25 Gennaio 1963 – Il frutto più gustoso

25 Gennaio 1963 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Il frutto più gustoso

[1] So che la vostra sete non è ancora pienamente soddisfatta, anche dopo aver ascoltato gli eccellenti discorsi dei due pandit1 che hanno irradiato beatitudine. Entrambi hanno affermato che non pretendono di essere degli eruditi e che tutto quello che hanno visto e detto è dovuto alla Mia grazia. Bene, questo non è che un loro modo per tenere a freno la presunzione. Hanuman aveva coltivato talmente tanta modestia che non era più consapevole della sua enorme forza. Qualcuno gli doveva rammentare le sue capacità ed il suo valore, ed allora egli si mostrava all’altezza della situazione, con i suoi poteri completamente risvegliati. Sono state le vostre suppliche che mi hanno indotto a fare un discorso oggi, poiché è da molto tempo che non vi parlo in questo luogo e penso di dover soddisfare il vostro desiderio. Poiché vi definite devoti, vi parlerò del Dharma2 delle persone che cercano di acquisire la devozione. Nessuno può diventare un devoto semplicemente proclamandosi tale, neanche se viene chiamato così dagli altri. La devozione implica dedizione assoluta: niente deve essere trattenuto, non deve rimanere neanche un filo di ego. Solo il Suo comando conta, solo la Sua Volontà prevale. Come un ubriaco, così il devoto non ha il senso dell’onore o del decoro, dell’orgoglio o della presunzione. Egli è come un folle, indifferente a tutto quello che non sia associato al suo ideale. È sordo ai richiami della fame e della sete, non tiene il passo con la logica e si sbaglia a far di conto al mercato. Nārada asserisce che chi è inebriato dal liquore dell’ignoranza incespica nelle ombre del mondo, mentre chi è ubriaco del nettare della saggezza non s’allontana mai dall’Altissimo, che ha scoperto essere sé stesso.

[2] Lo avrete notato pochi giorni fa nel caso del pandit che per la prima volta è venuto a sedersi in questa sala dopo trent’anni di studio intenso del Bhāgavata. Egli sentiva di avere raccolto i frutti di lunghi anni di studio e di devota esposizione; infatti perse completamente coscienza, e qualcuno di voi pensò che avesse un attacco di epilessia o qualcosa di simile. Io sapevo che era nel regno della beatitudine, perciò non vi ho incoraggiato a portarlo all’ospedale. Anche oggi avrete notato com’era sopraffatto dalla gioia quando ha iniziato a descrivere l’insondabile grazia divina. Stava raccontando che il Signore non mantenne la propria parola pur di conferire al Suo devoto l’onore di indurlo ad agire in un determinato modo; infatti, Bhīshma aveva detto che avrebbe obbligato Krishna ad impugnare le armi sul campo di battaglia, contrariamente alle intenzioni da Lui palesate, perché Bhīshma avrebbe accettato la sconfitta solo dal Signore! Pertanto Krishna si diresse con decisione verso di lui brandendo l’arma del chakra, il disco, per sconfiggerlo. Mentre il pandit stava descrivendo questo episodio, ebbe un collasso. La devozione deve addolcire la mente per renderla ricettiva alle emozioni più elevate, agli impulsi purificati. Bhīshma era un devoto e, ottenuta la grazia del Signore, fu coronato da maestosità e splendore superiori a quelli di qualsiasi imperatore terreno. Che maestà possiedono invece questi piccoli detentori di scettri? Non possono asserire di avere pace interiore né gioia e non conoscono la felicità di condividere l’amore con gli altri. Quando Krishna lo sfidò con il Suo disco Sudarshana6, Bhīshma si arrese al Signore; in altre parole, quando il Signore offre una ‘buona visione’ (Su darshan), un uomo deve essere così saggio da arrendersi e da rinunciare a tutto, ed è quello che Bhīshma fece.

[3] Come il gattino chiama la madre nel luogo in cui si trova col semplice miagolio, così il devoto deve soltanto struggersi ed agognare, deve ‘miagolare’ di dolore per la separazione. Le piantine nei campi hanno sete di pioggia; vedono le nuvole cariche di pioggia veleggiare nel cielo ma non sono in grado di ergersi a quell’altezza per bere la pioggia dispensatrice di vita, ed ancor meno possono portare le nuvole giù a terra. Anche l’umanità brucia sotto il sole cocente, nell’insopportabile calura dell’ego e della cupidigia; ha bisogno della pioggia della grazia, e sa bene che solo così potrà prosperare nella pace e nella gioia. Come le nuvole fanno cadere tante goccioline sui campi che hanno scelto di sostentare, così l’Assoluto Informale si individualizza assumendo una Forma e scende tra gli uomini per salvare ed incoraggiare. Questo è il segreto di Dio che discende come uomo, come la nuvola s’impietosisce delle colture che patiscono sotto il sole cocente. Dopo la pioggia, sarà poi utile il sole. Se si conquista la grazia del Signore, l’ego e l’avidità potranno essere impiegati con profitto facendoli fluire in utili canali.

[4] In passato, gli Avatār liberarono il mondo dal male distruggendo i pochi fanatici e gli esseri demoniaci che lo influenzavano; ma ora, fanatismo e gravi scelleratezze regnano in ogni cuore. Il numero degli uomini malvagi è illimitato e nessuno è esente da difetti, tutti sono malvagi per un verso o per l’altro. Pertanto tutti hanno bisogno di essere corretti, educati e guidati a percorrere il sentiero giusto. Ogni essere è un pellegrino destinato a raggiungere Dio ed a fondersi in Lui, ma i più hanno dimenticato la via e vagabondano come bambini sperduti, sprecando tempo prezioso in percorsi inconcludenti.

[5] Mānava (l’uomo) deve diventare Mādhava (Dio): questo è il suo destino, il piano e l’obiettivo; per questo è stato dotato, come nessun altro animale, della spada del discernimento e dello scudo della rinuncia. L’uomo è il solo animale che può concepire un’esistenza precedente ed una successione di esistenze con impressioni che man mano si accumulano da una vita all’altra. Quello che vedete e sperimentate nel sogno si basa in una certa misura su ciò che avete visto e provato durante lo stato di veglia. Parimenti, quello che vedete e percepite nella vita attuale ha, come base, ciò che avete visto e sperimentato in altre vite passate. Potete conquistare la grazia di Dio solo attraverso il Dharma, la Rettitudine, che induce lo spirito di resa e lo sviluppa. Senza l’addestramento che la pratica del Dharma conferisce ai sensi, ai sentimenti ed alle emozioni, non si può avere una fede salda ed un senso di distacco stabile. Il Signore è la personificazione del Dharma. Rāma8 è conosciuto come la ‘Rettitudine in persona’. Se oltrepassate i limiti del Dharma ed agite male, non potrete vincere la partita della vita.

[6] Mentre Hanuman9 viaggiava a tutta velocità nel cielo come una freccia lanciata dall’arco di Rāma, molte tentazioni cercarono di fermarlo, ma egli non indugiò e non si voltò mai indietro, anzi accelerò, concentrato solo sul compito che il suo Signore gli aveva assegnato. Quando la montagna Mynaka si sollevò per offrirgli un po’ di riposo, egli la schiacciò sotto i piedi sino a farla inabissare nella profondità dell’oceano, ma il monte si risollevò supplicandolo di concedergli l’occasione di servirlo per un po’. Si era ricoperto di frutteti verdeggianti e di giardini fragranti di fiori affinché Hanuman potesse riposarsi e riprendersi. Quando Indra aveva tagliato via le ali a tutte le montagne nei tempi remoti, Mynaka era fuggita con l’aiuto di Vāyu, Dio del vento e padre di Hanuman, ed ora desiderava esprimere la sua gratitudine offrendo ospitalità al figlio. Hanuman rispose che l’incarico assegnatogli dal suo Signore non tollerava indugi. Dopo pochi minuti, Hanuman si trovò di fronte ad un terribile mostro a forma di serpente di nome Surasa che riuscì a superare con abili tattiche, evitando così ulteriori ritardi. Voi dovete perseguire il cammino che conduce alla liberazione con un simile sforzo, mirato ad un unico obiettivo.

[7] Il pandit ha affermato che il Signore desidera che i Suoi devoti eccellano rispetto ai non credenti, che siano più felici, più soddisfatti e più coraggiosi; la devozione dovrebbe renderli tali. I devoti, però, non coltivano queste qualità con sufficiente intensità, anzi lasciano che le opportunità vadano perse. Se un uomo dona ad ogni suo figlio cento acri di terra, uno dei figli li coltiverà con cura ed otterrà raccolti eccellenti, mentre un altro lascerà che il terreno giaccia incolto e si ridurrà in miseria. La dotazione che ognuno si è portato dalle vite precedenti può essere diversa, perciò non potete biasimare il padre per come vanno le cose. Persino il sangue di uno dei figli potrebbe rivelarsi fatale se usato per una trasfusione ad un fratello. La forza spirituale sarà minore in uno, maggiore in un altro, in base allo sforzo che ognuno ha compiuto, ora ed in passato.

[8] La disgrazia è che l’uomo non mangia il frutto più nutriente e gustoso di questo giardino della Natura. Si arrampica sull’albero sbagliato e cerca di raccogliere i frutti sbagliati, così si rovina l’appetito, il gusto e la salute. Solo la gloria di Dio può appagare la fame dell’uomo, poiché egli è parte di quella gloria; solo l’esperienza può rivelare la dolcezza, la sublimità ed il proposito di quella gloria. Mentre Rāma stava tornando ad Ayodhyā dopo il Suo matrimonio, incontrò Parashurāma10 che lo sfidò. Rāma aveva conquistato la mano di Sītā poiché era riuscito a piegare e spezzare l’arco di Shiva, umiliando così l’orgoglio di tutte le teste incoronate che volevano prenderla in sposa. Parashurāma era esaltato per le sue vittorie perché aveva sconfitto i regnanti di casta guerriera in ben ventuno campagne. Quell’orgoglio però compromise il suo livello di Divinità, tanto che fu sottomesso in un istante da Rāma, il quale all’apparenza era solo un giovinetto! Si afferma che il Signore punisca alcuni e favorisca altri, ma vi assicuro che Egli non fa né una cosa né l’altra. Egli è come la corrente che passa in questo cavo elettrico, la quale fa funzionare sia il ventilatore che rinfresca la vita sia la sedia elettrica che l’accorcia. La corrente elettrica non ha alcun desiderio di mitigare il calore né alcuna brama di uccidere. La grazia del Signore è come il vento che soffia. Se ammainate le vele, la barca procederà a stento, ma se le spiegherete veleggerà sempre più veloce. La grazia del Signore è come la luce. Usufruendo del suo chiarore, una persona compie il bene, un’altra realizza un piano malvagio. Anche se fuori è ‘notte’, abbiate sempre il ‘giorno’ dentro di voi: lasciate risplendere la vostra luce interiore. Se siete ignari del mondo ed incuranti del suo invito a farne parte, pur vivendo in esso, avrete una notte all’esterno ed un giorno all’interno. I Veda11 vi insegnano questa Verità e vi indicano la disciplina necessaria per realizzare un tale stato di grazia.

[9] Il pandit ha parlato del valore della disciplina vedica. I Veda dichiarano che se un’azione è svolta in modo preciso, ne deriverà un certo risultato. Essi vi forniscono una penna piena d’inchiostro e vi insegnano in che modo scrivere e cosa scrivere: sono così gentili! La ‘Madre Veda’ è colma di amore materno; ripete un’ingiunzione più e più volte, così come Io continuo a ricordarvi le regole di disciplina dell’āshram12 in ogni occasione; perciò non accantonate queste ingiunzioni che sono l’autentica voce del Signore stesso, udita e memorizzata da intelletti purificati. Un padre lascia la sua ricchezza al figlio che rispetta i suoi desideri ed obbedisce ai suoi ordini, non al figlio ribelle che se ne fa scherno. Il Signore è il Padre di tutti. Se voi credete in Dio e conducete la vostra vita in sintonia con la Sua volontà, otterrete la ricchezza e le proprietà. Un idiota, ignaro dei propri interessi ed inconsapevole della propria rovina, non potrà disporre delle sue proprietà, ma dovrà occuparsene un tutore finché non dimostrerà di saperle gestire con cura da solo. Ad un uomo possono servire molte vite per dimostrare che sa riconoscere cosa sia meglio per lui, che sa tracciare il proprio futuro senza ferire sé stesso né gli altri, che è consapevole delle insidie lungo il percorso. Per questa ragione è meglio affidarsi all’esperienza dei saggi che, colmi di compassione e mossi da quella carità, hanno gettato luce sul sentiero che conduce alla liberazione. Questa esperienza è custodita nei Veda. La fede nei Veda pervade il cuore e lo rende capace di produrre il raccolto dell’Amore Universale.

[10] Le Scritture vi mettono in guardia contro i passi falsi, vi consolano nei momenti di tensione, vi fortificano nei periodi di angoscia e vi offrono una corretta interpretazione dei dilemmi morali. Esse prescrivono il modo di vestire, il cibo, il modo di parlare, il comportamento sociale, come interagire col prossimo e la via del costante progresso: esse sono la coscienza della società. Anche qui a Prashānti Nilayam sono prescritte certe limitazioni, certe regole che Io ho raccomandato per trascorrere il tempo in modo proficuo. Tutti quelli che vengono qui, sia i vecchi residenti sia i nuovi arrivati, devono osservarle. Voi mi avete visto, siete stati qui ed avete ascoltato i Miei discorsi, ma vorrei domandarvi: cosa ne avete ricavato? Tornerete a casa immutati, uguali a prima? I cani non rosicchiano la canna da zucchero, cercano piuttosto un osso. Individui disgraziati si ritraggono se sentono parlare di Dio, del bene, dell’impegno spirituale e della visione della Divinità, ma voi dovete ergervi verso l’alto, nell’aria pura della vita spirituale, dovete allontanarvi dai bassifondi e dai vicoli e viaggiare sulla strada maestra che porta a Dio. Contemplate sempre la gloria del Signore, così risplenderete di quella gloria. Attenetevi alla Verità: è il metodo più sicuro per rimuovere la paura dai cuori. L’Amore puro può svilupparsi solo in un cuore irrigato con la Verità.

[11] Anche se recita la parte di ‘Tizio’, il signor Tal dei Tali è sempre conscio di sé stesso e dirà: “Sto interpretando il ruolo di Tizio.” Se qualcuno dovesse chiedervi chi siete, rispondete che siete Nārāyana-svarūpa (l’incarnazione di Dio) che sta interpretando il ruolo di ‘Caio’ o di ‘Sempronio’ o quale che sia il vostro nome. Allo stesso modo, ogni persona non è altro che un ruolo interpretato da Dio; infatti Egli lava i panni come lavandaio, lavora il legno come falegname, forgia il ferro come fabbro, prepara i vasi come vasaio. Egli è tutto questo ed ancor di più! La Sua gloria è inesauribile. L’Avatār è un altro ruolo che assume per un altro proposito. Il Signore s’incarna come Avatār quando è ansiosamente atteso da santi e saggi. Gli uomini pii hanno pregato ed Io sono venuto. I Miei compiti sono tre, o meglio due, dato che la protezione del Dharma e la protezione della cultura vedica sono praticamente la medesima cosa. I due compiti quindi sono: divulgare i Veda e sostenere i devoti. Allora, chi sono i devoti? Cos’è la devozione? È fede, stabilità e fermezza, virtù, coraggio ed audacia, resa, assenza di egoismo. I rituali di adorazione pomposi ed elaborati sono una vera perdita di tempo e di energia. Perché recidete i fiori accelerandone la morte?

[12] Alcuni di voi girano attorno al tempio, soddisfatti di aver compiuto tante circumambulazioni rituali, ma si possono definire così solo se, insieme ai piedi, anche la mente gira attorno a questo sacro luogo. Ho notato che mentre i piedi vi inducono a girare per abitudine, le vostre lingue blaterano sui difetti altrui, commentano il prezzo degli ortaggi o i piatti che intendete preparare per pranzo. Prima di cominciare a cammi nare, donate la vostra mente come offerta di ringraziamento a Colui che dimora nel tempio, il Signore. Quella è la prima cosa da fare e, forse, l’unica. La pratica del girare intorno ad un luogo sacro non è prescritta per sgranchirvi le gambe o fare dell’esercizio fisico. Questo āshram non deve essere trattato con scarsa riverenza. Fate il miglior uso della vostra permanenza, non prendete alla leggera tale opportunità. Avete speso molto denaro per venire qui ed avete affrontato numerose difficoltà, tuttavia, nell’apprendere il sentiero della disciplina spirituale, non siete sbocciati come fiori fragranti offerti ai Piedi del Signore. I sensi devono essere imbrigliati e diventare obbedienti servitori dello spirito. Ad esempio, Io insisto che ci sia silenzio: parlate meno e sottovoce, se proprio dovete parlare. Non ficcate i vostri dolori, bisogni e problemi nelle orecchie di chi è venuto qui già con il proprio fardello, perché non gli interessa che le vostre sventure vadano a sommarsi ai suoi guai. Io sono qui per ascoltarvi, per consolarvi. Non disturbate con la vostra voce sonora chi sta meditando, leggendo o scrivendo il nome di Dio.

[13] Possibilmente raccoglietevi in meditazione da soli; se potete, leggete libri spirituali o scrivete il Nome del Signore nella quiete del vostro cantuccio. Se non riuscite a farlo, almeno non disturbate chi lo fa. Incoraggiatevi vicendevolmente a proseguire sul sentiero che porta a Dio. Acquisite il diritto di ricevere il riverito titolo di devoto. La Mia gloria si diffonde ogni giorno attraverso quelli che si definiscono i Miei devoti. Le vostre virtù, il vostro autocontrollo e distacco, la vostra fede e determinazione sono i segni con cui la gente comprende la Mia gloria; non che Io voglia questi sostegni, ma succede così in questo mondo in cui gli uomini valutano gli altri indirettamente piuttosto che direttamente. Ma lasciatemi dire che devoti di questo tipo sono molto rari. Questa è la ragione per cui non mi rivolgo a voi chiamandovi ‘Incarnazioni della devozione’. Potrete pretendere quel titolo solo quando vi sarete messi nelle Mie mani, pienamente e completamente, senza trattenere nessuna traccia di ego per soddisfare la vostra vanità. Tutte le malattie sono da imputare ad un modo di vivere sbagliato, e questo a cosa può essere attribuito? All’ignoranza della propria vera natura, un’ignoranza che ha radici tanto profonde da influenzare i vostri pensieri, parole ed azioni. La medicina che può curare l’ignoranza è conosciu ta con diversi nomi: conoscenza sacra, servizio, contemplazione e devozione, che hanno la medesima efficacia e lo stesso potere curativo. La differenza sta solo nel metodo di somministrazione: una pozione, una compressa o un’iniezione. Siate fiduciosi che sarete liberati. Sappiate che sarete salvati. Andate ed annunciate a tutti che siete stati a Puttaparti e che lì avete ottenuto il segreto della liberazione.

Prashānti Nilayam, 25.01.1963

da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications