Discorsi Divini
24 Ottobre 1961 – La base della creazione
24 Ottobre 1961
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La base della creazione
[1] Naturalmente voi tutti apprezzate l’attuale programma giornaliero di discorsi, in quanto pensate che sia questo il vero spirito di una festività, e non l’indossare nuovi abiti o mangiare piatti speciali; quello che state gustando è infatti un banchetto spirituale. Dovete però ascoltare attentamente; poi, nel silenzio dei vostri cuori, meditare su cosa avete sentito e provare sinceramente a mettere in pratica almeno qualche insegnamento che avete raccolto. Questo è il modo in cui l’uomo saggio trae beneficio da un pellegrinaggio in un luogo sacro, è il suo metodo per diventare ancora più santo. Nel suo discorso, Bhadram ha citato dei versi in cui si canzonavano alcuni tipi d’individui definendoli ‘asini e cani’. Non apprezzo tali versi perché sono crudeli e sbagliati. È scorretto chiamare con termini svilenti i figli dell’immortalità, le incarnazioni della Divinità. Non sviluppate questo genere d’abitudine; non abbassatevi a commettere un tale sacrilegio. Una persona può essere ostinata, umile o paziente, ma questo non la rende un asino. Può avere una voce dolce, ma ciò non le dona le ali. Le fantasie poetiche rendono le cose più confuse; fanno luccicare qualsiasi cosa e causano il dubbio. In certi casi, addirittura, stendono una cortina di nebbia!
[2] L’uomo può raggiungere le altezze di Dio solo annullando la propria mente e rendendola inefficace. La natura della mente è pura, ma le impressioni sensoriali la colorano e la sporcano con le attrazioni e le repulsioni. La mente dell’animale, invece, è immune a molti attaccamenti ed attrazioni, ad avversioni ed antipatie che ostacolano e perseguitano la mente umana. Queste impressioni latenti deformano la mente che è già distorta dai colpi e dai travagli subiti di nascita in nascita. Non serve affibbiare tutte le colpe alla mente. La mente è come una sentinella Gurka. Fate capire alla sentinella che il Signore è il padrone da cui dipende, e vedrete che essa obbedirà non solo a Lui che è il suo Padrone, ma anche ai Suoi amici e compagni. Aggregatevi a questo gruppo divino e guardate se la mente continua a dimostrarsi intransigente: non vi disubbidirà più. È solo questione di un buon addestramento; se la sentinella scopre che non avete alcuna relazione col Signore, vi disubbidirà e vi lascerà alle vostre sventure! Se Dio è dalla vostra parte, anche la sentinella sarà vostra. A quel punto potrete dire al Signore che la Sua serva (la mente) sta oltrepassando i limiti, perciò richiedete la Sua Grazia per renderla sottomessa a voi. Bhadram ha cercato di spiegare il significato del nome Nārāyana in modo molto approssimativo, dicendo che Nā vuol dire questo e rā quest’altro. Tale spiegazione è sembrata molto dotta ed arguta, ma si può andare avanti all’infinito in questo modo, asserendo che Nā significhi questo o quello in base alla fantasia del momento o alla propensione dell’istante successivo. ‘Nāram’ significa ‘acqua’ e ‘nayanam’ vuol dire ‘occhio’. L’allusione è che potete conquistare Dio solo con le lacrime. Questo è il significato profondo del Nārāyana mantra. Anche gli altri mantra possiedono un loro significato latente, proprio come quello appena citato. Come la G, la O e la D si sommano non per formare il suono ‘giodi’ ma quello di God [‘Dio’ in inglese], così la A, la U e la M, che rappresentano i tre livelli di esistenza e di consapevolezza (Bhūr, Bhuvah e Svah), si sommano per formare il Pranava – OM. Nārāyana, quindi, è il Signore dell’acqua (nāram) presente nell’occhio (nayanam), il quale è conquistato dalle lacrime del pentimento e vi ricompensa donandovi lacrime di gioia. Conquistatelo, e vedrete che Egli diverrà visibile come tutto questo; in effetti Egli è tutto questo, ma voi non lo vedete come tale.
[3] Egli è la Base, ma voi vi lasciate incantare da ciò che è sostenuto e non da Chi lo sostiene. Samartha Ramdās racconta che quando Śrī Rāma ritornò ad Ayodhyā, tutti acclamarono con immensa gioia la vista della bandiera all’orizzonte, poiché quello era il segnale del ritorno del Signore nella Sua Capitale. Ramdās dice anche che il popolo, nella sua esultanza, dimenticò tuttavia quanta gratitudine doveva all’asta della bandiera, perché se Rāma era la bandiera, certamente Lakshmana ne fu il supporto che la sostenne alta nelle più violente tempeste. Non si può avere una bandiera senza un’asta, un ‘sostenuto’ senza il sostegno, una sostanza contenuta senza un contenitore. Il dolore è il contenitore, ma qual è la cosa contenuta? È la gioia; ricordatevelo. Un sorriso è la rosa che cresce tra le spine di un gemito. Piangete, ma solo di gioia: la gioia di essere stati liberati dalle catene del desiderio. Durvāsa1 era un asceta eccezionale, senza dubbio, ma era tormentato dall’orgoglio e dall’invidia. Cercò di far cadere Ambarīsha2 dal piedistallo della gloria, solo per poi vedere la propria rabbia ripercuotersi contro sé stesso con gravi conseguenze. Il desiderio conduce inevitabilmente alla rovina. A cosa serve radersi la testa se poi la si tiene colma di una moltitudine di desideri che pretendono d’essere soddisfatti? Questo tipo di ‘rinuncia’ è una frode sia per la persona che la intraprende sia per la società. Avrete notato che nessun Avatār ha mai conferito il sannyasa [stato di rinunciante] ad alcun aspirante devoto. Questi segni esteriori non sono essenziali e neanche necessari. Piuttosto, il distacco nato dalla saggezza e sostenuto dalla Grazia di Dio è di capitale importanza per l’avanzamento spirituale. Ci sono dei guru che s’inorgogliscono per il numero di rinuncianti che hanno lanciato nella società, come se quello fosse un conseguimento meritevole di congratulazioni! Se si impone la rinuncia su una testa che non ha conseguito il distacco, essa costituisce un peso per chi la deve sostenere ed un disonore per chi l’ha conferita. Il guru ed il discepolo sono prigionieri della loro incompetenza; se entrambi sono prigionieri dei desideri, quale dei due può liberare l’altro? Solo chi li ha messi in prigione può concedere una sospensione di pena o il perdono.
[4] Il rinunciante deve dichiarare la propria morte, celebrare le proprie esequie e seppellire il suo passato. Egli deve distruggere tutto ciò che lo vincola alla memoria di sé: il suo nome, la sua storia e la sua notorietà; deve evitare ogni ricordo delle sue passate avventure in cerca di piaceri sensoriali, abbandonare amici e nemici, abitudini e vestiario, interessi e pregiudizi. Si trovano, invece, uomini che hanno preso il voto della rinuncia ma sono ancora aggrappati tenacemente alle vecchie e consolidate abitudini e pratiche; dovrebbero invece rompere col passato. Per questa ragione la Gītā prescrive solo la rinuncia ai frutti dell’azione e non altri tipi di rinuncia. La rinuncia ai frutti dell’azione conduce alla rinuncia mentale. Per istruire le persone d’oggi come quelle d’allora, vale l’asserzione di Krishna: “Io avrò cura del benessere di chi rinuncia all’ego e prende rifugio in Me.” Ricordate che questa affermazione non indica un’alleanza, ma significa ‘o te o Me’. Un proverbio dice: ‘Il ballerino che sbaglia un passo dà la colpa al batterista’ – ma questo detto non vale in campo spirituale. Dovete scalare la vetta da soli. Alla prima provocazione, l’io solleva la testa: “Sono accusato, vengo trascurato!” – e l’ego si alza in rivolta contro il mondo. Per ridurlo al silenzio dovete vedere Krishna in tutti: in chi vi biasima, in chi vi elogia, in chi vi trascura o in chi vi onora. Alcuni di voi hanno menzionato alcune strofe Telugu dello Sumathi Shatakam che consigliano di abbandonare ‘parenti che non corrono in vostro soccorso, cavalli che non galoppano non appena saltate in sella e Divinità che non fanno piovere le loro benedizioni quando cadete ai loro Piedi’. Tenete presente, però, la persona a cui questo poema è indirizzato! Chi dovrebbe seguire quel consiglio? Sumathi, no? Ora, il nome ‘Sumathi’ significa ‘una persona la cui intelligenza è maturata in saggezza’. Un simile individuo, senza dubbio, riceverà l’aiuto dei suoi familiari e sarà certamente benedetto dalle Divinità; dunque questo consiglio non è necessario per chi sia diventato saggio come Sumathi. I fattori accidentali menzionati non si presenteranno mai per un tale ‘Sumathi’.
[5] Aspettate e tenetevi pronti a ricevere la Grazia, ovvero non aggrappatevi troppo a cose che compiacciono i sensi, non fatevi avvolgere dalle spire di cose attraenti e piacevoli. Bhadram ci ha presentato l’immagine di un preside di una scuola: è un buon esempio dell’attitudine che dovreste sviluppare. Quell’uomo sa bene che i banchi, le sedie e le cattedre non gli appartengono, ma sa anche che è suo preciso dovere controllare che tutti i mobili e le attrezzature non vadano persi o danneggiati; quando lui se ne andrà, tutto dovrà essere restituito intatto. Per questo tiene un occhio vigile, seppure distaccato. I sensi, l’intelligenza, il cuore, la mente: questo è l’equipaggiamento messo sotto la vostra tutela; occupatevene con cura, e se uno di essi è stato danneggiato per via di uno sbaglio, fate un’opportuna segnalazione, spiegate le circostanze ed implorate la Grazia. Bhadram, inoltre, ha parlato di donne che possiedono devozione, conoscenza e distacco pari agli uomini. So che ci sono ancora molti, tuttavia, che s’infastidiscono quando sentono le donne che, qui al Nilayam, recitano il Pranava, l’OM, durante il Brahmamuhūrtam3. Costoro dimenticano che il suono stesso è fondamentalmente Pranava e che in tutti i respiri è insito il Pranava. Ora, come possono le donne tenersi alla larga o evitare l’OM che è onnipresente nell’etere e che il loro respiro recita ogni momento? Di fatto la Natura, ossia il Principio Femminile, viene prima del Principio Maschile che le è secondo. Voi, infatti, dite Sītā-Rāma, LakshmiNārāyana, Gouri-Shankara, e non mettete mai la Natura al secondo posto. Le donne hanno le stesse opportunità e gli stessi diritti degli uomini di realizzare Dio. Come ogni respiro vi rammenta l’OM, così ogni piccola azione è un gesto di culto, ricordatelo. Ogni minuscolo pensiero, ogni sospiro impercettibile deve essere diretto in modo tale da sottomettere le bizzarrie della mente e guidarla verso Dio. Cento centesimi formano una Rupia intera, perciò infondete la Divinità in ogni singolo momento. Come il continuo filo d’acqua del Gange versato sullo Shiva-Lingam durante l’aspersione rituale, consacrato con la recitazione del Rudram4, fate che ogni vostro istante sia santificato dal pensiero di Shiva. Recitate il Rudram e salvate la vostra esistenza!
Vi vedo leggere ed apprezzare l’Amore dei saggi, delle gopī e delle scimmie [che combatterono per Rāma] delle ere passate; però state ignorando le vostre responsabilità attuali. Ad esempio, ognuno di voi esamini quanto abbia messo in pratica di quello che ha ascoltato da Me. Quale beneficio avete tratto dal vostro soggiorno a Puttaparti, ora e negli anni passati? Quanto Amore siete riusciti a donare al vostro prossimo, quell’Amore che avete compreso essere il Mio tutto. La ripetizione del Nome di Dio, come vi ho ripetuto sovente, è il miglior esercizio per sviluppare l’Amore verso Dio e verso tutto ciò che è grande. Avete provato questa ricetta? È diventato essenziale per voi come il respiro? Quella è la prova della vostra sincerità e del successo del vostro pellegrinaggio a Puttaparti in questa festività di Dashaharā.
Prashānti Nilayam, 24.10.1961
da DISCORSI 1961 1962 (Sathya Sai Speaks-Vol.II) ed.Mother Sai Publications