Discorsi Divini
24 Novembre 1961 – Il destino non è una gabbia di ferro
24 Novembre 1961
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Il destino non è una gabbia di ferro
[1] Veluri Shivarāma Shāstri non è solo un grande erudito, ma è anche un praticante spirituale; oggi vi ha dimostrato la profondità della sua sapienza ed esperienza nel discorso che ha tenuto sul segreto dell’Avatār. Vi dico però che il mistero degli Avatār va oltre la comprensione vostra o di chiunque. Come può chi è immerso nell’illusione (Māyā) afferrare qualcosa che è al di là di Māyā? Il corpo, l’intelletto, la coscienza, la mente, il cuore, sono tutti immersi in Māyā ed operano solo attraverso essa. La scomparsa di Māyā, però, è un fatto concreto e non un’esperienza illusoria. In algebra si utilizza il simbolo X per indicare l’incognita, ma quando si scopre la sua identità, il simbolo scompare dall’equazione. Per analogia, Dio è la X, l’Entità che dovete scoprire. Asserire che Dio sia la Causa primaria di ogni cosa è vero, ma fino ad un certo punto; Egli infatti non vi ha cacciati in una gabbia di ferro chiamata destino, dalla quale non c’è via d’uscita. Il Signore vi ha dotati di discernimento e distacco, di un sentimento di timore e meraviglia; vi dovete avvalere di essi per raggiungerlo. Sebbene siate vincolati, non per questo siete del tutto impediti. Una mucca legata ad un palo con una corda può camminare solo intorno ad esso e pascolare sul terreno entro il raggio della corda; quando l’animale avrà mangiato tutta l’erba di quel terreno circoscritto, può darsi che il padrone sciolga il nodo e la leghi ad un altro palo un po’ più in là. Godetevi la vita liberamente nei limiti che la corda vi permette; non allontanatevi troppo dal palo così da tirare la fune e ferirvi il collo.
[2] Sul terreno che vi appartiene potete coltivare il cibo di cui avete bisogno o potete rimanere seduti e lasciarlo incolto. Voi siete la causa della vostra rovina o del vostro successo. Gli strumenti sono nelle vostre mani; potete apprendere l’arte di utilizzarli, potete spezzare le catene e fuggire, ma se continuate a strisciare invischiati fra schiavitù e legami, chi vi potrà salvare? Non imputate la colpa della vostra condizione al fato o al destino che avete scritto in fronte. Quello che è scritto, l’avete scritto voi. A scuola vi promuovono o vi bocciano, passate o siete rimandati in base al rendimento mostrato durante l’anno scolastico appena conclusosi, non è così? Analogamente, la condizione della vita presente è stata determinata dalle attività delle esistenze passate. Quando un Preside rilascia un certificato di buona condotta col quale potete presentare una domanda di lavoro, lo formula con riferimento alla condotta che avete tenuto negli anni precedenti, quando eravate nelle varie classi. Siete voi i responsabili del contenuto di quel certificato; se la vostra condotta è stata buona, otterrete un buon attestato ed un buon lavoro, se al contrario è stata negativa, otterrete un certificato scadente ed un lavoro di poco conto. Dunque, siete voi che scrivete, e siete sempre voi che potete cancellare quanto è scritto nel vostro destino.
[3] Circa 500 anni fa, nello Stato del Kerala, viveva un grande santo di nome Bilvamangala; ogni qual volta evocava Krishna, Egli gli appariva. Tale era la sua devozione e la sua disciplina. Un uomo che soffriva di dolori cronici allo stomaco venne a sapere di Bilvamangala ed incominciò a tormentarlo affinché domandasse a Krishna se i suoi dolori potessero cessare. Bilvamangala acconsentì, e quando Krishna gli apparve gli pose la questione. Krishna rispose: “Quando cesserà il rotolare, cesserà il dolore.” Lo sfortunato interpretò quella frase come se egli dovesse smettere di contorcersi dal dolore, così piombò nella disperazione perché non riusciva a stare fermo nell’agonia della sofferenza. Decise quindi di lasciare il Kerala per recarsi in qualche luogo sacro alla ricerca di un santo migliore che gli facesse avere una risposta più soddisfacente. Bilvamangala gli disse anche che doveva patire quella sofferenza come conseguenza delle sue azioni compiute in esistenze passate, interpretando il termine ‘rotolare’ come il ‘rotolare di vita in vita’.
Sulla strada per Kāshī1 si trovava una mensa di carità gestita da una pia donna di nome Kururamma. Quando la donna vide la sofferenza del poveretto, si rivolse a lui dolcemente. Egli allora le confidò che voleva gettarsi nel Gange poiché gli era stato detto che non poteva sfuggire alle conseguenze dei peccati del suo passato. Kururamma gli diede del pazzo, poi gli insegnò un mantra: «Gopijana Vallabhaya Namah» – ovvero «Rendo omaggio all’Amato delle Gopī» [Krishna] – e gli disse di ripeterlo perché il Nome di Dio lo avrebbe guarito completamente. Quando arrivò un ennesimo attacco, il pover’uomo pronunciò il sacro mantra e restò molto sorpreso nel costatare che il dolore se ne andava! Sì, era sparito; ed anche colpendosi lo stomaco di proposito, non gli ritornava più. L’uomo completò il suo pellegrinaggio a Kāshī e tornò in Kerala, dove cadde ai piedi di Bilvamangala. Il santo volle sapere come andavano i suoi dolori, quei dolori con i quali doveva per forza convivere in quanto conseguenza dalle sue vite passate. Quando l’uomo disse a Bilvamangala che la sua sofferenza era cessata, il santo invocò Krishna e gli domandò cosa avesse inteso dire col termine ‘rotolare’. Bilvamangala aveva ritenuto che quella parola significasse ‘rotolare di vita in vita’ con la conseguente acquisizione di meriti e demeriti. Il malato invece l’aveva interpretato come ‘rotolarsi dal dolore’ quando gli prendevano gli attacchi di stomaco. Krishna, diversamente, aveva inteso ‘rotolare in questo mondo oggettivo e nei suoi mutevoli avvenimenti’. Quando il malato aveva cominciato a vivere nel Nome di Dio senza nessun altro pensiero per il mondo esteriore, l’agitazione per il dolore era cessata. Il Nome divino e la catena del destino non possono coesistere: gli effetti delle azioni del passato svaniscono come la nebbia al sole quando si pratica la ripetizione del Nome del Signore. Questa fu una rivelazione anche per Bilvamangala.
[4] Riflettete su questo per un minuto: come ha potuto l’uomo dimenticare la propria divinità? Come ha potuto cadere in quest’illusione meschina? Scoprirete allora che questo è l’effetto della mente che rincorre piaceri effimeri. Qual è il rimedio a questo stato di cose? La risposta si trova in una sola parola: Adorazione. Fate ogni cosa come adorazione. «Com’è il sentimento, così si diventa». Potrete sviluppare il sentimento verso la Divinità solo se gusterete un po’ del Suo Amore. Ecco perché l’Avatār si è incarnato, per farvi provare il sapore di quell’Amore, in modo che nei vostri cuori venga seminato l’anelito per Dio. L’uomo di oggi ha una profonda competenza su un’infinità di nozioni, ma la saggezza si è arenata; per questa ragione egli deve sviluppare la capacità di sondare e progredire nel regno dell’Universale e dell’Assoluto. Durante una delle sue peregrinazioni, Vivekānanda giunse una volta in una cittadina. In breve tempo si raccolse intorno a lui una folla di personaggi importanti, studiosi, pittori, filosofi, poeti ed artisti che incominciarono ad assillarlo con un’infinita lista di domande. Vivekānanda fu impegnato tutto il giorno a rispondere ai loro quesiti. Un pover’uomo che se ne stava in piedi in un angolo ad aspettare, trovò finalmente l’opportunità di cadere ai piedi del santo monaco, il quale gli domandò perché fosse venuto. L’uomo gli disse: “Maestro, devi avere molta fame, posso portarti un po’ di latte? Posso anche procurarti della farina per preparare tu stesso il pane, se non desideri mangiare quello che ho fatto io. Mi pare che nessuno abbia pensato al tuo pasto.” Quell’uomo possedeva l’Amore che è un dono divino ed è più fruttuoso di tutto il sapere stipato in una biblioteca di testi antichi.
[5] Ci sono tre tipi di uomini: i non credenti che considerano questo mondo oggettivo reale e veritiero; quelli che credono nell’esistenza di una Volontà dietro tutto quanto vedono e sperimentano, s’inchinano ad Essa e cercano di comprenderla in modo da essere in armonia e non in contrasto con quella Volontà; infine quelli che hanno realizzato che il mondo oggettivo possiede solo un valore relativo, non assoluto. Le ultime due categorie d’individui non incolperanno nessuno per le loro disgrazie, neanche il Signore. Finché un figlio è minorenne, non può condividere le proprietà dei genitori; analogamente, fino a quando resterete minorenni rispetto al vostro percorso spirituale, non pienamente maturi ed incapaci di gestire il vostro stesso destino, fino a quel momento dovrete affrontare sofferenze e lotte. E se direte “Io, Io, Io” – sarete lasciati soli, inciamperete e cadrete; ma se al contrario, affermerete “Non io, ma Tu” – allora tutto vi sarà dato. Cosa hanno conseguito esattamente quelle persone che hanno lottato per tanti anni? Hanno avuto fame e si sono saziate, hanno dormito e si sono risvegliate, hanno riso e pianto, ma che effetto ha avuto tutto ciò sulla loro personalità o sul mondo? Nessuno. Quando l’umanità avanza senza una meta e senza ideali nelle dune di sabbia, l’Avatār s’incarna per metter la in guardia ed indicare la via. Tale compito deve essere adempiuto attraverso vari modi: questa è la missione dell’Avatār. La natura dell’Avatār è stata spiegata prima da Velury Shivarāma Shāstri com’è menzionata nelle Scritture. Lasciate che vi dica: solo quelli che conoscono le Scritture possono comprendermi. Ho deciso di correggervi solo dopo avervi informato sulle Mie credenziali; ecco perché di tanto in tanto annuncio la Mia Natura compiendo dei miracoli, ossia delle azioni che vanno oltre la comprensione e le capacità umane. Questo non significa che Io sia ansioso di mettere in mostra i Miei poteri. Il fine è di portarvi più vicini a Me per saldare i vostri cuori al Mio. L’avermi conosciuto fa parte del vostro destino. L’altro ieri, giorno di Vaikunta Ekādashī, quando ho distribuito l’amrita2, alcune persone arrivate settimane fa, che avevano assistito alla sua creazione sulle sponde del fiume ed avevano preso posto nella lunga fila di devoti, hanno dovuto alzarsi per andare via proprio mentre mi stavo avvicinando alla loro fila; hanno perso così l’occasione di una vita. È un’opportunità che vi siete guadagnata. Di fatto, ognuno di voi deve essere salvato: dovete fuggire da questa rete quando si presenta l’occasione. Io non vi abbandonerò, anche se voi mi lascerete; non fa parte della Mia natura abbandonare chi mi rinnega. Io sono venuto per tutti. Coloro che devieranno dal percorso torneranno a Me, non c’è dubbio; li richiamerò a Me. Vi benedico affinché possiate meritarvi la Visione della Divinità in questa stessa vita, con questo stesso corpo.
Prashānti Nilayam, 24.11.1961
da DISCORSI 1961 1962 (Sathya Sai Speaks-Vol.II) ed.Mother Sai Publications