Discorsi Divini
4 marzo 1962 (Mahashivaratri) – Trascorrete i vostri giorni con Shiva
4 marzo 1962
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Trascorrete i vostri giorni con Shiva
[1] Guardando questa marea di volti, preferirei non parlare; vorrei trarre beatitudine dal solo osservarvi, vedendo la vostra devozione e la vostra fede. Voi guardate Me ed Io guardo voi; cos’altro è necessario per far sorgere la beatitudine? Tuttavia voi desiderate anche udire le Mie parole ed ascoltare la Mia voce. Questo dà la misura del vostro amore. Siete così abituati a sentire gente che parla, che se non udite nulla le vostre orecchie vi dolgono! E se costoro non parlano, le loro lingue diventano irrequiete, impazienti. Le orecchie e la lingua sono talmente avvezze ad essere sempre attive che è difficile per voi, ora, stare seduti quietamente per qualche minuto in comunione col vostro silenzio interiore! L’uomo è così chiamato perché sa riflettere sul significato e sull’importanza di ciò che ha ascoltato, ed avverte anche l’impellente bisogno di una vita interiore. Voi, però, non siete ancora usciti dallo stadio dell’ascolto, mentre gli insegnanti non hanno superato la fase dell’insegnamento verbale; dunque, oggi desiderate ardentemente ascoltare le Mie parole.
[2] Rāma Sharma ha recitato alcuni bei versi da lui composti su Shiva e su come conquistare la Sua Grazia, poiché oggi è Shivarātrī. Sono poesie sature di dolcezza come un frutto, tanto che non dovreste scartarne neanche la buccia. Sharma ha descritto il Signore come lo Spirito che alberga in ogni creatura vivente e vi ha invitati a praticare l’incessante ripetizione del Nome di Dio.
Alcuni potrebbero tuttavia domandarsi perché. Parecchie persone sono venute da Me e mi hanno fatto questa precisa domanda: “È da anni oramai che ci impegniamo in questa disciplina; abbiamo scritto il Nome milioni di volte, lo abbiamo ripetuto assiduamente per molti anni, ma senza risultato! Perché non siamo stati in grado di raggiungere l’obiettivo?” Vorrei che ognuno di voi cercasse la risposta da sé. Esaminate il vostro sforzo e ciò che avete raggiunto, e poi giudicate voi stessi la vostra pratica spirituale senza il Mio aiuto. Avete agognato, avete desiderato Dio ardentemente, avete pianto per Lui come fece Thyāgarāja, ad esempio? Avete versato lacrime di pentimento? Vi sono venute le lacrime di gioia agli occhi mentre ripetevate il Suo Nome così pieno di dolcezza e bellezza, mentre vi figuravate la Sua Forma tanto amabile ed affascinante? Forse avrete pianto, ma chissà per cosa; chissà quale impulso vi ha indotto a quella tristezza! Erano forse lacrime versate per paura, per attaccamento, per orgoglio, o perché il Signore non era vicino?
[3] Un bimbetto si siede con un libro delle Upanishad sulle ginocchia, incomincia a sfogliare pagina dopo pagina e, con lo sguardo fisso su quelle righe stampate, osserva con grande attenzione e deliberata lentezza quei caratteri così curiosi. Anche un asceta fa la stessa cosa, ma potete forse paragonarli ed asserire che sono entrambi impegnati nel medesimo tipo d’azione? Il bimbo non è consapevole del tesoro che tiene fra le mani, mentre l’asceta entra in contatto immediato col potere spirituale che quelle righe gli comunicano. Scoprite da soli se la vostra pratica è stata risoluta e sincera, solerte e valida. Nella sua poesia Rāma Sharma ha cantato di Sāisha, ossia di Sai come Īsha o Īshvara (Signore) o Shiva-Sai, come egli ama rivolgersi a Me. Ci ha parlato della grande, incommensurabile ed indescrivibile gioia che scaturisce dall’unione con Shiva-Sai e della devozione e dell’amore necessari per quel compimento. Quando stava descrivendo tutto ciò, vi ho visti emozionati. L’esultanza da cui è nata quella poesia e la gioia che Sharma stesso ha provato nel leggerla davanti a Me ed a voi, sono strumenti sicuri per raggiungere l’obiettivo, ve l’assicuro. Chiunque abbia l’entusiasmo, la risolutezza e la determinazione di raggiungere la meta, di sicuro ci riuscirà. Abbiate fiducia in quel successo finale; non disperate mai, non polemizzate e non dubitate. Questa è la Mia esortazione per tutti. La vittoria spirituale è un vostro diritto di nascita e dovrete ottenerla, meglio presto che tardi.
[4] Soprattutto, non lasciate spazio al cancro del dubbio. Perché argomentate su di Me, su questo o quell’aspetto? Voi discutete e dibattete su chi sia esattamente Baba! Cosa v’importa chi Io sia in realtà? A voi interessa il vostro obiettivo, il vostro ideale, la vostra esperienza, il vostro impegno, non è così? Perché dunque preoccuparsi della Mia origine, della Mia natura, del Mio mistero e dei Miei miracoli? La cosa fondamentale è la mano; la tazza che essa tiene è secondaria. Ciò che è supportato ha meno importanza del supporto, che è la Realtà fondamentale, l’Esistenza pura. Se non riuscite neanche a conoscere la vostra Realtà fondamentale, perché sprecare il tempo ad esplorare l’Essenza della Divinità? In realtà, potrete comprendermi solo dopo aver compreso voi stessi, ossia la vostra Verità essenziale. Chi è di mente grezza può capire solo ciò che è grezzo; tutte le sue categorie di conoscenza possono raggiungere unicamente quel livello. I pesci muoiono se devono respirare l’aria al di sopra dell’acqua. I bambini possono imparare l’alfabeto solo con l’aiuto di lavagne, lavagnette, matite e gessetti. Un principiante della spiritualità ha bisogno di simboli, immagini e rituali. Non potete abbandonare il Nome e la Forma finché non vi siete trasformati nel Senza Nome e Senza Forma; così accadde ai pesci che avevano bisogno dell’acqua e non potevano sopravvivere nell’atmosfera, finché non si trasformarono in animali terrestri abbandonando la loro natura acquatica. Per questa ragione il Senza Forma deve spesso assumere un Nome ed una Forma e presentarsi all’umanità con le limitazioni imposte dalla Sua stessa Volontà per potere essere amato, rispettato, adorato, ascoltato e seguito, in modo che lo scopo dell’umanità possa essere raggiunto.
[5] Un elefante di legno, per quanto sia artisticamente perfetto e realistico, resta solo un giocattolo e non potrà mai trasmettere la sensazione di un elefante vero. Una biblioteca piena zeppa di libri non è in grado di fornire il tocco autentico del guru vivente. Potete benissimo camminare fino a raggiungere dieci templi e poi venire qui pensando che sia l’undicesimo. Questo è infruttuoso quanto il vagare dalla decima biblioteca all’undicesima. Dovete vedere, ascoltare, studiare, osservare, sperimentare e riflettere; solo così potrete comprendermi.
Capirete allora che Io sono l’Amore stesso, e che tramite quell’Amore dispenso solo una cosa: Beatitudine. Il Mio compito è quello di confortare ed infondere coraggio e pace. Le Mie caratteristiche sono quelle antiche ed autentiche, solo la Forma della Manifestazione è nuova. Il Mio desiderio, se posso esprimerlo in poche parole, è questo: voglio che sempre più persone desiderino ardentemente Me. Questo desiderio poteva realizzarsi solo prendendo questa Forma fisica e venendo in mezzo a voi. Quelli fra voi che hanno seguito lo svolgersi della Mia storia l’avranno ormai capito, sebbene anche ai migliori venga svelata solo una frazione del Mio mistero. Voi siete come un pubblico di persone di lingua Telugu che assista ad un film in Tamil, o viceversa; non riuscite ad afferrare le sfumature, le allusioni sottili ed i significati profondi. Il Mio linguaggio, il Mio ruolo, la Mia carriera e il Mio scopo potranno essere compresi, in linea di massima, solo guardando l’intero film, osservandolo con concentrazione, provando a scoprire il significato d’ogni parola e gesto con paziente attenzione.
[6] In realtà, il linguaggio è un ostacolo nel rapporto con Me. Tutte le lingue hanno una funzione nella società per esprimere i sentimenti, nascondere le debolezze, dar forma ai pensieri. Io, tuttavia, parlo ed ascolto il linguaggio dell’anima. Le parole pronunciate dalle lingue degli uomini confondono e turbano, generano fazioni e settarismi, innalzano muri; le parole che provengono dallo Spirito, invece, diffondono amore e concordia. La disciplina spirituale deve essere intrapresa dopo aver conseguito un buon carattere. L’impegno spirituale risulterà vano se sono presenti impurità, vizi e malvagità; sarebbe come mettere un gioiello sulla testa del cobra, al centro di veleno e crudeltà. Alcune persone vengono qui e trovano pace e serenità ma, dopo anni di partecipazione e servizio, diventano preda della confusione e ricadono nel vecchio pantano, svilendosi a tal punto da negare le loro stesse esperienze ed ingannare la loro stessa coscienza! Non desidero affatto che costoro mi onorino e seguano Me; chiedo solo che la verità sia proclamata indipendentemente dalla compagnia che incontrate. Dovete avere il coraggio delle vostre convinzioni; questo vi aiuterà a superare la tentazione di rinnegare le gioie che avevate ambito così intensamente.
Altri si fanno travolgere dalle manifestazioni isteriche di certi individui mentalmente labili, attraverso i quali si dice che Io parli od agisca! Credetemi: Io non uso di tali assurdità! Non utilizzo gli altri come Miei intermediari, non ne ho bisogno, e non mi dimeno a destra e sinistra balbettando! Persino coloro che torturano i propri corpi e soffrono le pene dell’ascetismo per anni, fino a lasciarsi ricoprire da un formicaio e diventare rigidi come un ceppo di legno, trovano arduo realizzare Dio. Come possono dunque questi indolenti, che s’ingozzano di cibo e vagabondano schiavi dei propri sensi, guadagnarsi quella condizione così facilmente? I loro gesti, le loro parole ed azioni sono vuote ed inutili; chi accende incensi davanti a questi individui e li onora si allontana da Me per seguire un’impostura. Come può Colui che è la Totalità stessa gingillarsi con tali meschinità ed indossare l’abito dello sciocco? Se Dio si è manifestato assumendo una Forma fisica, credetemi, non colmerà recipienti di bassa lega, non adornerà materiale scadente, né entrerà in corpi impuri. Non esaltate, quindi, simili falsità causando la rovina di quegli sfortunati. Trattateli severamente, piuttosto, e saranno corretti. Chi ha visto lo splendore del diamante non si farà trarre in inganno dalla sfavillio di gingilli di vetro. Il Signore è come il diamante, con qualsiasi nome lo chiamiate. Un fronzolo invece non potrà mai diventare un diamante per quanto lo si decanti a gran voce, per quanto categoricamente lo si declami.
[7] Uddhalaka, un contemporaneo di Chaitanya, scelse d’adorare Dio come il Manifesto, ossia nella Natura. Venerava il Creatore attraverso la Sua creazione; adorava il contenitore per il suo Contenuto. In breve, Uddhalaka venerava Rādhā, il cui anagramma (Dha-ra) indica la Natura, ossia l’aspetto femminile di Krishna che è invece il Purusha (lo Spirito Supremo), la Sua metà inseparabile! L’ardore di Uddhalaka era talmente commovente e le sue penitenze così persuasive! Un giorno, un venditore ambulante di bracciali camminava lungo le sponde del fiume Sarasvatī che costeggiavano il villaggio, quando scorse una fanciulla che stava lavando sulla gradinata del fiume. La giovane donna chiamò il venditore, scelse varie paia di braccialetti e li indossò. Alla fine, quando l’uomo le chiese i soldi, ella disse: “Oh, mi sono completamente dimenticata del denaro che ti devo; per favore, vai a casa di Uddhalaka, nel villaggio chiunque potrà indicarti dove si trova e chiedi a lui i soldi; digli che sua figlia ha comprato dei bracciali e te li pagherà di sicuro. Aspetta, digli anche che i soldi sono dietro l’immagine di Rādhā nella sua camera delle preghiere.” L’uomo la prese in parola e s’affrettò verso il villaggio in cerca della casa. Uddhalaka restò sconcertato dal racconto poiché non aveva figli, anzi, non era neppure sposato. Ma il venditore insistette e gli domandò di guardare dietro l’immagine di Rādhā, poiché era certo che quella ragazza fosse incapace di mentire. Uddhalaka negò di aver mai riposto del denaro proprio là. Come avrebbe potuto utilizzare quel luogo sacro per tenere i soldi! Tuttavia, solo per soddisfare il venditore, diede un’occhiata e, con sua grande meraviglia, trovò una stoffa annodata che conteneva esattamente i soldi necessari per pagare i bracciali. In un lampo realizzò che era stata Rādhā in persona a mandargli l’ambulante; si buttò ai piedi dell’uomo e poi corsero al fiume, sopraffatti dalla gioia e dalla gratitudine. Per pochi istanti Uddhalaka ebbe una visione gloriosa sulle acque: il braccio destro di Rādhā rifulgeva con i bracciali nel sole del mattino. Capì che quel braccio era alzato per benedirlo e sentì che Ella lo stava chiamando; lasciò le sue spoglie mortali e volò in grembo a Lei.
[8] Potete benissimo venerare la Natura, non c’è nulla di male in questo, a patto di realizzare che Dio è immanente in essa e le dà forma, nome e valore. Dovete essere consapevoli che un vestito è solo del filato, un vaso è soltanto argilla ed un gioiello non è altro che oro. Potete addirittura venerare i vostri genitori e realizzare Dio attraverso tale disciplina. Essi sono i vostri creatori, le vostre guide, maestri e protettori; idealizzandoli, potete afferrare la Verità di Dio, il Genitore Primordiale. Anche se non riuscite a concepire l’idea di un Dio o Signore, attraverso la vostra esperienza dovete capire almeno cos’è l’Amore, non è così? Avete sperimentato l’amore dei genitori, di un amico, di un coniuge, di un fratello o di una sorella, oppure quello verso i vostri figli. Quell’amore stesso è una scintilla di Dio che è unicamente Amore, tutto l’Amore presente in tutti mondi ed in ogni era. Chiamate in soccorso vostra madre e l’amore che vi porta, e se la vostra madre fisica non potrà aiutarvi, qualche altra Madre o la Madre Suprema stessa certamente correrà da voi. C’è una bella storia che lo illustra: durante una notte buia, Shiva e Pārvatī viaggiavano nei cieli quando videro un uomo aggrappato ad un ramo di una pianta; l’uomo stava per cadere a terra perché le braccia non lo reggevano più. Pārvatī implorò Shiva di salvare lo sventurato, ma Shiva preferiva che a salvarlo fosse Lei! L’uomo era arrivato allo stremo delle sue forze, quindi decisero che se cadendo avesse gridato ‘Amma’ (Madre), sarebbe corsa Pārvatī a fermare la caduta, se invece avesse chiamato ‘Appa’ (Padre), sarebbe andato Shiva ad aiutarlo per evitare che si rompesse le ossa. L’uomo cadde e gridò ‘Ayyo!’ – solo un lamento di disperazione, quindi fu lasciato rigorosamente da solo! Il Signore è tanto ansioso di lenire la vostra sofferenza quanto lo siete voi di assicurarvi la Sua Grazia affinché ve ne liberi. Voi forse non ve ne rendete conto, ma Io lo so, lo sento.
[9] Tutto dipende esclusivamente dalle attitudini, dai tratti caratteriali che sono profondamente radicati in voi. Potete prelevare dal vostro conto in banca solo quanto avete depositato, e prima di staccare un assegno o calcolare la vostra liquidità, dovete verificare il vostro conto corrente. Aumentate le vostre risorse finanziarie invece di prosciugarle febbrilmente da irresponsabili. Le persone, purtroppo, preferiscono dilapidare i propri beni piuttosto che incrementarli. È la disgrazia di questi tempi: la gente gode nel distruggere e si ritrae dal costruire. Se un Comitato si impegna in un lavoro costruttivo, alcuni membri trovano quel lavoro poco interessante e ne prendono le distanze, ma se si tratta di screditare qualche altra istituzione, gli associati desiderosi di buttarsi nella mischia sono assai più numerosi. Dovete quindi mantenere integro il vostro discernimento e discriminare fra gli impulsi costruttivi e quelli distruttivi. Non prestate orecchio alla critica disfattista ed al cinismo, gli odierni veleni che stanno divorando le parti vitali della vita spirituale. Testimoniate la verità della vostra stessa esperienza, non mentite a voi stessi o a Me. Il Mio nome è Sathya Sai che significa: ‘Colui che poggia sulla Verità’. Mi vengono in mente alcuni episodi del passato, di quando ero nel corpo precedente. Anche allora la Verità era la Mia base. Un giorno un lottatore mi sfidò a competere contro di lui in un incontro e fu sconfitto di fronte ad un grosso numero di persone del villaggio. Umiliato da quell’oltraggio, l’uomo invitò Baba [di Shirdi] ad una rivincita il giorno seguente, in modo da ripristinare la perduta reputazione. Egli giurò che se fosse stato nuovamente sconfitto, avrebbe indossato una lunga e ruvida tunica e sarebbe andato in giro col capo coperto da un drappo, ed ebbe il coraggio di sfidare Baba a giurare la stessa cosa. Baba non aveva voglia di entrare di nuovo nell’arena ed era pronto a concedergli la vittoria tanto desiderata.
Accettò quindi la sconfitta e indossò Egli stesso la tunica ed il copricapo. Il lottatore provò un grande rimorso e la sua insolenza si dissolse. Domandò a Baba di riprendere il Suo consueto stile di vestire liberandolo dall’obbligo, ma Baba non si staccò dalla parola data. Egli era Satya, la Verità stessa, allora come adesso. Adottò quindi il nuovo abbigliamento.
[10] Mi viene in mente un altro fatto accaduto in quel periodo. Un giorno arrivarono alcuni amici del giudice Rege; si trattava di una madre col suo bimbo. Dopo circa un’ora trascorsa nella moschea di Dvārakāmayi [dove Sai Baba di Shirdi abitava], i due si recarono nel villaggio per assistere ad una recita su un tema tratto dai Purāna. Qui un pandit, con grande turbamento del bambino, descrisse Baba come un impostore e truffatore. Il piccolo costrinse la mamma a lasciare quel luogo, corse da Baba e gli raccontò tutta la storia. Baba si mise a ridere di gusto e disse: “È vero, sono un semplice mortale. Non sono il Potere Divino che tu credi Io sia.” Ma il bambino non si fece dissuadere e proclamò che Baba era Dio. “Non sono Dio, piccolo monello. Guarda: i Miei vestiti sono laceri e poi ho solo due mani, mentre Dio dovrebbe averne quattro, non è così?” Il fanciullo non aveva alcuna intenzione di credergli e continuò ad asserire che Baba fosse Dio nonostante le due mani mancanti. Mentre i due discutevano in tal modo, arrivarono delle persone esultanti per un miracolo di cui erano state testimoni. Un bambino era caduto dal piano superiore di una casa ed era rimasto illeso. Baba ammise: “Sì, l’ho sorretto con le Mie quattro braccia.” Il ragazzino saltò di gioia nel sentire quelle parole e si rivolse a Baba in questi termini: “Ora Tu stesso dici di avere quattro mani, quindi sei Dio.” Baba strinse il bimbo al petto e lo portò all’interno della moschea, dove gli diede la visione del Signore con le quattro braccia. Tale era la fedeltà alla Verità anche nel corpo precedente. Anzi, non si tratta di fedeltà: è la vera Natura di Sai. Dovete imparare il significato non solo del Mio nome, ma anche del vostro. Vi sono stati dati nomi pregni di fragranza divina e voi dovreste trarne ispirazione e coraggio. Durante l’incontro di questo pomeriggio, Swami Abhedānanda ha detto che preferirebbe essere chiamato Sathya Sai Charānanda e che mi scrisse di questo suo desiderio circa quindici giorni fa. Ma il suo nome gli insegna che non dovrebbe ipotizzare alcuna distinzione fra Me e lui; ci deve essere, infatti, una relazione di abheda, ovvero di identità. Egli deve praticare l’unità, la non-distinzione. Ecco cosa gli ho scritto: “Impara la lezione che il tuo nome attuale insegna, questo è sufficiente.” In egual modo, anche voi dovete accettare i vostri nomi non come mezzi d’identificazione e distinzione, ma come guide per la condotta, come punti focali per lo sforzo spirituale.
[11] Impegno! Questa è la cosa principale, un compito a cui nessun mortale può sottrarsi. Anche coloro che negano Dio oggi, un giorno dovranno percorrere la strada del pellegrino con i cuori addolciti dalle lacrime del pentimento. Se compite il più piccolo sforzo per progredire lungo il cammino della liberazione, il Signore vi aiuterà cento volte tanto. La festività di Shivarātrī vi trasmette questa speranza. La Luna è la divinità che presiede alla mente umana. Nella sua fase calante, il quattordicesimo giorno dopo il plenilunio, si riduce ad un piccolo spicchio che rifulge fiocamente. Anche la mente deve essere ridotta al lumicino fino a diventare così flebile in modo che l’uomo possa essere libero. Trascorrete tutti i vostri giorni con Shiva e la conquista della mente vi risulterà facile. Passate il quattordicesimo giorno di luna calante con Shiva; raggiungete il culmine dei vostri sforzi spirituali in quel giorno finale, ed il successo sarà vostro. Ecco perché il quattordicesimo giorno di luna calante di ogni mese dell’anno è chiamato Shivarātrī, ossia la notte di Shiva. La festività di Mahāshivarātrī corrisponde al quattordicesimo giorno di luna calante del mese di Magha [febbraio-marzo]. Questo è un giorno particolarmente dedicato a Shiva e, poiché molti di voi lo pregano qui ed altrove, il Lingam emerge da Me affinché tutti voi riceviate la Grazia e la Beatitudine del grande momento del Lingodbhāva [l’emissione del Lingam dalla bocca di Swami].
Prashānti Nilayam, Mahāshivarātrī, 04.03.1962
da DISCORSI 1961 1962 (Sathya Sai Speaks-Vol.II) ed.Mother Sai Publications