Discorsi Divini
10 Febbraio 1963 – Un dramma nel dramma
10 Febbraio 1963
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Un dramma nel dramma
[1] I due pandit che hanno parlato vi hanno fornito del cibo sostanzioso, ma ci si sente sazi solo dopo aver bevuto alla fine un bel bicchiere d’acqua, che Io ora vi fornirò. L’acqua che proviene dai sacri testi non è solo acqua, è nettare. Nel suo discorso il pandit ha fatto riferimento ad alcuni episodi del Rāmāyana che hanno causato dubbi e confusione. Egli ha posto degli interrogativi sul perché Dasharatha avesse scelto l’occasione dell’assenza di Bhārata per sollevare la questione dell’incoronazione di Rāma; perché con l’episodio di Ahalyā1 venne rivelata la Divinità di Rāma, mentre fin dall’inizio Egli era stato descritto come un semplice uomo; perché Vāli fu ucciso da un eroe tanto virtuoso come Rāma da dietro un albero; perché Kaikeyī, che amava Rāma ancor più di suo figlio Bhārata, cominciò all’improvviso a preoccuparsi tanto degli interessi di quest’ultimo. Il fatto è che il dubbio si scatena se manca la fede, e la fede può radicarsi solo se si comprende il significato profondo di ogni episodio e di ogni osservazione.
[2] Dasharatha non invitò il re del Kekaya [una regione del Kashmir] ed altri principi o regnanti per una consultazione sulla scelta di Rāma come erede diretto, poiché in tal caso gli avvenimenti successivi avrebbero impedito lo svolgersi del Piano Divino. Dasharatha non diede a Rāma un ordine diretto di andare in esilio; egli confermò soltanto a Kaikeyī di averle promesso due doni e che non poteva più tirarsi indietro da quella promessa. Fu Kaikeyī a comunicare la notizia a Rāma. Il silenzio era come un assenso, così Rāma dovette accettare il silenzio come un ordine di Suo padre. Kaikeyī fu obbligata ad intervenire affinché il proposito dell’Avatār potesse compiersi. Rāma aveva un così forte senso del Dharma che quando venne a sapere che Dasharatha era intrappolato in un dilemma, lo aiutò ad uscirne indenne. Infatti Rāma insistette per andare in esilio poiché Suo padre l’aveva promesso implicitamente. Ātmarāma, la Divinità presente in tutti, induce ad attenersi alla verità ed al codice morale. Voi dovete soltanto ascoltarla ed obbedire per essere salvati. Alcuni sentono perfino i Suoi sussurri, altri ascoltano solo se protesta a gran voce; certi sono proprio sordi ed altri ancora sono determinati a non ascoltare. In ogni caso, tutti devono lasciarsi guidare da Lei, prima o poi. Molti prendono l’aereo, altri viaggiano in macchina o in pullman, diversi preferiscono il treno mentre altri ancora scelgono di percorrere il cammino a piedi, ma tutti, presto o tardi, dovranno raggiungere la meta.
[3] Sugrīva si dimenticò della parola data, cioè di aiutare Rāma a ritrovare la consorte Sītā, e si lasciò andare alle baldorie ed ai festeggiamenti perché era salito al trono al posto di suo fratello Vāli che credeva morto. Ignorò il fatto che il mondo fenomenico non è fondato sulla ricchezza, ma sul Dharma. Pertanto Rāma pungolò il serpente Ananta a sollevare iroso la testa ed a sibilare furiosamente, ovvero Rāma rammentò a Lakshmana l’ingratitudine di Sugrīva, e questo lo rese furioso. Un re ingrato è tanto indegno ed inutile quanto un suddito ingrato.
[4] Il pandit ha parlato della morte di Vāli che lasciò il trono a Sugrīva. Bisogna tener presente, però, che non morì solo Vāli: anche la sua ignoranza originaria morì insieme a lui. Egli vide Rāma in tutta la Sua gloria divina pervadere l’universo intero, il quale non è altro che una frazione della Sua personalità. L’ira di Rāma per il ritardo di Sugrīva fu un dramma nel dramma, perché Rāma sapeva che quest’ultimo avrebbe intrapreso il compito di cercare Sītā al Suo minimo cenno.
Tutti gli Avatār recitano una commedia all’interno del dramma cosmico. Voi dite che Rāma pianse per Sītā, ma come può una formica giudicare la profondità dell’oceano? Rāma fu il più grande eroe della storia: uccise da solo i 14.000 demoni guidati da Khara, Dhushāsana e Thrisiras! Ogni demone vedeva un Rāma nel demone vicino; così, come una furia uccideva quel Rāma per poi essere a sua volta ucciso dal suo vicino. Gli Avatār si comportano come esseri umani in modo che gli uomini possano provare un sentimento di affinità, ma si elevano a livelli sovrumani affinché l’umanità aspiri a raggiungere quelle altezze. La vera natura dell’uomo può trasformarsi nella natura di Dio poiché esse sono fondamentalmente identiche. Dovete solo sintonizzarvi su quella particolare lunghezza d’onda. Riconoscetela, sintonizzatevi correttamente e potrete comprendere l’Onnipresente con chiarezza e senza distorsioni.
[5] Potete leggere la Gītā molte volte, ma la grazia deve essere conquistata con la disciplina spirituale. La linea della fortuna che il chiromante vi mostra dicendovi che avrete successo, è solo il risultato della grazia divina. Potete asserire di conoscere a fondo i testi sacri, di averli letti e digeriti, ma il gusto ed il sapore [di quanto digerito] devono essere evidenti nel vostro alito! Invece non lo sono affatto perché inseguite cose di poco conto e cercate solo benefici temporanei; siete in balia della gioia e del dolore che ora vi stimolano, ora vi agitano. Il mare dell’esistenza terrena deve essere attraversato e le sue onde trascese con l’aiuto del Nome di Rāma. Se volete conoscere il Supremo ed assicurarvi la grazia del Signore, non deve esserci spazio per il dubbio. Il cuore deve essere indotto a realizzare il Signore dentro di voi quale Energia Motivante. Il Signore si manifesta in forma umana per rivelarvelo.
Prashānti Nilayam, 10.02.1963
da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications