Discorsi Divini
25 Novembre 1962 – Germogli di fede
25 Novembre 1962
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Germogli di fede
[1] Vīrabhadhra Shāstri vi ha descritto molto realisticamente le marachelle infantili di Krishna e ne ha spiegato il significato. Vedo che questo vi ha ristorato, in quanto le avete realmente percepite e sperimentate. Rāma è l’Incarnazione della Verità e del Dharma, quindi intorno a Lui c’è un po’ di severità, ma Krishna è Amore, e la Sua storia conferisce subito e spontaneamente gioia a tutti. L’amore nel cuore umano risponde alla chiamata di quell’Amore divino che lo fa emergere e traboccare. Krishna discese insieme a Yogashakti, incarnata come Suo fratello Balarāma ed a Māyāshakti nelle vesti di Sua sorella. Questo è il modo in cui il Potere Supremo, Mahāshakti, s’incarna. Sua madre Devakī non poteva tenere con sé lo splendore di quella Forma divina con tutta la Sua inseparabile gloria, quindi il bimbo fu trasferito, dietro Sua esplicita richiesta, a Yashodā, che aveva pregato per ottenere la grazia di diventare la madre adottiva del Signore. Si dice che il contatto col Divino conferisca la grazia della liberazione dalle catene del karma. Quando Vasudeva, il padre di Krishna, prese il neonato fra le mani, le catene che tenevano prigionieri lui e sua moglie si sciolsero, le spranghe caddero dalle porte della prigione ed i lucchetti si sganciarono da soli, e quando s’inoltrò verso il fiume Yamunā, le acque si aprirono davanti a lui.
[2] Nelle storie divine noterete un fatto peculiare, ossia che nessun evento è disgiunto dal resto e nessun accadimento è privo di significato. Ad esempio, Parashurāma sterminò tutti i re Kshatriya del suo tempo con sistematiche campagne contro di loro. Come mai e perché, allora, gli imperatori Janaka e Dasharatha sopravvissero? La verità è che Parashurāma fece due eccezioni per cui i due re riuscirono a salvarsi; questo segreto era noto solo ai due sopravvissuti. Parashurāma aveva deciso di non uccidere chi stesse contraendo matrimonio o chi fosse impegnato nella celebrazione di uno Yāga (rito sacrificale). Quindi, ogni qualvolta Parashurāma raggiungeva le frontiere dei loro regni e si accingeva a superarle, Janaka dava inizio ai preparativi per la celebrazione di uno Yāga, e Dasharatha si accingeva a sposare un’altra principessa. Tutto questo era in sintonia col piano divino, in quanto Dasharatha doveva vivere per avere il figlio Rāma e Janaka doveva trovare Jānakī3. Lasciatemi dire che l’amore delle gopī, su cui tanto si è speculato filosoficamente ed analiticamente, era un tipo di amore genuino al di là della coscienza corporea, non toccato dall’infamia né dalla lode. Non era come un filo d’olio che galleggi sull’acqua e che al solo toccarlo si ferma sul dito. Quell’amore era come il gambo del loto che si spinge in profondità attraverso l’acqua fino a raggiungere il suolo sottostante, mentre le sue foglie galleggiano fuori e non sono toccate dall’acqua che dona loro l’ambiente essenziale per vivere. L’uomo deve lottare in modo analogo per elevarsi al di sopra del mondo sensoriale che è il suo inevitabile ambiente. Il mondo oggettivo vi induce a lottare per questa o quella futilità ma, come le gopī, dovete abbandonare queste brame e concentrarvi sulla preziosissima sorgente della gioia. Le gopī non avevano nessun altro obiettivo, nessun altro ideale o desiderio. Era la completa resa del proprio sé, indiscussa e ferma.
[3] Vi racconterò di una devota, una donna che viveva in un piccolo villaggio del Mahārāshtra un secolo fa. Ella era animata da un profondo spirito di devozione anche nei minimi dettagli della vita. Camminare, per lei, era un pellegrinaggio; parlare era praticare la ripetizione del Nome di Dio. Anche quando gettava via lo sterco di vacca raccolto dal pavimento, diceva: “Possa questo essere un’offerta a Krishna!” La sua offerta era così sincera che quel letame raggiungeva Krishna ed ogni giorno si ammucchiava sulla Sua statua nel tempio del villaggio. Il prete vedeva questa misteriosa profanazione e restava stupefatto, addirittura terrorizzato. Malediva sé stesso per essere vissuto tanto da vedere quest’ignominia giornaliera; infatti, ogni giorno alla stessa ora, circa verso mezzogiorno, la statua di Krishna veniva imbrattata dalla stessa quantità di letame. Il bramino teneva basso il capo per la vergogna e non parlava a nessuno di questo fenomeno inquietante. Un giorno, mentre camminava, sentì quella particolare donna esclamare: “Krishnārpanam” – “Ecco l’offerta a Krishna” – mentre gettava fuori casa una manciata di sterco come molte altre donne erano solite fare. Divenne sospettoso ed incominciò a tener d’occhio l’ora, la quantità ed il materiale, finché si convinse che quella donna era colpevole della deturpazione dell’idolo di Krishna, di quella profanazione così offensiva. Allora andò da lei e cominciò a picchiarla così duramente da fratturarle il braccio col quale lanciava il letame. Quando tornò trionfalmente al tempio, aspettandosi di essere profusamente benedetto dal Signore per aver punito quella donna perversa, fu sconvolto nel vedere il braccio destro di Krishna fratturato e sanguinante, esattamente com’era il braccio della pia donna. Il poverino si mise a piangere dalla disperazione dicendo: “L’ho picchiata solo per via del mio amore per Te; rovinava il Tuo splendore, o Signore!” Krishna rispose: “Devi amare tutti quelli che Io amo, ricordatene!”
[4] Anche qui voglio che vi comportiate analogamente, o almeno amate voi stessi, amate il vostro migliore ‘sé’ che è il vostro bene più prezioso. Non tollererò invidia, malizia od astio fra i devoti e non vi permetterò di odiare voi stessi o di considerarvi deboli o meschini. Una parola agli uomini radunati qui: dovete vivere all’altezza della gloria della vostra forza e purezza interiore. Venite qui da luoghi lontani affrontando grosse spese, ma avete portato con voi tutti i vostri pregiudizi, abitudini, inclinazioni e preferenze, senza compiere alcuno sforzo per purificarli onde essere adatti al luogo sacro che avete desiderato. Anche qui cercate e vi procurate le compagnie alle quali siete abituati, ossia quelle dei faziosi, degli invidiosi e dei mondani. Se venite da Me con desideri gretti, resterete delusi! Io non mi preoccupo se non tornerete più. Chi demolisce o disturba la fede o la devozione degli altri è un ingrato, un traditore; è come versare della brace ardente su dei fiori freschi.
[5] Se il bimbo abbandona sua madre, come può crescere? Rimanete attaccati a Dio, in modo che possiate crescere. Non mozzate i germogli della fede nel vostro cuore o nel cuore degli altri. È quella fede che dona intensità al desiderio per Dio e che si guadagna una rapida risposta. Rāmamūrti, che è qui, invocò “Swami!” con toccante sincerità quando il sari di sua moglie si incendiò; ella era troppo spaventata per chiamarmi. Quella chiamata mi portò ad Aukiripalli e, sebbene solo un quarto del sari rimase intatto, la donna fu salvata. Parlando di fede, devo diffondere un avvertimento. Molta gente sta raccogliendo soldi, in vari posti, usando il Mio nome per diversi fini come allestire un centro d’accoglienza, costruire un tempio, fare una pūjā, ecc. Tutto questo non è autorizzato e va contro i Miei desideri ed i Miei ordini. Non date retta a simili richieste e non incoraggiate queste pratiche che Io condanno. C’è poi un altro gruppo di persone che commerciano sulla vostra fede. Si fanno pubblicità dicendo che Io li ‘ho posseduti’, che parlo tramite un medium o qualcos’altro. Trattate quella gente ed i loro agenti come trattereste un truffatore; diversamente, se non li trattate così, anche voi diverrete complici di quelle truffe. Ci sono altri che radunano gruppi di seguaci e sostenitori e raccolgono denaro esibendo qualche idolo o immagine che, a sentir loro, sono stati donati da Me, o pubblicizzano qualche altro segno della Mia Grazia. Alcuni arrivano persino a proclamare: “Baba mi ha mandato da voi per raccogliere del denaro” – oppure: “Baba mi ha dato questo” – “Baba mi ha benedetto in modo particolare” – e poi chiedono il vostro aiuto, il vostro encomio o il vostro portafogli! Vi invito a condannare questi individui e ad allontanarli, chiunque essi siano.
Prashānti Nilayam, 25.11.1962
da DISCORSI 1961 1962 (Sathya Sai Speaks-Vol.II) ed.Mother Sai Publications