Discorsi Divini
27 Settembre 1960 – Sathya Sai Gītā (1)
27 Settembre 1960 – Sathya Sai Gītā
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Sathya Sai Gītā (1)
[1] Nella Sathya Sai Gītā che Thirumalāchar ha appena letto e spiegato, egli ha attribuito il Mio nome a quella ‘Verità’ di cui ha fatto esperienza. Molte sono le persone che mi hanno visto, ma pochi sono quelli che hanno compreso la Mia Realtà. Allo stesso modo, sono legioni quelli che hanno ‘visto’ la Gītā, ossia che l’hanno letta ed imparata a memoria, ma pochi ne hanno afferrato il significato. La Gītā deve essere tagi che significa assorbita, imbevuta! Allora diverrete tyāgi, cioè pregni di distacco e liberi dallo stolto attaccamento al mondo sensoriale. Per distacco s’intende il rinunciare a quello che piace e vincola, che irretisce e rende schiavi. Una cosa di cui non si parla nella Bhagavad Gītā è la condizione del capofamiglia. Essa tratta gli argomenti fondamentali della vita, non di un settore o di un altro, ma dell’esistenza in sé con i suoi problemi più profondi. La Gītā fu trasmessa oralmente da un capofamiglia all’altro e quindi non prescrive la “fuga” dell’anacoreta; perciò questa è la lezione, sia nella Bhagavad Gītā sia nella Sai Gītā.
[2] Gītā significa ‘canzone’. Krishna canta col suo flauto a Brindavan come pure sul campo di battaglia, ed in entrambi i posti invita il ‘Particolare’ a fondersi nell’Infinito, nell’Universale. Per Lui il crematorio o un luogo sacro sono identici; entrambi sono idonei per impartire l’inse-gnamento spirituale nella forma più gradita al devoto, cioè col canto. Potete ben immaginare con quanta concentrazione Arjuna lo ascoltò! La sua concentrazione era ferma come quella delle gopī quando ascoltarono il messaggio del flauto a Brindavan. Arjuna si dimenticò persino dell’opposto schieramento degli eserciti, del suo odio e dell’ardore per la guerra, e s’immerse nell’insegnamento che stava ricevendo. Se nel campo del Kurukshetra delle vostre battaglie individuali sviluppate quella stessa concentrazione, ferma su un unico punto, riuscirete certamente anche voi ad ascoltare il Canto – la Bhagavad Gītā, la Sai Gītā o la Sathya Sai Gītā – destinato precisamente a voi.
[3] La Bhagavad Gītā fu esposta per eliminare l’illusione causata dall’ignoranza e, nel caso di Arjuna, riuscì a rimuoverla. Altre persone come Sañjaya e Dhritarāshtra, che pure l’ascoltarono, non ne trassero alcun beneficio perché erano ancora legati dal loro particolare tipo d’ignoranza. Dhritarāshtra era continuamente preoccupato che la battaglia non fosse ancora cominciata e che i nemici dei suoi figli non fossero stati annientati; ecco perché non ne trasse alcun vantaggio. Perciò, molti leggono la Gītā ma pochi ne traggono beneficio! Per averne giovamento, dovete possedere il distacco e la ferma concentrazione che aveva Arjuna, ma anche un cuore puro e la stabilità mentale sono essenziali.
[4] Il profondo smarrimento di Arjuna fu determinato dal senso dell’«io» e del «mio». Tutto ad un tratto egli cominciò a pensare che sarebbe stato l’uccisore, responsabile della morte di quelli che erano i suoi stessi insegnanti, parenti ed anziani. Questo sentimento di possesso deve andarsene: l’«io» deve essere crocefisso e tutte le parole, le azioni ed i pensieri devono essere dedicati al Signore. Appena nasce, il neonato piange perché il Jīvi (anima individuale) non vuole invischiarsi nuovamente col mondo oggettivo, non vuole entrare nel velo di Māyā, l’illusione. La scienza spiega che il pianto è l’inizio dell’attività respiratoria ed apre il passaggio dell’aria; ma perché il neonato dovrebbe piangere? Il processo respiratorio potrebbe avere inizio in qualsiasi altro modo, con un tremito o un brivido, non vi pare? L’infante che piange dovrebbe poi lasciare questo mondo ridendo; il valore dell’esistenza viene giudicato alla sua fine. L’amore è il seme e la devozione è il germoglio; la fede è il fertilizzante e la compagnia dei buoni e dei santi è la pioggia; la resa di sé è il fiore, e l’unione [col Divino] è il frutto col quale l’individuo deve liberarsi delle sue spoglie mortali ed essere libero.
[5] La Gītā consiglia l’azione compiuta senza attaccamento ai suoi frutti. Ci sono azioni che devono essere svolte come doveri, secondo la condizione conseguita nella vita, e se sono compiute nello spirito giusto non vincolano in alcun modo. Svolgete tutte le attività come foste attori in una recita, mantenendo la vostra identità separata e senza attaccarvi troppo al vostro ruolo. Ricordate che tutta la storia è soltanto una commedia in cui il Signore vi ha assegnato una parte; interpretandola bene, tutti i vostri obblighi avranno fine. Egli ha ideato la commedia; Egli assiste alla rappresentazione.
[6] L’Ātma è l’oceano, la Natura non è che un’onda di quel vasto, sconfinato, eterno oceano, ed il Jīvi è solo una goccia di quell’onda. Non potete abbandonare l’onda né l’oceano, ma potete dissolvere nell’oceano il nome e la forma della goccia. Una volta entrati nelle sue profondità, tutto è calmo, è pace; l’agitazione, il rumore e la confusione appartengono solo ai livelli superficiali. Analogamente, nei più profondi recessi del cuore, esiste una riserva di pace in cui potete rifugiarvi. Esistono tre tipi d’individui: i tamasici, che sono come palle di ferro, sordi e refrattari ad ogni influenza che tenti di ammorbidirli; i rajasici che sono come il cotone, assorbono ma non mutano la loro natura ed infine i sattvici che si sciolgono come burro di fronte alla gioia ed alla sofferenza del loro prossimo o nell’ascoltare i giochi divini del Signore; essi s’immergono profondamente nella sorgente della compassione. La rabbia, l’invidia, l’avidità e l’intolleranza sono come tanti buchi in un vaso, dai quali l’acqua della pace, dell’appagamento e della felicità fuoriesce, lasciando il vaso vuoto. Per essere nuovamente utilizzabile, il vaso deve essere riparato chiudendo tutte le perdite.
[7] Quando vi trovate in una situazione disperata, invocate il Signore dimenticando il vostro orgoglio ed egoismo. Da un punto di vista materiale, i Pāndava erano così pieni di guai che avevano sempre un atteggiamento di preghiera. Se vi avessi concesso tutto il benessere e tutte le opportunità, non sareste venuti a Puttaparti. I problemi sono gli ami con cui si tirano fuori i pesci dall’acqua. Kuntī chiese a Krishna di continuare a dare a lei ed ai suoi figli ogni tipo di sofferenza, in modo che Egli potesse donare loro continuamente la Sua Grazia. Thirumalāchar ha definito quest’attitudine come Ātma-arpana (offerta del Sé), ma l’Ātma è proprio Lui (Dio); allora che senso ha offrire Lui a Lui stesso? Quello che dovreste sacrificare ai Suoi Piedi è il vostro egoismo! Offritegli tutto l’orgoglio, il senso di separazione, l’illusione e tutti gli attaccamenti in cui l’egoismo ha proliferato! Questo è il tipo di adorazione che dovete offrirgli. Portatemi tutto il male che è in voi, lasciatelo qui e prendete da Me quello che possiedo: Amore. Acquisite la capacità di vedere che tutto è mosso e motivato dall’Uno ed unico Sé Supremo. Esaminate ogni giorno quello che fate e con quale motivazione: in questo modo sarete in grado di giudicare il vostro progresso. Scegliete solo i motivi puri e le azioni pure. Vi siete dimenticati di essere l’Ātma, ed ora invece dovete ricordarvi di esserlo! Quello è il progresso da conseguire! Sembra così facile, ma è uno dei compiti più ardui. L’occhio, pur essendo così vicino all’orecchio, non può mai vederlo direttamente!
[8] Una volta, in un palazzo reale c’era un buffone di corte che faceva sempre domande e quindi era considerato un grosso scocciatore. Il re, per toglierselo di torno, fece appendere un cartello con la scritta ‘Vietato fare domande’. Ma il giorno in cui si trovò sul letto di morte, il re lo fece chiamare e gli sussurrò: “Sto andandomene.” A quel punto il buffone si affrettò a domandargli: “Devo ordinare la carrozza reale? L’elefante col palanchino? Il cavallo reale con i paramenti? Va lontano, Sire? Per quanto tempo si tratterrà in quel luogo?” Quel buffone era molto saggio; conosceva tutte le domande, ma ignorava le risposte, come del resto anche il re. Voi potrete superare gli esami solo se conoscete le risposte!
[9] La Gītā vi sprona a cercare le risposte e vi incita a farne esperienza. Inoltre vi aiuta a controllare i pensieri e le agitazioni mentali; distrugge l’illusione, sviluppa la vera conoscenza e vi fa scorgere lo splendore del Signore, rafforzando la vostra fede. Voi dite: “Baba fa tutto, io sono solo uno strumento” – ma subito dopo la medesima lingua afferma: “Io ho fatto questo, ho fatto quello. Swami non mi ha fatto questo!” Se non scivolerete in un simile errore, potete essere certi della Sua grazia. Tutti i cuori sono di Sua proprietà, tutto è di Suo dominio, ma come il proprietario terriero sceglie solo un luogo pulito per sedersi sebbene l’intero territorio gli appartenga, così il Signore si insedierà unicamente in un cuore puro. Il Signore ha affermato: “Oh Nārada, dove i Miei devoti cantano la Mia gloria, là Io mi stabilisco!” Devo rivelarvi che siete più fortunati degli uomini delle generazioni passate; i meriti accumulati durante molte nascite vi hanno fatto avere questa fortuna. Mi avete fra voi ed ora è vostro dovere sviluppare questa relazione che avete ottenuto solo grazie alla buona sorte. Fra quattro o cinque anni vedrete affollarsi qui yogi, asceti e saggi e potreste non avere più l’opportunità di farmi delle domande, ricevere le risposte, avvicinarvi a Me e parlarmi direttamente. Non siate, dunque, come delle rane attorno al fiore di loto, ma siate piuttosto come le api. Le banane ed i manghi ancora verdi sono tenuti nella paglia, nel fieno o in una stanza chiusa, in modo che il calore li possa far maturare e li renda gustosi. Allo stesso modo la meditazione su Dio vi conferirà la giusta temperatura per maturare e diventare dolci e buoni.
[10] Ci sono sette cose che devono essere salvaguardate per il bene del mondo: la mucca, i bramini, i Veda, la castità, la verità, il distacco e la rettitudine. Questi valori stanno declinando celermente ed Io sono venuto per ripristinarli alla loro originaria purezza e forza. Non pensate che questa Sathya Sai Gītā sia stata composta da un devoto e che ora la legga e la commenti qui. Come Thirumalāchar ha detto, Io ne sono l’Ispiratore ed è per il vostro bene che egli ha compendiato i Miei insegnamenti in questo modo. Si afferma: «Ekam Satyam vimalam achalam» – «La Verità Una ed Unica è pura ed immutabile». Thirumalāchar l’ha quindi raccolta nel suo calice e ve la sta offrendo. Certamente nessuno potrà mai scoprire il mistero del Signore; persino il grande saggio Vishvāmitra, che andò dal re Dasharatha per vedere i suoi figli e li elogiò quali Incarnazioni Divine, in seguito si dimenticò di questo fatto ed osò insegnare loro dei mantra come se fossero dei comuni discepoli! Egli divenne addirittura orgoglioso perché il Signore Rāma, che aveva salvato Ahalyā dalla maledizione, era un suo discepolo. In campo spirituale, l’orgoglio è uno dei peccati peggiori; se siete orgogliosi perché siete devoti del Signore, Egli vi distruggerà, ricordatelo. La resa totale deve essere come l’attitudine che aveva Lakshmana. Quando Rāma gli disse: “Porta Sītā nella foresta ed abbandonala lì!” – egli obbedì senza obiezioni! Non esiste il perché! Quello era Lakshmana e quella è la resa totale; tutto il resto merita solo le frecce di Rāma. L’essenza della Gītā è in questa lezione d’abbandono totale a Dio. Approfondite la vostra fede, camminate lungo il sentiero del Dharma, liberatevi dell’illusione e dell’ignoranza, purificate le vostre agitazioni mentali e siate consapevoli che Egli è l’Ātma e che anche voi siete l’Ātma.
Prashānti Nilayam, 27.09.1960
da DISCORSI 1953 – 1960 (Sathya Sai Speaks-Vol.I) ed.Mother Sai Publications