito nella foresta, deve essere riportato nelle città e nei villaggi, mentre l’iniquità che ha rovinato villaggi e città deve essere ricacciata nella giungla. Non avrete pace finché tutto questo non sarà compiuto perché è un vostro problema, un problema in cui ognuno di voi è coinvolto in modo vitale. Il fatto è che voi non siete consapevoli di una questione: la liberazione. Una volta alla corte di un re c’era un cortigiano così indolente ed amante del riposo che ogni volta che il re gli ordinava di incontrare qualcuno, sollevava obiezioni inconsistenti come “Forse è via.” “Se non mi saluta, cosa farò?” “Se dovesse dare in escandescenza?” “Potrei non riuscire a tornare in tempo.” Allora il re fece ricamare la parola ‘stolto’ su un ampio nastro e gli ordinò di legarlo sulla fronte in modo che tutti potessero imparare una lezione; così il cortigiano fu messo alla berlina da tutto il palazzo. Dopo pochi mesi il re fu in punto di morte ed i cortigiani fecero a gara nel compiangerlo. Quando lo stolto gli si accostò, il re gli disse con le lacrime agli occhi: “Sto partendo per il mio ultimo viaggio, caro stolto.” Allora il cortigiano propose: “Aspetta, porto l’elefante reale!” Ma il re scosse la testa e replicò: “Gli elefanti non mi porteranno laggiù.” Lo stolto allora supplicò il re di utilizzare la carrozza, ma egli gli rispose che neanche la carrozza sarebbe stata di utilità; in alternativa suggerì il destriero reale, ma anche quello non sarebbe stato di aiuto. A quel punto lo stolto domandò innocentemente al re in quale strano posto fosse diretto, ed il re replicò: “Non lo so.” A quella risposta, lo stolto si tolse il nastro dalla fronte e lo legò sulla fronte del re moribondo. “Te lo meriti più tu: sai che stai partendo ma non sai dove! Sai che né gli elefanti, né i cavalli o le carrozze possono andarci, però non sai dove si trovi il posto né come sia!” Tuttavia voi potrete farvi un’idea di quel luogo se valutate le vostre azioni ed i vostri pensieri ora, in questa vita.
Prashānti Nilayam, 05.02.1963
da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications