Discorsi Divini
30 Settembre 1960 – Sathya Sai Gītā (4)
30 Settembre 1960
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Sathya Sai Gītā (4)
[1] Oggi Thirumalāchar ha letto e spiegato la sezione della Sathya Sai Gītā, da lui composta, relativa allo Jñāna Yoga. Nessuno può dire quale sia la reale natura della creazione o del Brahman, l’Assoluto. Di fronte ad un universo che è fondamentalmente misterioso, che si pensa sia infinito, senza fine né principio, anche lo scienziato deve accettarlo in quanto tale, sebbene non riesca a formarsene un’immagine reale. Anch’egli deve basarsi sulla fede e credere in qualcosa che non può afferrare completamente, né dedurre né calcolare chiaramente. Quella Realtà può essere definita unicamente in termini negativi: ‘Non questo’. Il Brahman può essere descritto solo mediante criteri di negazione o di eliminazione: ‘Non questo, non questo’. In un mondo così artificiale, tutto è una mescolanza artificiale di nomi e forme, anch’essi artificiali. Tuttavia, convincersi che il mondo fenomenico sia mithyā, cioè un misto di vero e di falso, avente una realtà temporanea, è davvero molto difficile. Se andate a sbattere la testa contro il muro, è assai arduo credere che quel muro sia per metà falso, che il suo nome e la sua forma siano frutto di un’immaginazione illusoria e che la sua verità fondamentale sia il Brahman, che è la base di tutto!
[2] In ogni caso, un giorno o l’altro, tutti dovranno conseguire tale saggezza spirituale che può essere acquisita mediante il bhakti yoga (la via della devozione), il karma yoga (la via dell’azione altruistica e disinteressata) o il rāja yoga (la via della contemplazione e meditazione). Questi tre sentieri sono solo nomi diversi attribuiti al medesimo processo, come nella lavorazione del latte per ottenere il burro che in esso è intrinsecamente sempre presente. Una volta che il burro si è formato ed ha fatto una palla, può essere separato e rimanere intatto nello stesso liquido in cui è sempre stato. Analogamente lo Jñāni, il Realizzato, può continuare a vivere nel mondo, libero da ogni attaccamento poiché ha realizzato di essere della stessa sostanza del Brahman, il quale è immanente in tutto. Quando quel Brahman è visto attraverso l’illusione di Māyā, appare dotato di attributi e qualità e viene chiamato il Signore o Bhagavān.
[3] Il Signore ha sette caratteristiche principali: prosperità, gloria, saggezza, distacco, creazione, preservazione e dissoluzione. Potrete considerare divino chiunque possegga queste sette qualità che sono attributi permanenti degli Avatār, del Potere Supremo che persiste pienamente anche se apparentemente ha modificato Sé stesso con il potere dell’illusione. Ovunque troviate tali qualità, potrete riconoscere la Divinità. Anche voi siete di questa stessa natura, cioè l’Ātma col suo Supremo Potere; ma come il principe che è finito in un covo di ladri e cresce in mezzo a loro, così l’Ātma non riconosce la propria vera identità. Sebbene egli non lo sappia, è comunque un principe, sia che si trovi in un palazzo reale, in una foresta o in un covo di predoni. Molto spesso il principe avverte dei presentimenti circa il suo vero stato, un ardente desiderio di quella beatitudine che è di sua eredità, un richiamo della sua coscienza interiore che lo incita a fuggire e a diventare sé stesso. Quello è l’anelito dell’anima, la sete di una gioia permanente. Voi siete proprio come quell’uomo che ha dimenticato il suo stesso nome!
[4] La fame della mente può essere placata solo con l’acquisizione di Jñāna, la saggezza spirituale. La mente è come un custode che deve essere strettamente controllato dal suo padrone. Il custode farà entrare nella casa solo chi è amico del padrone. Allo stesso modo la mente deve accogliere solo quei pensieri e sentimenti che portano benessere al suo padrone. Pur essendo la mente lo strumento principale dell’uomo, il suo ruolo deve essere gradualmente ridotto senza permetterle di assumere il sopravvento. Non nutritela con desideri immorali e progetti meschini, ma infondetele forza alimentandola con ideali e coraggio. Quando la mente verrà eliminata, allora la saggezza spirituale potrà rifulgere in tutta la sua gloria. Dopo aver fatto l’esperienza che tutto è fondamentalmente ed interamente il Brahman, la vita non può continuare per più di ventun giorni. Una persona del genere non appartiene più a questo mondo illusorio, quindi non ha più desideri né attività, e persino il cibo e l’acqua diventano superflui. Come può il Brahman aver bisogno del Brahman, e come può il Brahman riconoscere il Brahman come cibo ed il Brahman come acqua? Tutti questi aspetti materiali svaniranno, il cuore si fermerà ed il corpo collasserà. La disciplina spirituale serve solo a tenere lo specchio davanti al sé e lo specchio, quando sarà pulito e lucidato, rivelerà il Sé: questa è la realizzazione dell’Ātma. Tutti hanno lo stesso Sé, perciò la verità di ogni uomo è la medesima per tutti.
[5] La compagnia di persone buone vi condurrà al Signore, mentre l’associazione con gente malvagia vi trascinerà nel pantano del mondo oggettivo. Come si possono distinguere gli uomini buoni da quelli cattivi? Coloro che s’impegnano nella meditazione, nella ripetizione del Nome, nella comunione col Divino e nell’adorazione sono buoni; di contro, chi non s’interessa a queste cose deve essere evitato dagli aspiranti spirituali che cercano la saggezza e che vogliono quell’estasi che viene quando il piccolo diventa grande, quando la gioia momentanea diventa permanente e quando il povero eredita grandi ricchezze. L’uomo buono è gentile e s’inchina facilmente davanti agli anziani, ai saggi ed ai ricercatori spirituali. Na-mah, ‘non mio’ è l’attitudine di base del namaskāra, l’atto del prostrarsi in segno di saluto e di rispetto; infatti significa proprio na mamakāra, ‘non mio’, cioè il riconoscere che ‘tutto quello che sono e possiedo è dovuto alla Sua Grazia.’ Trascorrete il vostro tempo in compagnia dei buoni e dei virtuosi. Ripulite bene la vostra mente con la spazzola del discernimento. Non vi chiedo di rinunciare alla vostra capacità d’analisi, anzi valutate, discriminate, sperimentate e analizzate la vostra esperienza e poi, se sarete convinti, accettatela. Bhakti (devozione), Yoga (comunione con Dio) e Jñāna (saggezza spirituale) sono tre porte d’accesso che conducono alla medesima sala; alcuni vi entrano da una parte, altri da un’altra, comunque tutti entrano nella stessa sala. Lo Jñāni, il saggio, vedrà ogni cosa come sostanza divina; il devoto come il gioco del Signore, ed il Karmayogi come servizio reso a Dio. È solo una questione di attitudine e di gusto; tutto dipende dallo stadio di sviluppo raggiunto dal ragionamento e dall’emotività. Thirumalāchar ha asserito che con il fiorire della saggezza spirituale, l’illusione se ne va; ma l’illusione non viene e non va. Se in questa sala portate una lampada, direte che è arrivata la luce e che l’oscurità se n’è andata? Ma dov’è andata? Spegnete la lampada e sarà di nuovo buio! L’oscurità non arriva all’improvviso dal luogo in cui si trovava, né riempie la sala passando attraverso le porte. Essa è lì tutto il tempo, non va via; in realtà, la sala è stata illuminata e quindi la luce è prevalsa. Analogamente, quando si conquista la Grazia del Signore, la saggezza spirituale prevarrà e l’illusione della separazione sarà privata di potere.
[6] Come è possibile acquisire la saggezza? Attraverso un processo lento e sistematico, eliminando tutti i fattori limitanti come l’avidità, la lussuria, l’orgoglio, l’invidia, l’odio e la nidiata venefica di tutti gli istinti possessivi e degli impulsi; mediante l’effetto educativo del Dharma, un complesso di regole stabilite dall’esperienza di generazioni per regolamentare la vita umana; con lo studio, la riflessione e la pratica; attraverso l’analisi delle esperienze vissute nello stato di veglia, di sogno e di sonno profondo; imparando ad essere solo testimoni di questa fugace commedia, senza rimanerne invischiati; superando infine tutte le tendenze che dividono e creano differenze.
[7] Mentre veniva torturato, Prahlāda non chiamò mai suo padre o sua madre come avrebbe fatto qualsiasi altro bambino, e non implorò i suoi aguzzini di salvarlo; in realtà, in quei crudeli carnefici egli vedeva il Signore Nārāyana che tanto adorava. Per lui, tutto e tutti erano il Signore stesso! Come avrebbe potuto sentire dolore o subire lesioni? La non dualità nella pratica, l’apice della devozione e la piena conoscenza spirituale gli conferirono la liberazione. La visione di questo principio di Unitarietà è la ricompensa più grande che il ‘non-dualista’ cerca.
[8] Tutto questo è un sogno e voi siete gli attori. Una volta a Puttaparti, durante una recita fu assegnato il ruolo di Vāli al figlio di un ricco e quello di Sugrīva al figlio di un povero. Allora Vāli protestò perché non voleva morire nella lotta contro un povero, e insistette affinché Rāma lo aiutasse ed uccidesse Sugrīva al suo posto! Ma la storia non può essere cambiata per assecondare i vostri capricci. Se in questo dramma Vāli doveva morire e gli era stato assegnato quel ruolo, doveva attenersi a quello, così come Egli aveva deciso. Chi può sapere se gli elogi o il biasimo non facciano parte proprio della commedia stessa? Ignorare questa verità è un grave errore cui bisogna prestare attenzione sin dagli stadi iniziali. Il Dottore che cura le malattie ha prescritto i rimedi che devono essere rigorosamente assunti, non tutti in un colpo solo ma neanche mettendoli da parte per mesi o anni; è indispensabile assumere sia i medicinali sia seguire il regime prescritto. Alcuni dicono di essere venuti a Puttaparti dieci o addirittura quindici volte, come se avvicinarsi all’ospedale una dozzina di volte bastasse a curarli! Magari ogni volta hanno ricevuto un flacone della pozione necessaria, ma se non l’hanno presa come prescritto, che miglioramenti sperano di ottenere?
[9] Il saggio non guarderà alla Mia apparenza, se indosso una tunica gialla oggi o rosa domani. Egli penetrerà il vero Principio che si cela dietro questa Forma e saprà che questo corpo non è che una veste indossata per realizzare un proposito. Il prossimo Avatār di questa Realtà indosserà un’altra veste. Potrete acquisire la piena saggezza spirituale con l’analisi della conoscenza del Sé; se non conoscete il vostro Sé, non potrete conoscere Me. Quello che ora fate è il sentiero dell’azione; quello che dite è il sentiero della devozione, e quello che contemplate nella vostra mente è la via della conoscenza spirituale. In questo particolare momento state sperimentando il paradiso perché siete immersi nella gioia dell’ascolto delle Mie parole. Adesso non state pensando ai diversi motivi che vi hanno spinti qui, ma non appena concluderò il Mio discorso e me ne andrò, scivolerete nuovamente nel mondo delle cose passeggere, dei desideri effimeri, delle menti vacillanti e delle teste dubbiose. Esaminate in particolar modo la vostra condotta e la vostra fede, accertatevi che sia sincera e costante. Quando siete seduti in un treno in movimento, vi pare che anche gli alberi fuori si muovano veloci lungo il percorso; ebbene non preoccupatevi di quegli alberi, osservate voi stessi, esaminatevi e scoprirete che siete voi che vi state muovendo velocemente. Quindi non criticate gli altri e non additate i loro errori perché quei difetti sono in voi, e se correggerete voi stessi anche il mondo sarà corretto! La saggezza è il discernimento fra quello che promuove il progresso e ciò che lo ritarda. Siate il guru di voi stessi, i vostri stessi maestri; avete con voi la lampada: accendetela e procedete senza paura.
[10] Per raggiungere lo stadio in cui si realizza che anche l’affermazione «Sarvam Brahmā Mayam» – «Tutto è Brahman» è scorretta [poiché presuppone due entità: il tutto ed il Brahman, mentre in realtà solo il Brahman è], dovete fare molta strada, ma non scoraggiatevi; un’intera enciclopedia è composta dalle 26 lettere dell’alfabeto e tutta la cultura inizia con l’apprendimento dell’abbiccì. Io sono qui pronto ad aiutarvi dalla prima lezione all’ultima. Non abbattetevi pensando che il karma delle vite passate impedisca il vostro progresso. L’accumulo degli effetti delle vostre azioni passate è il Sancitakarma, e da questo bacino di riserva tutto quello che avete scelto per la consumazione dell’attuale esistenza è il Prārabdhakarma. Se sarà utilizzato con saggezza e ben cucinato, il Prārabdha può diventare dolce, gustoso e salutare. La Grazia di Dio inoltre può distruggere gli effetti del karma passato o modificarne il rigore. Non dubitate mai di questo. Se la legge del karma fosse così inflessibile, perché allora raccomandare la disciplina spirituale, la buona condotta e la pratica delle virtù? Il karma passato si scioglierà come neve al sole se vi conquisterete la Grazia del Signore! La Grazia di Dio è necessaria anche per far albeggiare la saggezza spirituale.
Prashānti Nilayam, 30.09.1960
da DISCORSI 1953 – 1960 (Sathya Sai Speaks-Vol.I) ed.Mother Sai Publications