[1] Jonnalagadda Sathyanārāyanamūrty ha parlato di argomenti molto interessanti avvalendosi di un linguaggio incantevole ma, per quanto una persona possa parlare gradevolmente e per quanto sviluppata sia la sua capacità oratoria, chi può chiarire la verità su Dio non è ancora nato né mai nascerà. Un uomo può unicamente riferire ciò che ha sentito o sperimentato attraverso la Sua Grazia. Chi è arrivato al vero Fondamento non torna più in questo mondo. Naturalmente, gli uomini rappresentano il Signore nei libri, nelle illustrazioni, nei film, nei dipinti ed anche in lavori teatrali. Ma chi, fra gli scrittori, i pittori o gli attori, lo ha visto? I poemi epici ed i Purāna riportano solo un’infinitesima frazione della Sua Gloria; essi pongono dei limiti a Colui che è illimitato, poiché le parole hanno un limite. Solo chi sia dotato della visione che proviene dalla sapienza suprema (jñāna-drishti), dall’unione con Dio (yoga-drishti) o dalla devozione a Dio (bhakti-drishti) può scorgere un barlume di quel fulgore. Gli altri, con le loro rivendicazioni d’autenticità, non fanno che fuorviare. Chi sa non parla, mentre chi parla non sa, non può sapere. Tutti voi recitate quel verso della Gītā in cui è scritto che il Signore assume una Forma ed entra nelle questioni umane ogni qual volta il Dharma è in serio pericolo. Lo avete ripetuto così sovente che è diventata una frase insignificante, un modo di dire; è stato citato tanto spesso e da così tanta gente che ha perso ogni valenza. Solo gli individui esperti nelle Scritture possono riconoscere un Avatār e verificarne le credenziali; solo costoro riescono a gustare la gioia che l’Incarnazione elargisce. I Purāna, le storie sacre e le leggende antiche descrivono il Signore in molti modi adatti al devoto ed al potere manifestato. I Veda e gli Shāstra invece non si soffermano su questi aspetti mutevoli, ma trattano dell’essenza. Capita a volte che la gente, nella confusione delle interpretazioni e delle ripetizioni, perda la strada. Quando un cieco guida un altro cieco è probabile che tutti e due cadano in un pozzo. A quel punto l’uomo saggio interviene e delimita il percorso lungo confini sicuri.
[2] Sathyanārāyanamūrty ha fatto riferimento al dottor Bhaghavantam ed alle boriose proclamazioni della scienza, ma la religione incomincia dove la scienza finisce. Nella scienza, quando si apre una porta e si scopre un passaggio, si trovano altre dieci porte che, a loro volta, devono essere aperte. La scienza trasforma gli elementi, li riordina, ne studia la composizione, riorganizza i loro componenti e libera l’energia latente in essi. Io invece creo gli elementi stessi! Ed essi sono durevoli come quelli che si trovano in natura! ‘Quello’ è ‘questo’, ma ‘questo’ non è ‘Quello’. La Natura è Brahman, percepito erroneamente solo come natura a causa dell’illusione del nome e della forma. Brahman, però, non è la Natura; è come una corda che al buio si scambia per un serpente. Quando la saggezza albeggia, quando la Luce illumina, il serpente scompare e resta solo la corda. Il Signore è la dolcezza e voi siete lo zucchero, Egli è il Fuoco e voi siete il combustibile; Egli non ha un cuore ma ogni cuore dove è insediato è Suo. Nārada, che è sempre accanto al Signore, capisce che Dio è oltre la sua comprensione; Balarāma, che nacque come Suo fratello [dell’Avatār Krishna] non fu in grado di sondare la Sua personalità. Come potete voi cercare d’afferrare il Mio mistero? Come possono quelli che camminano impettiti nelle loro giacche imbottite e ben stirate saggiare la Mia Verità? Nonostante tutto questo, so che alcuni fra voi hanno venduto la loro fede ad individui infidi ed hanno cominciato a spettegolare sulla Mia veste e sui Miei capelli! Se osate cercare la Mia Verità, venite ed arrendetevi a Me. Non inducete al tradimento i vostri amici né gli altri aspiranti spirituali. Al giorno d’oggi il modo di vestirsi e le maniere sono raffinati, ma l’uomo interiore è peggiorato nelle virtù e nella fede!
[3] Rāvana e Hiranyakashipu [due potenti uomini-demone] erano esperti nei riti sacrificali vedici e nella ripetizione di mantra, ma non abbandonarono mai il loro ego a Dio. Essi non estirparono mai dal campo dei loro cuori le erbacce degli impulsi sensoriali, e quindi raccolsero una messe di rovi. Non è la grandiosità della cerimonia sacrificale o lo sfarzo dei riti che compiacciono il Signore: è l’ardente desiderio del cuore. Non è il numero dei chilometri da voi percorsi durante un pellegrinaggio o il costo delle cose che avete dato in carità. Non avete bisogno neanche di pregare ad alta voce, salvo che non immaginiate che Dio viva lontano, a Dvārakā o sul Kailāsh. Se lo avete insediato nel vostro cuore, Egli stesso si manifesterà quando vi struggerete per Lui. Prahlāda provava questo sentimento, e poiché nessun fuoco poté ustionarlo e nessuna caduta poté spezzargli le ossa, egli non soffrì alcun male.
[4] Ambarīsha stava officiando un rito sacrificale quando, giunti al momento cruciale, l’animale destinato al sacrificio scappò via. Il prete allora ordinò che, per fare ammenda di questa peccaminosa negligenza, un essere umano doveva essere sacrificato agli Dei come sostituto! Il re promise mille mucche in cambio di un figlio, ma quale padre manderebbe il figlio alla morte anche se gli fossero donate in cambio mille mucche? C’erano anche altre condizioni: i messaggeri del re non dovevano chiedere a nessuno di sacrificare un loro figlio per non commettere il peccato di paragonare mille mucche ad un essere umano; anche il padre non avrebbe dovuto rivelare la triste offerta al figlio. L’offerta di immolarsi doveva essere spontanea, senza persuasioni né incitamenti; infatti gli dei avrebbero accettato un figlio solo a tali condizioni. Accadde che Sunashepa ne venisse a conoscenza, perciò si rivolse a suo padre dicendogli che si sarebbe offerto con gioia perché quale maggiore fortuna può attendersi un mortale se non di ascendere al paradiso attraverso il fuoco sacrificale? Mi viene in mente una strana risposta che una bambina di nove anni mi diede quando le domandai: “E allora, cosa vuoi da Me?” Ella disse: “Baba, fa che mi fonda in Te.” In poche settimane lasciò il corpo ed il suo desiderio fu esaudito. La bambina esalò l’ultimo respiro chiedendo che il suo volto fosse rivolto verso la parete in modo da poter vedere la fotografia di Baba quando stava per morire. La sua dipartita fu meravigliosa, una morte invidiabile anche per i santi. Dio ama tali anime pure che vanno incontro lietamente all’unione con Lui. Alcuni dicono: “È la festività di Dashaharā, e centinaia di migliaia di persone si ammasseranno là portando soldi a palate.” Bene, ciò che portano è negligenza, non soldi a palate! La Mia mano si allunga per ricevere solo quando è offerto un cuore puro saturo d’amore; in tutte le altre occasioni essa dà soltanto e non prende mai. Le persone col veleno nel cuore e aride d’amore e di servizio dovrebbero vergognarsi e decidere di ripulirsi già oggi stesso! Sunashepa persuase il padre che il suo desiderio di andare allo Yajña ed offrirsi era legittimo e giusto, quindi partì per la capitale. Lungo il percorso si recò dallo zio materno, Vishvāmitra, che cercò di trattenere il ragazzo dal sacrificio. “Tutto ciò è solo una folle superstizione; si può forse sostituire un uomo ad una mucca?” Gli domandò lo zio. Il nipote rispose che finché nell’uomo non si manifestano il discernimento ed il distacco, tutti gli esseri umani sono solo animali. Nonostante le argomentazioni dello zio, disquisizioni peraltro simili a quelle che alcuni utilizzano per dissuadere altri dal venire a Puttaparti, Sunashepa riuscì a raggiungere il luogo dove si teneva il sacrificio. Nello stesso modo in cui s’illuminano le luci che abbiamo qui davanti quando s’accende l’interruttore a Penukonda, vediamo che quando il Signore prende una decisione, questa deve avverarsi. Ebbene, il Signore non è una roccia né una pietra, quindi il Suo cuore si sciolse vedendo la situazione del ragazzo. Indra (il sovrano degli dei) apparve nel fuoco sacrificale elargendo profusamente sulla testa del ragazzo benedizioni per poi svanire. Era stato Indra a rubare la mucca predestinata ed a studiare questo piano per mettere in luce l’eccellenza di Sunashepha e per benedirlo.
[5] Il Signore è Premasvarūpam, la personificazione dell’Amore, credetemi. I genitori terreni vi mostreranno amore finché li obbedirete; cominciate ad agire contro i loro desideri e vedrete che arriveranno fino al punto di disconoscervi! Il Signore non vi ripudierà mai poiché Egli è la vostra stessa anima, la vostra vera Realtà fondamentale. Voi ricevete da Lui il frutto del vostro lavoro, della vostra meditazione, preghiera e culto; la fede si trasformerà in sacrificio e sentirete di essere strumenti la cui individualità è solo motivata da Lui. Fate il Namaskāram [prostrazione a Dio] con devozione. Questo è sufficiente, ma voi non fate neanche quello. Lo fate in modo così apatico, così indifferente ed automatico. Quando congiungete le mani, dovete sentire che state offrendo ai Piedi di Dio tutti gli atti dei cinque organi d’azione e dei cinque organi di percezione, indicati dalle dieci dita. Inoltre, lo scopo del Namaskāram è di toccare i Piedi di Dio. Il polo negativo del Potere dell’illusione e quello positivo del Potere Divino si devono incontrare per produrre una corrente spirituale che fluirà in voi. Venite, Io sono il Riparatore dei cuori infranti e degli strumenti interiori (Antahkarana) danneggiati. Io sono come un fabbro che salda, aggiusta e mette le cose a posto. Dieci anni fa un devoto con una canzone mi pregò: “Il mio cuore è diventato arido, la mia luce si è spenta, cammino nel buio e la mente è confusa. Signore rendimi di nuovo in grado d’affrontare l’arduo viaggio dell’esistenza.” Il Signore aspetterà fuori della stanza delle preghiere del devoto e sarà ansioso di esaudire il suo desiderio! In verità, chi ha il Signore come servitore, è egli stesso il vero signore! Non lasciate però vacillare la vostra fede. Non diventate schiavi degli altri, e neanche di Dio. Verificate, esaminate, sperimentate e poi, quando trovate Dio, chiedete com’è vostro diritto. Ma prima di possedere quel diritto dovete presentarvi agli esami ed essere promossi, non è vero? Io vi sottopongo a delle prove non per punirvi o perché mi diverte mettervi in difficoltà, ma per farvi gustare la gioia di averle superate! Dīkshithadās invitò il suo discepolo, Bhadram, ad andare a mendicare il cibo per le strade per alcuni anni. Bhadram aveva cibo a sufficienza, ma dovette sottoporsi ai doveri di servo secondo l’usanza e la tradizione, e lo fece lietamente. Questo è un allenamento per il controllo e la conquista dell’ego. Anche voi dovete considerarlo tale e non dovete abbandonare il frutto per paura della fatica che la coltivazione della pianta comporta. Non dovete nemmeno arrendervi alla disperazione o deprimervi. È Mio volere che progrediate nello sviluppo spirituale. Vi ho riuniti tutti e getterò le fondamenta in cemento, costruirò i muri, erigerò il tetto e completerò la casa. Il Mio Sankalpa, il Mio volere, non risulta mai vano.
[6] Vi racconterò una storia sulla Volontà del Signore e di come nulla possa impedirne la realizzazione. Nelle ore serali, Shiva era solito tenere dei discorsi a saggi, santi e divinità sul monte Kailāsh. Pārvatī suggerì di far costruire un palazzo per ospitarli tutti in modo che potessero ascoltare senza essere disturbati dalla nebbia, dal freddo e dal vento. Shiva non aveva il sankalpa di farlo erigere, ma Pārvatī insistette che la sua idea fosse realizzata. L’astrologo, consultato prima che le fondamenta fossero gettate, disse che secondo le stelle quel palazzo sarebbe stato divorato dalle fiamme poiché Saturno era in posizione sfavorevole fin dal principio. La costruzione, in ogni caso, fu completata. Ora, questa situazione pose un problema alla coppia. Shiva propose di chiedere a Saturno il favore di salvare il palazzo dalla sua collera, sebbene dubitasse che il pianeta, famoso per la sua inevitabile ira, avrebbe accettato. Pārvatī si sentì profondamente ferita e decise di non concedere a quel tiranno di Saturno la soddisfazione di distruggere un palazzo fatto costruire da lei. Giurò che piuttosto di offrire al pianeta l’opportunità di proclamare d’aver incendiato il palazzo, lei stessa lo avrebbe dato alle fiamme. Shiva le suggerì di attendere almeno la risposta di Saturno alla Sua richiesta, in quanto si sarebbe recato di persona da lui. Egli le disse: “Se Saturno è d’accordo a risparmiare il palazzo, tornerò e ti darò la buona notizia, ma se si dimostra irremovibile, alzerò la mano e farò rullare i tamburi. Se sentirai questo segnale potrai appiccare il fuoco al palazzo e sottrarre a Saturno l’orgoglio di averlo fatto.” Pārvatī era pronta con una torcia accesa in attesa del segnale, in modo che il pianeta malefico non avesse neanche per un istante la possibilità di mettere in atto il suo piano scellerato di vendetta. Saturno, invece, acconsentì alla richiesta di Shiva. Disse che non avrebbe distrutto il palazzo del Kailāsh e Shiva ne fu felice, così, quando il pianeta lo pregò di concedergli una piccola grazia, Shiva accettò e gli chiese di cosa si trattasse. Saturno non aveva mai visto la famosa danza di Shiva che tutte le divinità del cielo elogiano, quindi desiderava che Shiva gliene mostrasse qualche passo. Shiva accolse prontamente la richiesta e incominciò la frenetica danza Tāndava alzando la mano per suonare i tamburi. All’udire il segnale, Pārvatī appiccò il fuoco al palazzo che, per Volontà di Shiva, fu ridotto in cenere. La Volontà divina deve realizzarsi! Saturno fu solo uno strumento per realizzare il Piano divino.
[7] A proposito della congiunzione degli otto pianeti che ora spaventa tutti voi, se avete la benedizione divina, cosa possono farvi i pianeti? Se possedete l’oro, quello è sufficiente per forgiare ogni tipo di gioiello. Procuratevi l’oro; è tutto quello di cui avete bisogno. Alla congiunzione planetaria che avverrà fra il 2 ed il 5 febbraio dell’anno prossimo è stata attribuita grande importanza dagli astrologi e dai bramini propensi a guardare sempre il calendario; costoro, infatti, stanno mietendo un ricco raccolto nel creare panico e suggerire varie contromisure. Certo, va bene fare beneficenza, pregare gli dei ed officiare dei riti, ma fatelo senza secondi fini, non con l’ottica di sfuggire agli otto pianeti! Fate queste cose come dovrebbero essere sempre fatte, non motivati da questa paura passeggera. Non fatevi prendere dal panico. Nulla accadrà fra il 2 ed il 5 di febbraio. Voi tutti verrete felici e pieni di gioia a Puttaparti per Shivarātrī, ve lo garantisco. Tutto questo parlare di fine del mondo è solo allarmismo, non perdetevi d’animo!
Prashānti Nilayam, 17.10.1961